Paolo Albani
LA FORMA
BIZZARRA DEI LIBRI
1. Premessa
«Un libro, qualunque libro, è per noi un oggetto
sacro; già Cervantes, che forse non ascoltava tutto quel che
diceva
la gente, leggeva perfino "le carte strappate nella strada"»
(Jorge
Louis Borges, «Del culto dei libri», in Tutte le opere,
a cura di Domenico Porzio, volume primo, Mondadori, Milano, 1984, p.
1010).
La sacralità del libro - lo sanno bene i bibliofili la cui
ragione
di vita si condensa nella frase di Mallarmé «tutto al
mondo
esiste per far capo a un libro» - si esprime anche attraverso la
sua forma, il suo aspetto fisico, la sua corporalità.
«Quando le mie mani
scelgono un libro da portare a letto
o sulla scrivania, per passare il tempo in treno o per fare un
regalo,»
- scrive Alberto Manguel, noto in Italia soprattutto per un bellissimo Manuale
dei luoghi fantastici (Rizzoli 1982), scritto in collaborazione con
Gianni Guadalupi - «ne prendono in considerazione non solo il
contenuto,
ma anche la forma. A seconda dell'occasione e del luogo in cui voglio
leggere,
le mie preferenze andranno a qualcosa di piccolo e grazioso, oppure di
grande e sostanzioso. I libri si presentano attraverso il titolo,
l'autore,
la collocazione in un catalogo o sullo scaffale, l'illustrazione in
copertina;
si presentano anche attraverso le dimensioni. Col mutare dei tempi e
dei
luoghi muta anche l'aspetto dei libri; e noi siamo in grado di
attribuire
un libro a una certa epoca e a un certo paese con una semplice
occhiata.
Le caratteristiche esteriori fanno parte della loro essenza. Io giudico
un libro dalla copertina; io giudico un libro dalla sua forma»
(Alberto
Manguel, Una storia della lettura, Mondadori, Milano, 1997, p.
135).
Sarà capitato a
molti di vedere in una libreria o in una
biblioteca uno sniffatore di libri in azione, un feticista
dell'oggetto-libro,
il quale, aperto un libro, vi infila il naso dentro, in mezzo alle sue
pagine per assaporarne il profumo pungente della carta, degli inchiostri
tipografici,
della colla della rilegatura, profumo che rende più voluttuoso
il
«piacere del testo». È questa una manifestazione di
amore sensuale verso il libro in quanto supporto materiale di un testo
(sugli odori dei libri le argute osservazioni di Ermanno Cavazzoni,
«I
nuovi profumano come i bambini», la Repubblica, domenica
17
settembre 2006, p. 39).
La forma del libro ne valorizza - in certi casi, come vedremo
più avanti, ne determina - il contenuto. Una delle figure
più
note e affascinanti di bibliofilo prodotte in campo letterario è
il duca Jean Des Esseintes, trentenne anemico e nevrastenico votato fin
da giovane agli appagamenti estetici, protagonista del romanzo Controcorrente
o A ritroso (À rebours) (1884) di Joris-Karl
Huysmans.
A proposito di un'edizione delle opere di Baudelaire posseduta da Des
Esseintes
si dice:
«Questa edizione in unico
esemplare, stampata nel nero vellutato
dell'inchiostro di China, era stata vestita al di fuori e ricoperta
dentro
d'una autentica meravigliosa pelle di scrofa: scelta fra mille, color
carne;
picchiettata al posto delle setole e adorna di merletti neri impressi a
freddo, assortiti con squisito gusto da un autentico artista.
Quel giorno Des Esseintes tolse dallo scaffale l'impareggiabile
volume. Se lo palpeggiava religiosamente; si rileggeva poesie che, in
quella
semplice ma inestimabile cornice, gli parevano più inebrianti
del
solito» (Joris-Karl Huysmans, Controcorrente, Garzanti,
Milano,
1982, pp. 146-147).
