Paolo Albani
I
LIBRI CHIMERA
Vincenzo Agnetti
Libro dimenticato a memoria, 1969
69,5x50x2,5 cm, 528 esemplari
Se la Chimera, ronzante nel vuoto,
può
mangiare le seconde intenzioni.
Nel mondo dei libri
accadono fenomeni strani, bizzarri.
Può capitare ad esempio d'imbattersi in libri come quello
di Jean de Montchenu, un libro cinquecentesco di madrigali che, in
virtù
del suo contenuto amoroso, è a forma di cuore oppure in libri
microscopici
come il Giardino chiuso (Bloemhofje) stampato in Olanda nel
XVII
secolo che, con i suoi 8x12mm, detiene il primato del libro più
piccolo del mondo o ancora in libri con pagine e rilegature di latta
come
quelli creati dai futuristi.
Per quanto il formato e il materiale di cui sono fatti siano
decisamente insoliti, si tratta pur sempre negli esempi citati di libri
in senso tradizionale, che non hanno abdicato alla loro originaria
funzione
comunicativa, che agiscono da supporto di un testo letterario
artisticamente
compiuto.
Il mondo dei libri ci riserva, tuttavia, ben altre sorprese,
feconde mostruosità, libri davvero speciali che, per la loro
natura
illusoria, fantasiosa, potremmo chiamare libri chimera.
Quando si pensa ai libri chimera, per prima cosa vengono
in mente i libri inesistenti, gli pseudobiblia come li ha
definiti
Lyon Sprague De Camp, ovvero i libri che vivono dentro i libri,
inventati
dagli scrittori nei loro romanzi. In pratica la storia dei libri
immaginari
ha inizio con Rabelais e il catalogo burlesco della Biblioteca
dell'abbazia
di San Vittore (dove c'è, fra gli altri, il libro Questione
molto
sottile, sapere se la Chimera, ronzante nel vuoto, può mangiare
le seconde intenzioni1), e prosegue fino ai giorni
nostri
passando per autori come Perec, Queneau, Calvino e molti altri. Lo
scrittore
cileno Bolaño, tanto per fare un esempio, ha costruito, nel
romanzo La
letteratura nazista in America (1996), un falso manuale di
letteratura
comprensivo di un apparato bibliografico che raccoglie nomi di
personaggi,
titoli di libri e di riviste, marchi editoriali: tutto scrupolosamente
inventato.
Tracce di intere biblioteche immaginarie, mirabiblia,
repertori librari fantasma, meticolosi cataloghi di opere fittizie,
introvabili
perché mai stampate, affiorano qua e là nei testi
letterari.
In alcuni casi la diffusione di cataloghi di falsi libri è
servita
a infliggere atroci scherzi ai danni dei bibliofili, gente
spregiudicata
disposta a tutto pur di possedere un titolo raro, per quanto
inesistente.
Borges sostiene che: «Perché un libro esista, basta
che sia possibile». Ma allora l'ombra di un dubbio si allunga su
questa tipologia di libri chimera e viene da chiedersi: «Davvero
sono irreali, illusori i libri inesistenti?»
Al genere fantastico appartengono
in un certo senso i libri giocattolo,
libri per bambini che nascondono al loro interno figure tridimensionali
e elementi interattivi come linguette e congegni di vario tipo da
azionare.
Nel mondo anglosassone sono conosciuti con il nome di pop-up books,
da pop-up che significa «saltare su, fuori». La
storia
dei pop-up books, su cui non possiamo soffermarci, è
antica:
esempi di libri con elementi interattivi si trovano già nel XIII
secolo: il primo libro di questo genere, un testo matematico di
Euclide,
conteneva una piramide in rilievo la cui funzione era di illustrare gli
angoli. Un maestro innovativo di «paper engineering»
è
stato Lothar Meggendorfer (1847-1925), inventore di libri con scene
animate
tradotti in tutto il mondo.
