Paolo Albani
CALVINO
E I PLAGI ANTICIPATI (1)


 



Nella girandola di titoli accademici, epiteti, attributi, denominazioni e cariche stravaganti che s'incontrano esplorando l'universo patafisico - Curatore Inamovibile, Vice-Curatore, Satrapo, Provveditore, Reggente, Definitore, Datario, Corrispondente Anfiteota, Uditore reale o apparente, Rappresentante Ipostatico, ecc. - c'è uno strano appellativo, il «plagiario per anticipazione», coniato nell’ambito dell'OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle), una delle numerose Sottocommissioni di Lavoro del Collegio di ‘Patafisica.
    «Ci càpita a volte di scoprire» - scrive François Le Lionnais - «che era già stata scoperta o inventata nel passato, e anche nel lontano passato, una struttura che avevamo creduto perfettamente inedita. Ci facciamo un dovere di riconoscere un simile dato di fatto qualificando i testi in questione come "plagi anticipati"» (2).
Dunque un «plagiat par anticipation» è un testo strutturato oulipianamente prodotto in epoca anteriore alla nascita dell’OuLiPo che risale al giovedì 24 novembre 1960. Per inciso ricordiamo che nel paragrafo IX dei suoi Palimpsestes (1982) dedicato ai «giochi oulipiani», Genette usa il termine oulipema per indicare un testo prodotto dall’OuLiPo e oulipismo per designare invece un testo scritto, anche anteriormente, alla maniera di un oulipema (3). In questo senso «plagiat par anticipation» e «oulipismo» si riferiscono allo stesso fenomeno.
Ne segue che l’espressione «paradossale e provocatoria» di «plagiario anticipato o per anticipazione» indica, per estensione, l’autore di un «plagio anticipato o per anticipazione». Se plagiario è chi commette un plagio, ovvero l'illecita appropriazione di un'opera altrui, allora chi ha prodotto un'opera in senso oulipiano prima della comparsa dell'Oulipo, è lecito sia considerato tale, cioè un precursore indebito, un plagiario.
In Italia l’OpLePo (Opificio di Letteratura Potenziale) nasce a Capri il 3 novembre 1990. Prima di quella data lo spirito oplepiano aleggia sulle patrie lettere, ostentando i suoi paladini. L’oplepismo nostrano conta importanti precursori.
    Fra i «plagiari per anticipazione» dell'OpLePo potremmo includere anche Italo Calvino, ma si tratterebbe a dir la verità di un plagiario un po' anomalo, discutibile, perché, prima della fondazione dell'OpLePo, Calvino già militava nell'Oulipo. Vi fu ammesso con il titolo di Brigadier, per i buoni uffici di Queneau, nel 1973: l'esordio di Calvino in qualità di membro effettivo dell'Oulipo avviene per l'esattezza nella riunione del 28 marzo 1973, dove il tema dominante è la preparazione del volume-manifesto La littérature potentielle che uscirà poco dopo presso Gallimard, senza contributi calviniani (4).
    Fra le prime prove oulipiane di Calvino si ricordano:
    1. Il racconto «L'incendio della casa abominevole», da cui Calvino avrebbe voluto ricavare un vero e proprio romanzo intitolato L'ordre dans le crime (L'ordine nel delitto); il racconto uscì nell'edizione italiana di Playboy, febbraio-marzo 1973. Le prime pagine del racconto apparvero in versione francese, «L'incendie de la maison maudite», nel paragrafo 5 della iv sezione, dedicata all'«Oulipo et informatique», dell'Atlas de littérature potentielle (5).
    Secondo le testimonianze di Marcel Bénabou e Jacques Roubaud (6), proprio nel 1985 (l'anno della sua morte) Calvino pensava di riprendere la composizione di questo racconto; sappiamo anche che per stendere questo testo Calvino si servì della consulenza di un programmatore di nome William Skyvington; alcuni appunti di Calvino con l'indicazione «tentativo di sviluppare in romanzo il racconto L'incendio della casa abominevole» portano la data dell'11-13 luglio 1977: dunque, per un certo periodo, l'elaborazione del progetto si sovrappone alla stesura di Se una notte d'inverno un viaggiatore (7).
    La passione di Calvino per il poliziesco è testimoniata da un articolo «Le meraviglie della cronaca nera» comparso su la Repubblica del 1983 (8), recensione a un'esposizione dedicata ai fatti di cronaca, svoltasi al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Parigi, pubblicizzata da un manifesto ove campeggia l'immagine di un orso bianco che sbrana una fanciulla. L'analisi di Calvino sul fascino del delitto e sui rapporti letteratura-crimine, è di grande interesse, e getta, a nostro avviso, una luce stimolante sul fenomeno della fortuna che il giallo sta attraversando da qualche anno a questa parte in Italia.
