Paolo Albani
PIGNAGNOLI
MINERALOGISTA
Se andiamo a rileggere gli articoli a lui dedicati sulle
riviste specializzate
e i papers redatti in occasione di convegni sulla sua figura,
del
Learco Pignagnoli mineralogista non si parla quasi mai, o solo di
sfuggita.
Mentre invece sarebbe utile farlo, e in modo approfondito,
poiché,
sul versante degli studi relativi alla «scienza dei
minerali»,
Pignagnoli merita rispetto e considerazione.
L’approccio ai minerali del Pignagnoli, originale e
antiaccademico,
messo a punto fin dagli anni quaranta del secolo scorso, è di
tipo
generativista,
come lui stesso l’ha definito.
Enunciata in breve, la sua tesi è che i minerali crescono e
rinascono alla maniera delle piante, e questo in virtù del fatto
che, nei minerali, agiscono dei semi, degli spermatozoi di una
dimensione
subatomica, muniti di un’esile proboscide, chiamati fottoni basici,
cui è delegata, in natura, la funzione riproduttiva.
La testa del fottone basico è formata quasi per intero
da un nucleo portatore dell’informazione genetica dei minerali (oggi si
direbbe il DNA). È lì, secondo Pignagnoli, che sono
racchiuse
le loro proprietà meccaniche (durezza, sfaldabilità,
fratturazione)
e ottiche (colore, lucentezza, indice di rifrazione), insieme a quelle
elettriche e magnetiche.
La teoria pignagnolesca sulla fecondità minerale, che
presenta evidenti implicazioni filosofiche, ha radici lontane.
Già
nel 1722 Crosset de la Heaumerie, nel libro Les Secrets les plus
cachés
de la philosophie des Anciens, scrive che in certi paesi, nelle
miniere
esaurite, vengono sparsi frammenti e limature di ferro; detto in altri
termini, ciò significa che si procede a effettuare una vera e
propria
semina del ferro.
Conclusa la semina, si attendono circa quindici anni e «alla
fine di questo tempo si può estrarre una grande quantità
di ferro». Non c’è dubbio – prosegue Crosset de la
Heaumerie
– che «la moltiplicazione tanto abbondante di ferro derivi dal
fermento
seminale del ferro grattugiato che, una volta sotto terra, si mescola,
specie dopo le piogge, ai residui ferrosi della miniera stessa. In
questo
modo l’essenza seminale del ferro tritato agisce più o meno come
le altre semenze».
Analoga descrizione delle proprietà generative contenute nei
minerali (in particolare del ferro), slegati dalla fissità dei
luoghi
di estrazione, si trova nel saggio di Johann-Heinrich Pott, Des
éléments,
pubblicato a Parigi nel 1782.
Influenzato dai resoconti scientifici di Crosset de la Heaumerie e
di Pott, e dalla lettura delle cronache stilate da mastri ferrai che,
specie
nei secoli XVIII e XIX, si sono prodigati in verifiche sul fenomeno in
questione, Pignagnoli ha effettuato vari esperimenti per controllare
l’adeguatezza
della teoria della fecondità minerale.
In particolare, nel 1954, non lontano da Marciana nell’isola d’Elba,
ha seminato della polvere ferrosa in sette metri quadrati all’interno
del
terreno circostante una miniera di ferro abbandonata. Dopo tredici anni
e sette mesi, cioè nell’estate del 1968, ha verificato, con
l’aiuto
di una escavatrice e di alcuni volontari (fra cui un cugino dello
stesso
Pignagnoli), e alla presenza di un gruppo di esperti mineralogisti,
coordinato
dal professor Ulrico Frangini dell’Università di Pisa, che la
quantità
di ferro contenuta nello spazio prescelto si era più che
raddoppiata
rispetto all’anno iniziale.
In uno scritto sull’esperimento elbano, pubblicato sulla rivista Il
Minerale, numero 12/13, 1971, pp. 34-56, Pignagnoli fa notare che,
intervenendo in modo prematuro sul terreno posto a semina, si rischia
di
trovare del ferro non ancora completato, abortito, e perciò
scadente.
L’interruzione del lavoro della natura può infatti generare
metalli
imperfetti.
Un altro capitolo interessante affrontato da Pignagnoli riguarda
le malattie dei minerali, come ad esempio la ruggine, tipica
infermità
cui è soggetto il ferro. Poiché è facile
constatare
che i minerali si trovano senza ruggine nelle viscere della terra, la
causa
di tale patologia, osserva Pignagnoli, va ricercata nell’azione di un
virus
(rufovirus) che attacca e distrugge le loro difese immunitarie.
Sulla sessualità dei minerali, Pignagnoli condivide
l’opinione
di coloro che affermano che, mentre resta difficile distinguere l’oro
maschio
dall’oro femmina, è indubbio che i solfuri possiedono attributi
maschili (sporgenze, rigonfi, punte), al contrario dei nitrati dove
sono
dominanti le caratteristiche femminili (cavità, fessure).
Teatro Storchi di Modena, 9 febbraio 2004.
Da sinistra: Alberto Manfredini, Ermanno
Cavazzoni,
Ivan Levrini, Paolo Albani, Alberto Bertoni e
Bruno Stori.
***
Intervento tenuto al convegno su La vita secondo Learco
Pignagnoli,
scrittore e filosofo, organizzato da Ermanno Cavazzoni e Daniele
Benati,
convegno svoltosi il 20 settembre 2003 nel teatro della Fondazione
Collegio
San Carlo di Modena nell'ambito del Festivalfilosofia,
replicato, con alcune varianti, il 9 febbraio 2004 al teatro Storchi di
Modena e il 3 aprile 2004 al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia.
Su Learco Pignagnoli si veda il libro di Daniele Benati, Opere
complete di Learco Pignagnoli, Aliberti editore, Reggio Emilia,
2006, riedito in un'edizione ampliata da Quodlibet Compagnia Extra nel 2022.
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