Nelle «Istruzioni per l'uso» poste a introduzione
del suo libro Cents mille milliards de poèmes (1961),
operetta
che permette a chiunque di comporre a piacimento centomila miliardi di
sonetti, naturalmente tutti quanti regolari, Raymond Queneau confessa
di
essersi ispirato non ai giochi surrealisti tipo Cadavere squisito,
ma a un libro per bambini intitolato Têtes Folles, libro
le
cui pagine sono divise in tre strisce separabili: sulla striscia in
alto
è disegnata la testa di un personaggio, al centro il busto e in
basso le gambe; agendo sulle strisce si ottengono combinazioni di
figurine
con teste e abiti differenti.
Nei Cents mille milliards de poèmes Queneau ha
scritto dieci sonetti con le stesse rime e con una struttura
grammaticale
tale che ogni verso dei singoli sonetti è intercambiabile con
ogni
altro verso situato nella stessa posizione. Per ciascun verso si
avranno
così dieci possibili scelte indipendenti; dato che i versi sono
14, si avranno in totale 1014 sonetti, cioè centomila miliardi
di
poesie. La particolarità di questa specie di macchina per
fabbricare
poesie è che le pagine del libro - un vero e proprio libro
oggetto
- sono formate da una serie di striscioline svolazzanti su cui è
riprodotto il verso di un sonetto, di modo che, alzando a sua
discrezione
le striscioline, il lettore crea il suo personale sonetto.
«Calcolando 45" per leggere
un sonetto e 15" per cambiare la disposizione
delle striscioline, per otto ore al giorno e duecento giorni all'anno,
se ne ha per più di un milione di secoli di lettura. Oppure,
leggendo
tutta la giornata per 365 giorni l'anno, si arriva a 190 258 751 anni
più
qualche spicciolo (senza calcolare gli anni bisestili e altri
dettagli)»
(Raymon Queneau, «100 000 000 000 000 di poesie. Istruzioni per
l'uso»,
in Segni, cifre e lettere e altri saggi, introduzione di Italo
Calvino,
Einaudi, Torino, 1981, pp. 50-51.).
Alla famiglia dei libri
chimera appartengono anche i cosiddetti libri
trompe-l'œil, libri-sosia, controfigure immateriali, ingannevoli
imitazioni
dei libri veri.
Qui siamo di fronte a dei libri che solo in apparenza sono tali,
che hanno sì la forma riconoscibile dei libri comuni, ma in
realtà
sono dei similibri, dei libri fotocopia, snaturati in quanto concepiti
per usi diversi dalla lettura: ad esempio per nascondere armi (pistole,
coltelli), come si vede nei film polizieschi, oppure per fare bella
mostra,
in un corpo di legno o di polistirolo, sui mobili esposti nei negozi
d'arredamento
o nelle librerie private, per pura ostentazione. Già Seneca
nelle Lettere
a Lucilio aveva denunciato che «Molte persone ignoranti usano
i libri non per studiare, ma per arredare le loro stanze».
Nel 1761, quand’era intendente a Limoges, il filosofo Turgot
fece decorare il suo studio di scaffali finti con finti libri ai quali
aveva attribuito titoli satirici come: Apologia della
schiavitù
dei negri; L’arte di complicare le cose semplici dell’abate
Galiani; L’arte di fare i gelati, da parte del gestore di un
piccola
mescita dell’Inquisizione; Raccolta delle più ingegnose
mariolerie,
pubblicata in favore delle vittime.
Al numero 117 di rue Raymond-Losserand a Parigi esiste, dipinta
a trompe-l'œil su un muro, una «biblioteca impossibile»
ideata
nel 1977 da Jacques Jouet e Jacques Bertin dove sono riportati anche
dei
libri immaginari contenuti ne La vita istruzioni per l'uso
(1978)
di Perec.
Un'altra tipologia di libri
chimera è quella costituita
dai libri «come se», oggetti qualunque, generalmente
cartacei,
che non sono affatto dei libri, ma che vengono trattati come se lo
fossero, prendendo sul serio l'affermazione di Breton che anche un
orario
ferroviario può essere letto come se fosse un libro di
poesie.
In altre parole sono dei non libri rivisitati come
se fossero dei libri reali.