    2. Il «Piccolo Sillabario Illustrato (da Georges Perec)» che esce in una prima versione (19 esercizi) sul numero 1 de il Caffè del marzo 1977. Come il «Petit abécédaire illustré» di Georges Perec cui s'ispira (9), anche il Sillabario di Calvino «è composto di brevissimi testi la cui chiave viene data in fondo: ognuno di essi equivale semanticamente a un altro testo di poche sillabe che a sua volta equivale foneticamente alla successione d'una consonante e delle cinque vocali come nei sillabari: BA-BE-BI-BO-BU, CA-CE-CI-CO-CU, DA-DE-DI-DO-DU, e così via per tutte le consonanti dell'alfabeto» (10).
    Più correttamente il primo riferimento ai «plagiari per anticipazione» dell'OpLePo non può che muovere, cronologicamente parlando, dalla figura di un grande palindromista, anagrammista e compilatore di centoni: padre Anacleto Bendazzi (1883-1982) che nel 1951 licenzia le sue Bizzarrie letterarie, un libro vertiginoso di giochi verbali in gran parte di argomento sacro (11). Bendazzi scrisse anagrammi bellissimi come «al numero tredici → i creduli tremano» oppure «lei ama la spensieratezza? → a me par letizia senza sale».
    Alto e allampanato, padre Anacleto è un personaggio quasi da leggenda: ai suoi tempi fu coniato il neologismo bendazzeggiare per significare azioni strambe. Fra le altre cose, corresse il latino a Giovanni Pascoli e a papa Roncalli, e amava fare scherzi, come questo: una volta don Bendazzi, nominato canonico, viene trovato lungo disteso per terra, immobile; preoccupato, uno studente gli chiede cosa stia facendo, e don Bendazzi risponde: «Il diritto canonico».
Nella schiera degli anticipatori delle sperimentazioni oplepiane si può annoverare Bruno Munari che nel 1944 realizza un abbecedario artistico, intitolato ABC Dadà, in cui, a ogni lettera (21) dell'alfabeto italiano, corrisponde un piccolo testo tautogrammatico illustrato con vari oggetti.
    Sempre seguendo l'ordine cronologico, incontriamo a metà degli anni cinquanta un testo curioso: «L'amico del commendatore» di Ennio Flaiano uscito su Il Mondo del 5 luglio 1955 (poi riproposto l'anno successivo in Diario notturno con il titolo di «Variazioni su un commendatore»). Il testo ricorda la struttura degli Esercizi di stile di Queneau che sono del 1947. Di questo lavoro di Flaiano, in una cartella conservata nella Biblioteca Cantonale a Lugano, esiste una versione in quattro quadri, destinata a una rappresentazione teatrale (sul primo foglio, sotto il titolo, compare l'ironica annotazione: «Prima non rappresentazione: Agosto 1955»).
    Come negli Esercizi di stile, anche nel testo di Flaiano si parte da una storiella banale: l'io narrante va a trovare il commendator Toma mentre questi sta parlando al telefono; poi entra una formosa segretaria per far firmare al commendatore una lettera; fra i due si capisce che esiste un'intesa amorosa; il commendatore, prima che la segreteria, arrossendo, esca, le sfiora il fondoschiena; alla fine Toma si mette a fissare il soffitto e sorridendo esclama: «Che noia!»
    Il brano introduttivo porta la dicitura «DIARIO»; seguono altri brani, cioè altre varianti, in cui si racconta lo stesso episodio, ma in modalità diverse: ovvero come se si fosse «AL BAR» o si stesse parlando «AL TELEFONO» o «PASSEGGIANDO DI NOTTE», o come se a riferire l'episodio fosse una «DOMESTICA», oppure in forma di «SONETTO», «ARTICOLO», «ALLEGATO», «ULTIMO AVVISO», «ESPOSTO», «INTERROGATORIO», «SEGNALAZIONI», cioè di recensione di un romanzetto neofumettistico intitolato Il Commendatore, e poi ancora di «SOGGETTO» per il cinema che, «sarà bene ricordarselo, non è il circo equestre», e così, alla fine, lo scritto di Flaiano si conclude con un pezzo intitolato proprio «ALLORA, CIRCO EQUESTRE!» dove l'incontro con il commendator Toma viene esposto in un italiano approssimato, senza doppie che ricorda un po' la parlata veneta (12).
    In un articolo uscito su "L’Unità" del 22 giugno 2010, Giuseppe Montesano, a proposito di Diario Notturno di Flaiano, scrive che vi sono in quel testo tre capolavori, uno dei quali è «Variazioni su un commendatore, romanzo di romanzi che si ispira a Queneau e agli Esercizi di stile, ma stravolgendone la frivolezza e radiografando un archetipo dell’Italia e del mondo occidentale in balìa del capitalismo».
  Scrive Gino Ruozzi: «Di Queneau Flaiano possedeva gli Exercises de style nella quindicesima edizione Gallimard del 1947; inoltre En verve. Mots, propos, aphorismes, présentation et choix de J. Bens, Horay, Paris 1970» (Gino Ruozzi, Ennio Flaiano. Una verità personale, Carocci, Roma, 2012, p. 81, nota 16).