In modo chiaro qui si mette
in risalto che è la forma del
libro, la sua «inestimabile cornice», a rendere
«più
inebrianti del solito» le poesie di Baudelaire.
A proposito della forma del libro si è fatto presente
che il libro, almeno quello da leggere, altra cosa è il libro da
consultare (dizionari, enciclopedie, ecc.),
«appartiene a quei miracoli
di una tecnologia eterna di cui fan
parte la ruota, il coltello, il cucchiaio, il martello, la pentola, la
bicicletta. [...] L'umanità è andata avanti per secoli
leggendo
e scrivendo prima su pietre, poi su tavolette, poi su rotoli, ma era
una
fatica improba. Quando ha scoperto che si potevano rilegare tra loro
dei
fogli, anche se ancora manoscritti, ha dato un sospiro di sollievo. E
non
potrà mai più rinunciare a questo strumento meraviglioso.
La forma-libro è determinata dalla nostra anatomia. Ce ne
possono
essere di grandissimi, ma per lo più hanno funzione di documento
o di decorazione; il libro standard non deve essere più piccolo
di un pacchetto di sigarette o più grande de L'Espresso. Dipende
dalle dimensioni della nostra mano, e quelle - almeno per ora - non
sono
cambiate, con buona pace di Bill Gates» (Umberto Eco,
«Libri
da consultare e libri da leggere», in La Bustina di Minerva,
Bompiani, Milano, 1999, p. 156).
La forma dei libri ha
cambiato tante volte nella storia e continuerà
a cambiare, influenzando il nostro modo di leggere, anche se - ci
ricorda
Calvino - non possiamo prevedere come. In ogni caso, scrive ancora
Calvino,
«penso che ogni nuovo mezzo di comunicazione e diffusione delle
parole,
delle immagini e dei suoni possa riservare sviluppi creativi nuovi,
nuove
forme d'espressione» (Italo Calvino, «Il libro, i
libri»,
in Mondo scritto e mondo non scritto, Mondadori, Milano, 2002,
pp.
126-141).
A proposito del rapporto forma del libro-modo di leggere, va
detto che l'uomo si è sempre ingegnato per trovare la posizione
migliore, più pratica ed efficiente per leggere. Ecco, ad
esempio,
quale diavoleria si era escogitata nel XVII secolo per leggere
più
libri contemporaneamente:
Com'è noto esiste
una forma standard, «aurea»
del libro cartaceo: nei formati tradizionali di produzione i fogli di
carta
hanno tutti proporzioni prossime a 3:4, che esprime il rapporto tra
larghezza
e altezza della pagina; dunque la forma-tipo del libro di carta
è
rettangolare. Naturalmente esistono dimensioni diverse dei libri a
seconda
delle funzioni cui sono chiamati ad assolvere: un libro di chiesa, che
in genere viene collocato su un leggìo, potrà essere
più
grande di un libro usato in viaggio, cui si richiede di essere piccolo
e snello, di stare in una mano, di essere come si dice
«tascabile»
(si veda al riguardo Jan Tschichold, La forma del libro,
Edizioni
Sylvestre Bonnard, Milano, 2003).
Una curiosità. Quanto alle dimensioni sembra che il libro
più piccolo del mondo sia il Bloemhofje (Giardino
chiuso),
pubblicato in Olanda nel 1673 che misura 8x12 millimetri, più
piccolo
di un normale francobollo (Alberto Manguel, Una storia della lettura,
cit., p. 156).