Nel 1968 su il Caffè di Giambattista Vicari
uscì
una breve recensione, firmata R.G. Giardini, pseudonimo dello stesso
Vicari,
a un «libro» di «12 pagg. Ediz. in folio, stamp. in
rotativa»:
«L'opportuna ristampa
della notissima pubblicazione, tempestiva
in questo scorcio di stagione, rimane sempre il più brillante
esempio
della pur discussa azione dello Stato al livello della promozione
culturale.
Benché incentrato sulle matematiche severe, l'esigenza
sostanzialista
dell'opera induce il lettore ad una piena collaborazione che lo porta
quasi
inconsapevolmente ad assurgere al livello di coautore; e obbliga gli
italiani
a superare la tradizionale vocazione umanistica, in un benefico
condizionarsi
alle strutture reali, a storicizzare - diremmo - le loro vicende
singole,
in un rigore senza indulgenze» (R.G. Giardini, «Recensioni
brevi», il Caffè, 1, febbraio 1968, p. 144).
In realtà il
«libro» recensito non era un libro,
ma il vecchio Modello Vanoni per la dichiarazione dei redditi.
Nei suoi «esercizi di falsificazione letteraria»,
raccolti nel Diario minimo (1963), Eco ha recensito come se
fossero
dei libri, esaminandone i valori stilistici, le incoerenze di contenuto
e le contaminazioni formali, due opere preziose, due edizioni numerate
in folio, tirate in un grandissimo numero di esemplari:
Banca d'Italia, Lire cinquantamila, Roma, Officina della Banca
d'Italia, 1967
Banca d'Italia, Lire centomila, Roma, Officina della Banca
d'Italia,
1967
Nella recensione,
apertamente negativa, Eco mette in luce il gusto
per il consumo che si annida nei fogli esaminati che forse qualcuno
aspirerebbe
a comporre in un volume potenzialmente infinito, come doveva essere il Livre
di Mallarmé. Il realismo di queste opere è fasullo,
mentre
il loro avanguardismo psichedelico cela alienazioni più
profonde.
Comunque, conclude Eco, siamo grati all'editore di averci inviato le
copie
omaggio per recensione2.
Anche un calendario da parete con i foglietti che si strappano
via via può considerarsi un libro, e grosso per di più,
dal
momento che non può contare meno di trecentosessantacinque
pagine.
Così la pensa la poetessa polacca Wislawa Szymborska, premio
Nobel
per la Letteratura nel 1996. Il calendario, scrive la Szymborska, con
una
tiratura di tre milioni e trecentomila esemplari, «è il
bestseller
dei bestseller. Richiede agli editori un'inesorabile puntualità,
perché nei piani editoriali non c'è modo di spostarlo di
un anno o di un anno e mezzo. Dai redattori esige la perfezione
professionale,
dal momento che il minimo errore potrebbe provocare turbe mentali.
Immaginatevi
due mercoledì nella stessa settimana o l'onomastico di Enrico
nel
giorno di san Giovanni! [...] Il calendario è l'unico libro che
non si prefigga di sopravvivere a noi tutti, che non aspiri a una
sinecura
sugli scaffali di una biblioteca, è programmaticamente
effimero»3.
I libri che forse
più di altri rivelano una vocazione chimerica,
fantastica, sono i libri illeggibili, libri che non contengono
parole
da leggere, libri senza testo, ma pieni di comunicazione visiva e
tattile.
I libri illeggibili di Bruno Munari, creati a partire
dal 1949, comunicano qualcosa attraverso la natura della carta, lo
spessore,
la trasparenza, il formato delle pagine, il colore della carta, la
texture,
la morbidezza o la durezza, il lucido e l'opaco, le fustellature e le
piegature.
Un libro illeggibile comunica se stesso attraverso, non un testo che
gli
è stato stampato sopra, ma sequenze di immagini come fotogrammi
di un film: ad esempio, osserva Munari, un libro di carta da lucido,
come
quella usata da architetti e ingegneri per i loro progetti, dà
un
senso di nebbia: sfogliando quelle pagine si ha come la sensazione,
l'illusione
di entrare nella nebbia.