    Restando in tema, uno spirito vagamente queniano aleggia in «Crescendo», un racconto di Dino Buzzati contenuto ne Le notti difficili (1971), raccolta di elzeviri e racconti, scelti dall'autore, in gran parte ospitati su Il Corriere della sera e da riviste, ultimo libro pubblicato dallo scrittore vivente.
    Anche «Crescendo» muove da un episodio insignificante, come quello accaduto sull'autobus gremito della linea S:

La signorina Annie Motleri udì battere alla porta e andò ad aprire. Era il notaio dottor Alberto Fassi, vecchio amico. Lei notò che il suo soprabito era tutto bagnato, segno che fuori pioveva. Disse: «Oh, che piacere, caro dottor Fassi. Si accomodi, si accomodi». Lui sorridendo entrò e le tese la mano.

    Poi il testo si sviluppa attraverso dieci diverse descrizioni di questo banale evento, svolte tuttavia in un crescendo di atmosfere buzzatiane, sempre più ammantate di mistero e inspiegabilmente inquietanti, fino a quando il vecchio amico Fassi non diventa «un tenebroso immondo mastodontico coleottero», un «mostro» e la sua mano tesa non si trasforma in «bianchi orribili artigli», o ancora fino a quando, come nell'ultima variante, la signorina Motleri apre la porta e sul pianerottolo non c'è nessuno, c'è il vuoto, «il niente del niente del niente», e lei si ritrova sola con il suo antico rimpianto, la sua afflizione inguaribile (13).
All’inizio degli anni sessanta, Nanni Balestrini compone alcune poesie con l’ausilio del calcolatore elettronico (14). Il procedimento usato da Balestrini per creare le sue poesie combinatorie si basa sulla divisione in «elementi», cioè in gruppi di poche parole legate sintatticamente, di tre brani. In qualunque modo combinati gli elementi dei tre testi di partenza producono delle poesie con un senso preciso. Il trattamento imposto da Balestrini è solo uno dei tanti possibili.
    L'esperimento con il computer di Balestrini fa venire in mente «Il Versificatore», un racconto in forma teatrale contenuto nelle Storie naturali (1966) di Primo Levi. Il protagonista del racconto di Levi è un poeta che sgobba, senza «mai un momento di libera ispirazione», per comporre carmi nuziali, poesia pubblicitaria, inni sacri, ecc. Dal rappresentante Simpson il nostro poeta acquista, neutralizzando le diffidenze della propria segretaria, «il Versificatore», una macchina per comporre versi di ogni tipo, munita di una tastiera simile a quella degli organi e delle Linotype.
    Il testo teatrale di Levi, che riporta anche alcuni esempi di poesie create dal Versificatore, si conclude con questa battuta del poeta: «Posseggo il Versificatore ormai da due anni. Non posso dire di averlo già ammortizzato, ma mi è diventato indispensabile. Si è dimostrato molto versatile: oltre ad alleggerirmi di buona parte del mio lavoro di poeta, mi tiene la contabilità e le paghe, mi avvisa delle scadenze, e mi fa anche la corrispondenza: infatti, gli ho insegnato a comporre in prosa, e se la cava benissimo. Il testo che avete ascoltato, ad esempio, è opera sua».
    Non sembri audace, se non irriverente data la fama acquisita dallo scrittore con Se questo è un uomo, l'idea di reclutare Levi fra i plagiari di anticipazione dell'Oplepo. A parte il fatto che Levi non è estraneo al fascino del gioco letterario, testimoniata per altro dalla sua quarantennale attrazione per Rabelais, va ricordato che lo scrittore torinese compose bellissimi rebus e fra le altre cose un citatissimo (fra gli addetti ai lavori, s'intende) palindromo interlinguistico: «in arts it is repose to life: è filo teso per siti strani». Nel «risvolto» editoriale da lui stesso preparato per le Storie naturali, Levi avverte che nei suoi racconti vi si può trovare non solo satira e poesia, impostazione scientifica e attrazione per l'assurdo, ma anche «amore dell'ordine naturale e gusto di sovvertirlo con giochi combinatori».
