Paolo Albani
MI RICORDO





            I ricordi sono frammenti di vita sottratti al vuoto, scrive Georges Perec in W o il ricordo d’infanzia (1975), uno dei suoi testi più autobiografici insieme, fra gli altri, a Luoghi dove ho dormito, un progetto rimasto incompiuto, descritto in Specie di spazi (1974), e Mi ricordo (1978). Quest’ultimo è una sorta di libro di sociologia della vita quotidiana, definito dallo stesso Perec «sympathique» nel senso che è in simpatia con i lettori perché fa scattare in loro la voglia di immergersi nel mare delle proprie individuali reminescenze. Non a caso, su richiesta di Perec, il libro si chiude con qualche pagina bianca dove il lettore, se vuole, potrà annotare i «Mi ricordo» personali suscitati dalla lettura di quelli perecchiani.




     La formula magica con cui è costruito il libro è molto semplice: si scrivono le parole «Mi ricordo», stando seduti alla scrivania, in un caffè, in treno o in aeroporto, ci si sofferma un po’ a frugare dentro l’ampio e sfuggente contenitore della nostra memoria e come per incanto si vedranno affiorare i più assopiti e a volte inaspettati ricordi, non di rado banali e però comuni, se non a tutti, per lo meno a molti. Dalla miriade di ricordi accennati da Perec − il libro si ferma al numero 480 cui segue l’annotazione (continua…) – emerge un interessante spaccato della vita dello scrittore, si decantano i suoi gusti musicali, culinari, letterari, cinematografici, ecc., che fanno parte e si nutrono tuttavia di una memoria collettiva.

     Ci sono ad esempio molti «Mi ricordo» dedicati al jazz, genere di musica fortemente amato da Perec: «Mi ricordo Lester Young al Club Saint-Germain; indossava un completo di seta blu con una fodera di seta rossa»; «Mi ricordo che il palindromo di Horace – Ecaroh – è il titolo di un pezzo di Horace Silver».

      La memoria, si sa, fa spesso brutti scherzi. Alcuni dei «Mi ricordo» di Perec sono sbagliati, per sua stessa ammissione, anche se ciò non toglie nulla alla gustosità del libro. L’amico Queneau, che ha letto un’anticipazione del testo sulla rivista Les Cahiers du Chemin (26, 1976), segnala a Perec di aver confuso due dei quattro «moschettieri» del tennis francese degli anni 1920-1930. Nel suo Je me souviens de Je me souviens. Notes pour Je me souviens de Georges Perec à l’usage des générations oublieuses (Le Castor Astral 1998), Roland Brasseur afferma di aver individuato circa 30 errori o dimenticanze evidenti nel Mi ricordo perecchiano.

    La formula magica utilizzata da Perec è stata inventata, come lo scrittore francese riconosce all’inizio del suo libro, da Joe Brainard (1942-1994), pittore, poeta e scrittore americano, autore di I remember (1975), ora meritoriamente edito in italiano presso l’editore Lindau, nella traduzione di Thais Siciliano con la collaborazione di Susanna Basso, e una bella prefazione di Paul Auster.

      Quest’ultimo ricorda che Brainard concepì il semplice ma ingegnoso metodo di composizione di Mi ricordo nell’estate del 1969 e subito lo comunicò alla poetessa Anne Waldman: «In questi giorni sono eccitatissimo per un pezzo che sto ancora scrivendo, si intitola Mi ricordo. Mi sento molto Dio che scrive la Bibbia. Cioè, mi sembra di non essere io a scriverlo, ma che sia attraverso di me che viene scritto. Penso anche che parli di tutti quanti, oltre che di me. E questo mi piace. Cioè, mi sento come se fossi tutti. Ed è una bella sensazione. Non durerà. Ma me la godo finché posso».

    Il risultato ottenuto da Brainard, osserva Auster, «è il prodotto di diverse forze che operano in simultanea lungo tutto il libro: il potere ipnotico dell'incantesimo; l'economia della prosa; il coraggio dell'autore di rivelare di sé (spesso in campo sessuale) [«Mi ricordo la prima erezione che ricordo benissimo. Ero sul bordo di una piscina pubblica. Stavo prendendo il sole a pancia in su sopra un asciugamano. Non sapevo cosa fare, a parte girarmi, quindi mi girai. Ma non andava via. Mi scottai terribilmente. Tanto che dovetti andare dal dottore. Mi ricordo quanto faceva male infilarmi la camicia»] cose che molti troverebbero troppo imbarazzanti; l'attenzione al dettaglio tipica del pittore; il dono di saper raccontare; la riluttanza a esprimere giudizi; il senso di lucidità interiore; l'assenza di autocommiserazione; la ricchezza di toni, dall'asciuttezza di certe affermazioni agli elaborati voli della fantasia; e soprattutto (la sua caratteristica più piacevole), l'articolata struttura musicale del libro nel suo insieme». Insomma, a giudizio di Auster, il libro è nuovo, strano e sorprendente perché – l’affermazione sarebbe piaciuta a Perec, sensibile, in quanto esponente dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle), agli aspetti potenziali dei testi, cioè alla loro capacità di aprirsi a molteplici combinazioni – il Mi ricordo di Brainard, sia pure breve, «è infinito, uno di quei libri che non si esauriscono mai».

    E c’è da dire che, specie dopo il Mi ricordo di Perec, dedicato allo scrittore americano Harry Mathews, uno dei membri stranieri dell’OuLiPo insieme a Italo Calvino (fu proprio Mathews a far conoscere il libro di Brainard a Perec), la formula magica del «Mi ricordo» ha avuto molti seguaci. Lo stesso Mathews l’ha impiegata, quella formula, in un libro intitolato Le Verger (P.O.L. 1986) dove tutti i «Mi ricordo» sono riferiti a Perec, come questo, il primo: «Mi ricordo d’aver incontrato più di una volta Georges Perec nell’autobus o nel metrò. Si metteva sempre vicino a una finestra; riconoscevo da lontano la sua pettinatura “afro” e la sua barbetta che dava al suo viso l’aspetto raggiante di una maschera primitiva».

    C’è poi anche chi, come Jacques Bens (1931-2001), uno dei cofondatori dell’OuLiPo, quella formula magica l’ha usata in modo originale rovesciandola in J’ai oublié (La Bibliothèque Oulipienne, 88, 1997).

    Per l’Italia mi limito a ricordare il Mi ricordo di Matteo Bianchi (Fernandel 2004) e una plaquette dell’OpLePo (Opficio di Letteratura Potenziale) Je me souviens. Per Brunella Eruli (Biblioteca Oplepiana, 35, 2012).


12 agosto 2014
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