I libri ri-creativi di Munari sono animati da un principio di
interattività, di complicità con il lettore: un libro
illeggibile
infatti si può usare aprendo le pagine a caso, cominciando dove
si vuole, andando avanti e tornando indietro, per comporre e scomporre
ogni possibile combinazione4.
Molteplici sono le strategie, le tecniche sperimentate,
soprattutto
a partire dagli anni sessanta del XX secolo, da movimenti artistici
quali
Fluxus, Poesia visiva, Narrative art e altri ancora, per rendere il
libro,
decaduto a merce di consumo nella società capitalistica, uno
strumento
illeggibile, per azzerarne la comunicazione e trasformarlo in un
oggetto
estetico, in un libro-scultura o sculto-libro, in un unicum chimerico,
eccentrico, non più «portatore di informazioni», ma
«produttore di sensazioni».
Si va dalla violenza gestuale di alcuni artisti che, in odio
alla leggibilità, si sono spinti fino al limite assurdo di
bruciare
il libro (Enrico Bugli), di incollarne le pagine, imbullonarlo e
legarlo
(Libro dell'insane passioni di Gaetano Colonna) e perfino di
sparargli
a brucia pelo sulle pagine (Sette colpi di pistola di Marcello
Diotallevi),
alle ossessive cancellature effettuate su libri già esistenti
(Emilio
Isgrò); dalla sottrazione dello spazio riservato al testo
lasciando
solo i margini bianchi delle pagine (Il libro dimenticato a memoria
di Vincenzo Agnetti) all'uso di grafie incomprensibili, enigmatiche
(Irma
Blank, Vito Capone) o ancora alla raffigurazione del linguaggio umano
con
elementi materici quale il filo di cotone (Maria Lai) o con dei buchi
al
posto delle parole (come nel libro-cacio della Bentivoglio, un libro di
marmo).
Fra le realizzazioni concettuali più suggestive, sempre
sul piano dell'illeggibilità, si distinguono il Libro
circolare
(1968) di Mario Mariotti e Universum (1969) di Maurizio
Nannucci.
Il primo, come suggerisce il titolo stesso, è un libro
con il dorso completamente circolare, la cui visione evoca quel passo
del
racconto di Borges, La biblioteca di Babele (1941), in cui si
dice
che: «I mistici pretendono di avere, nell'estasi, la rivelazione
d'una camera circolare con un gran libro circolare dalla costola
continua,
che fa il giro completo delle pareti. Ma la loro testimonianza è
sospetta; le loro parole, oscure. Questo libro ciclico è
Dio».
Il secondo libro, Universum, ha una rilegatura in pelle
blu che si avvolge sulle pagine del libro dando origine a due dorsi,
rilegatura
segnata da una serie di stelle, forse a suggerire che si tratta di un
libro
raffigurante il cosmo divenuto libro, illustrazione del mito del libro
totale, enciclopedia del sapere assoluto.
Un'ulteriore variante del libro illeggibile è il libro
monocromatico, composto cioè di pagine tutte di uno stesso
colore,
senza alcun testo stampato sopra, come nel caso dell'Ur-Buch ovvero
Romanzo Blu (1997) di Irma Blank.
Sui libri blu c'è una storia divertente. Il generale di brigata
Augustus J. Pleasonton (1808-1894) era convinto che la luce blu avesse
effetti positivi sulle piante (fece sperimenti in una serra che aveva
dei
vetri colorati di blu), sugli animali e anche sull'uomo: i vetri color
blu cobalto secondo Pleasonton potevano curare qualsiasi male, dalla
gotta
alla meningite spinale, dalla paralisi alle emorragie polmonari.
Così
quando Pleasonton pubblicò a Philadelphia nel 1867 L'influenza
del raggio blu della luce solare e del colore blu del cielo, volle
che il libro avesse un'appropriata rilegatura blu cobalto e fosse
stampato
su carta colorata con un inchiostro blu chiaro in modo da evitare
«agli
occhi del lettore di essere affaticati dal bagliore causato dalla luce
delle lampade a gas che di notte si riflette sulla carta bianca
normalmente
utilizzata per la stampa dei libri». Purtroppo, con il passare
del
tempo, la sostanza usata per tingere la carta si ossidò
malamente
costringendo il lettore a strabuzzare gli occhi per leggere lo sbiadito
inchiostro blu (Paul Collins, «La speciale luce blu di A.J.