Fatta questa breve premessa, dimentichiamoci dei libri normali,
comuni, dei libri che di solito incontriamo nelle librerie. Il nostro
sguardo
infatti sarà rivolto a esplorare specificatamente le forme
anomale,
insolite del libro, elaborate fuori dai canoni tradizionali,
gutenberghiani
dell'editoria, delineando, in una sorta di gioco fisiognomico, una
piccola
mappa di tipologie di libri bizzarri, di libri la cui stranezza va
rinvenuta
non solo e non tanto nella loro dimensione fisica, ossia nel formato,
ma
anche nel materiale di cui sono fatti e che li anima,
nell'atipicità
della loro struttura e ancora nella funzione - estetica, ludica,
comunicativa
- che pretendono di assolvere in modo originale e provocatorio, fino a
rasentare qualche volta l'assurdo.
2. Il libro digitale
E allora partiamo subito per il nostro fugace excursus nelle
forme stravaganti del libro iniziando dalla fine, e cioè da
oggi,
e più precisamente dal libro digitale o e-book,
contrazione
di «electronic book». Senza entrare in particolari troppo
tecnici,
si tratta, in un'accezione estesa del termine, di un testo compiuto,
organico
e sufficientemente lungo, accompagnato da metadati descrittivi,
disponibile
in un qualsiasi formato elettronico che ne consente la lettura
attraverso
un qualche tipo di dispositivo hardaware (computer portatile, palmare,
ecc.) appositamente progettato per essere lettore di e-book.
Un particolare tipo di e-book è l'audiolibro dove
il testo è riprodotto da una voce umana, in alcuni casi con
accompagnamento
musicale.
Un'anticipazione della moderna forma di audiolibro si trova ne L'Autre
Monde ou les États et Empires de la Lune (1657) di Savinien
de Cyrano de Bergerac, dove si apprende che le classi superiori della
Luna
per comunicare i loro pensieri usano un linguaggio di toni non
articolati.
Se gli abitanti della Luna parlano un linguaggio musicale, allora i
loro
libri non possono che essere "sonori":
«All'apertura, della
scatola, trovai dentro un non so che
di metallico quasi in tutto simile ai nostri orologi, pieno di un
numero
infinito di piccole molle e congegni impercettibili. Effettivamente
è
un libro, ma un libro prodigioso che non ha né fogli né
caratteri.
Insomma è un libro dove, per leggere, gli occhi non servono, ma
si ha bisogno solo degli orecchi. Quando qualcuno dunque desidera
leggere,
carica, con una gran quantità di ogni specie di chiavi, quella
macchina,
poi volge l'ago sul capitolo che desidera ascoltare, e subito escono da
quel congegno come dalla bocca di un uomo, o da uno strumento musicale,
tutti i suoni distinti e differenti che servono, tra i notabili della
Luna,
all'espressione del linguaggio» (Cyrano de Bergerac, L'altro
mondo
ovvero Stati e imperi della Luna, Editrice L'Unità, Roma, 1994,
pp. 121-122).
3. Il libro alchemico e
il libro immaginario
Una tipologia di libri bizzarri è rappresentata dai libri
alchemici, magici e quelli che s'incontrano nei racconti fantastici. Un
celebre alchimista del XV secolo, Nicolas Flamel (1330c-1418), scrivano
e copista dell'università di Parigi, così descrive ne Le
Livre des Figures Hiérogliphiques (1612) un libro alchemico
da lui acquistato per soli due fiorini:
«Non era fatto di carta o
di pergamena, come gli altri, ma, a
quanto mi parve, di cortecce delicate di teneri Arboscelli. Aveva una
copertina
di cuoio molto sottile, sulla quale erano impresse lettere o figure
strane;
a parer mio avrebbero potuto essere caratteri greci o di altra simile
lingua
antica. Tant'è che non ero in gradi di leggerli, non essendo
né
lettere né segni latini o gallici, perché di questi mi
intendo
poco» (Nicolas Flamel, Il libro delle figure geroglifiche,
Edizioni Mediterranee, Roma, 1978, pp. 62-63).