    La bella introduzione di Ernesto Ferrero all'edizione einaudiana de I racconti (1996) di Levi, che raccoglie i testi contenuti in Storie naturali, Vizio di forma e Lilít, si apre con una critica al diffuso pregiudizio che vuole che chi pratica le scienze esatte e le tecniche sia un uomo arido, negato alle altezze dello spirito e all'emozione della creatività; in realtà «solo chi dispone di strumenti concettuali e conoscitivi che siano al tempo stesso complessi, sofisticati e duttili può tentare la vera creatività». Non credo - aggiunge Ferrero - di conoscere persone più creative dei fisici, dei biologi e dei matematici. E poi sottolinea come «le esperienze letterarie più autenticamente feconde del nostro Novecento, le più innovative, le più ricche di contenuto nutrizionale per la mente del lettore, ci vengano da tre scrittori in cui gli interessi tecnico-scientifici si sono felicemente coniugati con un solido sostrato di cultura classica»: Gadda, Calvino e Levi.
    A proposito di quest'ultimo, dopo aver ricordato che Levi fornì una preziosa consulenza terminologica a Calvino, impegnato nell'impervia traduzione della Canzone del polistirene (1958) di Queneau (la Canzone, un'indagine confidenziale sulla creazione della materia plastica, era il commento a un cortometraggio promozionale per la regia di Alain Resnais; lo stesso Calvino riconobbe a Levi una «vena di enciclopedista delle curiosità agili e minuziose»), Ferrero conclude l'introduzione al libro dei racconti di Levi con questa, solo in apparenza, sorprendente affermazione:

Levi si sarebbe trovato benissimo tra i maghi-bambini dell'Oulipo, quel laboratorio di letteratura potenziale attivo a Parigi soprattutto negli anni '60 e '70, che annoverava tra i suoi soci più attivi, oltre allo stesso Queneau, Calvino e Perec. Non si limitavano, gli oulipiens, a studiare tutte le possibili combinazioni che si offrono alla letteratura: convinti, con Paul Valéry, che la più grande libertà nasce dal più grande rigore, si davano programmaticamente gabbie ristrette, che chiamavano contraintes, costrizioni, strettoie, per mettere alla prova il loro ingegno di costruttori (sappiamo che Perec riuscì a scrivere un intero romanzo senza usare la lettera e). Ma la letteratura è proprio questo, cercare di far passare il mare in un imbuto, come diceva Calvino. E Primo Levi altro non ha fatto, sin da quando ha forzato la gabbia mortale del Lager opponendogli anzitutto il paziente esercizio di una ragione che cercava di capire, di stabilire un reticolo di cause ed effetti, di far passare una tragedia senza nome nello stretto imbuto di una esperienza raccontabile. Non diversamente lottò durante la sua vita di chimico contro l'inerzia riottosa della materia. E infine, nei racconti, e poi nei romanzi, diede alla sua immaginazione i vincoli di ristrette ipotesi di lavoro, perché sapeva che solo lavorando sul margine più risicato si può allargare il varco, e farvi passare una migliore comprensione di quello che siamo stati e siamo, dei nostri sogni tormentosi, delle nostre eredità troppo spesso dimenticate, e dell'incerto ma non disperante futuro che ci attende (15).