Pleasonton»,
in La follia di Banvard, Adelphi, Milano, 2006, pp. 265-295).
Un altro chiaro esempio (e qui la chiarezza va intesa in senso stretto)
è rappresentato da Life and Work (1962) di Piero
Manzoni,
libro di sole pagine bianche. Da sempre il candore delle pagine bianche
ha affascinato gli artisti e gli scrittori, e forse questo si spiega
con
il fatto che le pagine bianche, come ha detto Kandinskij, non sono
altro
che un ricettacolo di immagini mentali e di un silenzio ricco di
possibilità.
Del libro di Manzoni esiste una versione edita a Berlino nel
1969 che assembla solo fogli trasparenti, specchio di un linguaggio
nascosto,
non raffigurabile, invisibile. La trasparenza dei fogli manzoniani ha
un
singolare corrispettivo letterario nelle «invisibilissime
pagine»
di Ernesto Ragazzoni, poeta dei buchi nella sabbia e dell'elegia del
verme
solitario.
«Ognuno lavora come
crede», afferma Ragazzoni. «Uno
dei lavori più graditi, per me, dei più appassionanti, il
lavoro dei lavori, è... non scrivere. Ci passerei tutta la vita.
[...] La mia fatica di inveterato non scrittore [...] è di
condurre,
in pensiero, invisibili penne all’assalto di invisibili fogli di carta
alla conquista ideale di volumi e volumi che non saranno mai, altro che
nella mia mente [...]. Mi sono composto, così, dentro, un’intera
biblioteca, tutta opera mia, e di cui io solo ho la chiave. […] La mia
teoria [...] è che le idee son fatte per rimanere idee. Sono
cose
di lusso o pericolose che a portarle sul mercato ci perdono o creano
guai.
Quante idee – diventate fisse – hanno condotto al manicomio, quante
hanno
trascinato gente a massacrarsi. [...] È grazie a questi sodi
principii
che di continuo riesco a regalarmi alla fantasia invisibili pagine
meravigliose
che scritte sarebbero sciupate»5.
Note
(1) Nella voce «La Chimera» de Il libro degli esseri
immaginari (Adelphi, Milano, 2006, pp. 66-67), Borges cita questo
libro
immaginario di Rabelais.
(2) Umberto Eco, «Tre recensioni anomale», in Diario
minimo, Mondadori, Milano, 1986, pp. 124-125.
(3) Wislawa Szymborska, «Voltando pagina», in Letture
facoltative, Adelphi, Milano, 2006, pp. 72-73.
(4) Bruno Munari, Da cosa nasce cosa, Laterza, Roma-Bari, 1999,
p. 222.
(5) Ernesto Ragazzoni, Le mie invisibilissime pagine, Sellerio,
Palermo, 1993, pp. 21-23.
Questa è la mia relazione al convegno su La Chimera
tenutosi
all'Hotel "La Palma" di Capri dal 2 al 5 novembre
2006, organizzato da
Raffaele Aragona per caprienigma.
Si veda anche il libro: Illusione e
seduzione, a cura di Raffaele Aragona, Edizioni Scientifiche
italiani, Napoli, 2010, pp. 51-57.
Sullo stesso argomento ha fatto un
intervento alla manifestazione Letteraria, letture, lettori,
letterature
(Pistoia 2006), poi pubblicato sulla rivista Culture del testo
e del documento. Le discipline del libro nelle biblioteche e negli
archivi,
Vecchiarelli Editore, 23/2007, pp. 5-18.
Questo testo è citato nella tesi di laurea di Natalia Mikhailovna Molchanova Libro d'artista moltiplicato. Segno, oggetto, ambiente come forme di comunicazione, discussa nell'anno accademico 2012/2013 presso il Dipartimento di Arti visive dell'Accademia di Belle Arti di Brera di Milano.
HOME
PAGE TèCHNE
RACCONTI
POESIA VISIVA
ENCICLOPEDIE
BIZZARRE ESERCIZI
RICREATIVI NEWS
|