Nell'isola di Atlantide,
dove si parla una lingua difficile da
imparare che si scrive da destra a sinistra, comprendente suoni rauchi
e secchi, timbri acuti praticamente impossibili da imitare per un
europeo
e non riproducibili graficamente da alcun alfabeto europeo, molti libri
sono stampati su vesciche di pesce seccate (Gianni Guadalupi e Alberto
Manguel, Manuale dei luoghi fantastici, Rizzoli, Milano, 1982,
pp.
24-26).
Il fantastico, come genere letterario, è ricco di spunti
riguardanti i libri bizzarri, che potrebbero arricchire a buon diritto
quella Biblioteca del Superfluo che, nell'auspicio di Calvino, dovrebbe
trovare sempre posto nei nostri scaffali (Italo Calvino,
«L'arcipelago
dei luoghi immaginari», in Collezione di sabbia,
Mondadori,
Milano, 1994, pp. 145-149). Si pensi, tanto per fare altri esempi, al Libro
di Sabbia (1975) di Borges, un libro chiamato così
perché,
come la sabbia, non ha né principio né fine, è un
libro infinito, e perciò mostruoso, un oggetto da incubo. E
quale
forma sorprendente devono avere i libri che circolano a Fatlandia
(1882), mondo bidimensionale piatto come un foglio di carta, abitato da
figure totalmente piatte, inventato dal reverendo Edwin Abbott Abbott?
4. Il libro giocattolo
Al genere fantastico appartengono in un certo senso i libri
giocattolo,
libri per bambini che nascondono al loro interno figure tridimensionali
e elementi interattivi come linguette e congegni di vario tipo da
azionare.
Nel mondo anglosassone sono conosciuti con il nome di pop-up books,
da pop-up che significa «saltare su, fuori». La
storia
dei pop-up books, su cui non possiamo soffermarci, è
antica:
esempi di libri con elementi interattivi si trovano già nel XIII
secolo: il primo libro di questo genere, un testo matematico di
Euclide,
conteneva una piramide in rilievo la cui funzione era di illustrare gli
angoli. Un maestro innovativo di «paper engineering»
è
stato Lothar Meggendorfer (1847-1925), inventore di libri con scene
animate
tradotti in tutto il mondo.
Nelle «Istruzioni per l'uso» poste a introduzione
del suo libro Cents mille milliards de poèmes (1961),
Raymond
Queneau confessa di essersi ispirato non ai giochi surrealisti tipo Cadavere
squisito, ma a un libro per bambini intitolato Têtes
Folles,
libro le cui pagine sono divise in tre strisce separabili: sulla
striscia
in alto è disegnata la testa di un personaggio, al centro il
busto
e in basso le gambe; agendo sulle strisce si ottengono combinazioni di
figurine con teste e abiti differenti.
L'operetta di Queneau permette a chiunque di comporre a piacimento
centomila miliardi di sonetti, naturalmente tutti quanti regolari. E
questo
in ragione del fatto che Queneau ha scritto dieci sonetti con le stesse
rime e con una struttura grammaticale tale che ogni verso dei singoli
sonetti
è intercambiabile con ogni altro verso situato nella stessa
posizione.
Per ciascun verso si avranno così dieci possibili scelte
indipendenti;
dato che i versi sono 14, si avranno in totale 1014 sonetti,
cioè
centomila miliardi di poesie. La particolarità di questa specie
di macchina per fabbricare poesie è che le pagine del libro - un
vero e proprio libro oggetto - sono formate da una serie di
striscioline
svolazzanti su cui è riprodotto il verso di un sonetto, di modo
che, alzando a sua discrezione le striscioline, il lettore crea il suo
personale sonetto.
«Calcolando 45" per leggere
un sonetto e 15" per cambiare la disposizione
delle striscioline, per otto ore al giorno e duecento giorni all'anno,
se ne ha per più di un milione di secoli di lettura. Oppure,
leggendo
tutta la giornata per 365 giorni l'anno, si arriva a 190 258 751 anni
più
qualche spicciolo (senza calcolare gli anni bisestili e altri
dettagli)»
(Raymond Queneau, «100 000 000 000 000 di poesie. Istruzioni per
l'uso», in Segni, cifre e lettere e altri saggi, Einaudi,
Torino, 1981, pp. 50-51).