L’area sperimentale offre un altro contributo al plagiarismo oplepiano con L’oblò (1964) di Adriano Spatola (16), pseudo-romanzo in cui l’elemento combinatorio si snoda in una sequela di storie indipendenti, assemblate in modo casuale, una sorta di «cadavere squisito» il cui percorso può essere scelto a piacere dal lettore. L’operazione spatoliana ricorda composizione n. 1 (1962) di Marc Saporta (17) (cognome che sembra un anagramma di Spatola), dove la libertà del lettore di leggere il romanzo disponendo come crede l’ordine delle pagine è totale. Anche perché le pagine del romanzo sono davvero sciolte, libere, separate le une dalle altre. Nella copertina si dice: «Mescolate le pagine come un mazzo di carte e leggete», mentre la fascetta che tiene unite le pagine riporta questa frase dal sapore queniano: «TANTI ROMANZI QUANTI SONO I LETTORI. L’ordine delle pagine è casuale: mescolandole, a ciascuno il “suo” romanzo».
In senso stretto la storia dell’oplepismo italiano si apre con la costituzione dell'«Istituto di Protesi Letteraria» (IPL), singolare accademia che inizia la sua attività nel 1973 come Seminario Permanente di Letteratura Sperimentale, d'ispirazione oulipiana, all'interno di quel formidabile laboratorio culturale che fu la rivista "il Caffè", fondata e diretta da Giambattista Vicari. Scrivono per l'ipl, fra gli altri, Guido Ceronetti, Giampaolo Dossena e Luigi Malerba (18).
    Il tramite tra "il Caffè" e i membri dell'Oulipo è naturalmente Calvino. In data 8 febbraio 1974, Calvino scrive a Vicari da Parigi:

Caro Vicari,
i membri dell'Ou.li.po. sono stati molto contenti del proclama del Caffè (il titolo Una data storica li ha entusiasmati) e François Le Lionnais mi ha pregato di chiederti di mandargli una dozzina di copie del numero 4/5/6 da distribuire tra gli oulipiani.
    (Forse una dozzina è esagerato: pensando che il pagamento oltrefrontiera può essere complicato e che nessuno dell'Ou.li.po. capisce una parola d'italiano, credo vada bene mandargli 4 o 5 copie, riservando un invio più nutrito per un numero del Caffè in cui i contributi dell'Istituto di Protesi siano più robusti).
    L'indirizzo è: M. François Le Lionnais 23, Route de la Reine 92100 Boulogne-sur-Seine. È un personaggio molto simpatico: matematico, campione di scacchi, patafisico, oltre che fondatore con Queneau dell'Ou.li.po.
                    Un caro saluto
                    tuo Calvino (19)

    Sulla natura dei testi legati a questa prima esperienza di “protesi letteraria” italiana, ci limitiamo a notare che, in gran parte, essi mostrano, rispetto a quelli francesi rigidamente strutturati in una ragnatela di regole vincolanti, una maggiore propensione verso l'effetto ludico, verso lo slittamento comico.
    Si pensi ad esempio agli aforismi di Guido Ceronetti nella rubrica intitolata «Nuova Vaselina Sinfonica»:

Andiamo al mare a farci due risacche.
Regaliamo a Strehler un paio di brechtelle.
Proustituta: meretrice che è anche lettrice di Proust.
Il dottor Gibaud ha una fascia da culo.
Non discutiamo del cesso degli angeli.

oppure ai neologissimi di Luigi Malerba:

Scemiologìa. Scienza generale degli scemi, da non confondere con la semiologia, scienza generale dei segni.
Vaffancàrlo. Imprecazione composita con suffisso variabile (vaffan-giulio, vaffan-giorgio, eccetera). Il messaggio acquista efficacia con l'identificazione del destinatario.

    Una piccola curiosità. Il 6 ottobre 1981 Perec tenne all'Alliance française di Melbourne una conferenza intitolata «Discussione sulla poesia». Durante il dibattito gli fu chiesto se esistevano gruppi simili all'Oulipo in altri paesi. Perec rispose che ce n'erano in Germania, in America e anche in Italia. Per quest'ultimo paese citò l'«Istituto d'ipotesi [sic] letteraria» - lapsus fruttifero, in quanto fa pensare a una letteratura ipotetica, e quindi potenziale - istituto che «è - disse Perec - leggermente più scherzoso di noi, ma la cosa non ci dispiace» (20).
    Fra gli scrittori vicini all’attività dell’IPL sono citati su "il Caffè" anche Giorgio Manganelli e Umberto Eco, entrambi a pieno titolo «plagiari per anticipazione» dell’OpLePo. Per le loro performance pre-oplepiane, e altresì per quelle di Guido Almansi, Edoardo Sanguineti, Rodolfo J. Wilcock e di altri due personaggi - Giovanni Finazzi e Carlo Cetti - che non sarebbe azzardato far rientrare nella schiera dei cosiddetti «fous littéraires», rimandiamo al nostro già citato testo ne La Biblioteca Oplepiana.
Certo l'elenco dei «plagiari per anticipazione» dell'OpLePo potrebbe allungarsi, coinvolgendo altri jongleur straordinari. Come non menzionare ad esempio i funambolismi combinatori di Toti Scialoja:

Che fai malato Amleto con una mela in mano
che fai mela di Amleto nella mano malata
che fai molesto Amleto matto della tua mela
che fai mela di Amleto destinata a letame
che fai letale Amleto masticandola male
che fai mela di Amleto per metà malandata
che fai melato Amleto con una mela in meno? (21)

o i gustosi e amari epigrammi di Gino Patroni, tutti giocati (ecco la particolare contrainte) su un piccolo, ma significativo scarto linguistico: «Infermeria: Etere/ o/ non/ etere?»; «Mensa popolare: Una/ zuppa/ di/ verdura/ ed/ è/ subito/ pera»; «Sala operatoria: Chi/ ha/ lasciato/ l’aorta/ aperta?»; «Favoletta russa: C’era/ una vodka...»; «Preghiera fascista: O.V.R.A./ pro nobis»; «Hiroshima 1945: Il giorno/ più fungo»; «Impiccagione: Tiroide/ alla fune»; «Massoneria: La loggia/ è uguale/ per tutti»; «Dissacrazione: Il beat Angelico»; «Detto di inquisitore: Sbagliando/ si impala»; «Incitamento odontoiatrico: Su/ col molare!» (22).
    Qui però ci fermiamo per non disattendere la nostra contrainte, ovvero scrivere questa relazione usando solo 3.570 parole.


Note

1) Il testo di questo intervento è la rielaborazione di un mio saggio apparso con il titolo «L'OpLePo e i plagiari per anticipazione» su La Biblioteca Oplepiana, a cura di Oplepo, Zanichelli, Bologna, 2005, pp. 21-28.

2) Francois Le Lionnais, «Le second manifeste», in: Oulipo, La littérature potentielle (Créations Re-créations Recréations), Paris, Gallimard, 1973, pp. 19-23; trad. it. Oulipo. La letteratura potenziale (Creazioni Ri-creazioni Ricreazioni), a cura di Ruggero Campagnoli e Yves Hersant, Editrice Clueb, Bologna, 1985, pp. 22-27.

3) Gérard Genette, Palinsesti, Einaudi, Torino, 1997, p. 46.

4) Sul Calvino oulipiano si veda Mario Barenghi, «Poesie e invenzioni oulipiennes», in: Italo Calvino, Romanzi e racconti, Milano, Mondadori, 1994, pp. 1239-1245, e Marcel Bénabou, «Si par une nuit d'hiver un oulipien», magazine littéraire, 274, février 1990, pp. 41-44.

5) Oulipo, Atlas de littérature potentielle, Paris, Gallimard, 1981, pp. 319-331.

6) Cfr. Marcel Bénabou, «Si par une nuit d'hiver un oulipien», cit., e Jacques Roubaud, intervista a Tuttolibri dell'11 febbraio 1989.

7) Si veda la nota di Mario Barenghi alle pp. 1242-1243 del già citato meridiano Mondadori Romanzi e racconti del 1994.

8) Ora anche in Collezione di sabbia, Milano, Mondadori, 1994, pp. 51-56.

9) Pubblicato privatamente nel 1969 e poi in Oulipo, La littérature potentielle, cit., pp. 235-240 e p. 301.

10) Italo Calvino, «Piccolo Sillabario Illustrato (da Georges Perec)», il Caffè, 1, 1973, p. 7.

11) Anacleto Bendazzi, Bizzarrie letterarie, Presso l'autore nel Seminario di Ravenna, Ravenna, 1951, e Bazzecole andanti, a cura di Stefano Bartezzaghi, Vallardi, Milano, 1996; sulla vita di Bendazzi: Franco Gabici, Sulle rime del don. Vita e inediti di don Anacleto Bendazzi, Edizioni Essegi, Ravenna, 1996.

12) Ennio Flaiano, «Variazioni su un commendatore», ora in: Opere 1947-1972, a cura di Maria Corti e Anna Longoni, Milano, Bompiani, 1990, pp. 505-521.

13) Dino Buzzati, «Crescendo», in Le notti difficili, Mondadori, Milano, 2005, pp. 175-179.

14) Poesie pratiche. 1954-1969, Einaudi, Torino, 1976.

15) Ernesto Ferrero, «Introduzione» a Primo Levi, I racconti, Torino, Einaudi, 1996, p. XX.

16) Feltrinelli, Milano, 1964.

17) Lerici, Milano, 1962.

18) Per una storia dell’IPL, cfr. Paolo Albani, a cura di, Le cerniere del colonnello. Antologia degli scritti dell'Istituto di Protesi Letteraria, Ponte alle Grazie, Firenze, 1991.

19) Lettera appartenente all'«Archivio de il Caffè», per gentile concessione di Anna Busetto Vicari.

20) Georges Perec, Entretiens et conférences, volume ii 1979-1981, a cura di Dominique Bertelli e Mireille Ribière, Joseph K., Mayenne, 2003, nota 27 a p. 292.

21) Toti Scialoja, La mela di Amleto, Garzanti, Milano, 1984, e Poesie 1961-1998, Garzanti, Milano, 2002.

22) Di Gino Patroni presso Longanesi sono usciti: Il foraggio di vivere (1987), La vita è bella e scarso l'avvenir (1988) e La vita è una malattia ereditaria (1999).

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Fonte: Raffaele Aragona, a cura di, Italo Calvino. Percorsi potenziali,  Manni, San Cesareo di Lecce, 2008, pp. 33-42.
Il libro è stato ristampato, con un testo inedito di Ermanno Cavazzoni, nel 2023 da in riga edizioni.

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Questo testo costituisce la base su cui si è articolata la mia relazione al Convegno "Calvino e il potenziale", organizzato da caprienigma, svoltosi a Napoli nei giorni 26-28 ottobre 2005.
Il testo è una versione rivista e modificata del mio L'Oplepo e i plagiari d'anticipazione uscito nel libro Oplepo, La Biblioteca Oplepiana, Bologna, Zanichelli, 2005, pp. 21-28.

Per un aggiornamento sul tema, ho scritto un testo intitolato I plagiari per anticipazione: un aggiornamento, per leggerlo cliccate qui.
Per andare al menu dei miei saggi sui "plagiari per anticipazione" cliccate qui.

Il testo è citato nel libro di Federico Fastelli, Il nuovo romanzo. La narrativa d'avanguardia nella prima fase della postmodernità (1953-1973) (Firenze University Press, Firenze, 2013, p. 208):


Il testo è citato nel libro di Luigi Mascheroni, Elogio del plagio. Storia, tra scandali e processi, della sottile arte di copiare da Marziale al web, Aragno, Torino, 2019, p. 154.

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