Lo stesso procedimento di
letteratura combinatoria è alla
base di composizione n. 1 (1962) di Marc Saporta, dove la
libertà
del lettore di leggere il romanzo disponendo come crede l’ordine delle
pagine è totale, poiché le pagine del romanzo, non
numerate,
sono davvero sciolte, libere, separate fisicamente le une dalle altre,
e stampate solo sul recto, il verso è bianco. Nella copertina
è
scritto: «Mescolate le pagine come un mazzo di carte e
leggete»,
mentre la fascetta che tiene unite le pagine riporta questa frase dal
sapore
queniano: «TANTI ROMANZI QUANTI SONO I LETTORI. L’ordine delle
pagine
è casuale: mescolandole, a ciascuno il “suo” romanzo»
(Marc
Saporta, composizione n. 1, Lerici, Genova, 1962). In questo
caso
la forma del libro condiziona la lettura: è un libro interattivo
come lo sono i libri giocattolo per l'infanzia.
Sempre per l'infanzia, per bambini dai 3 ai 6 anni, sono ideati I
Prelibri (1980) di Bruno Munari. Si tratta di dodici libretti di
carta,
di cartoncino, di cartone, di legno, di panno, di panno spugna, di
friselina,
di plastica trasparente, ognuno rilegato in modo diverso; su ogni
libretto
un unico titolo: LIBRO. Nelle intenzioni di Munari questi libretti
vogliono
mettere i bambini in condizione di familiarizzarsi con il libro come
oggetto,
di conoscerlo come strumento di cultura o di gioco poetico, di
assimilare
quella conoscenza che facilita l'esistenza. Il bambino deve memorizzare
che il libro è una cosa piacevole sotto tutti i sensi: vista,
tatto,
peso, materiale, ecc.
Dal 1949 Munari inizia a creare una serie di Libri illeggibili,
libri senza testo, ma pieni di comunicazione visiva e tattile. Questi
libri
comunicano qualcosa attraverso la natura della carta, lo spessore, la
trasparenza,
il formato delle pagine, il colore della carta, la texture (trattamento
per rendere ruvida una superficie liscia), la morbidezza o la durezza,
il lucido e l'opaco, le fustellature e le piegature. Un libro
illeggibile
comunica se stesso e non un testo che gli è stato stampato
sopra:
ad esempio, fa notare Munari, un libro di carta da lucido, quella usata
da architetti e ingegneri per i loro progetti, dà un senso di
nebbia:
sfogliando quelle pagine è come entrare nella nebbia.
Anche i libri ri-creativi di Munari si ispirano a un principio
di interattività: un «libro illeggibile si può
usare
aprendo le pagine a caso, cominciando dove si vuole, andare avanti e
tornare
indietro, per comporre e scomporre ogni possibile combinazione»
(Bruno
Munari, Da cosa nasce cosa, Laterza, Roma-Bari, 19993, p. 222).
5. Il libro oggetto
I libri di Munari sono dei veri e propri oggetti d'arte,
appartengono
cioè al genere dei libri-oggetto.
La storia del libro-oggetto o libro-scultura o scultolibro
è
abbastanza recente. Inizia in pratica con le avanguardie storiche nei
primi
anni del Novecento, in particolare con i futuristi. In uno scritto del
1910, La guerra elettrica, F.T. Marinetti afferma che gli
uomini
del futuro potranno scrivere su «libri di nickel». E ancora
nel manifesto L'immaginazione senza fili e le parole in
libertà
(1913) precisa: «Io inizio una rivoluzione tipografica, diretta
contro
la bestiale e nauseante concezione del libro di versi e dannunziana, la
carta a mano seicentesca, fregiata di galee, minerve e apolli, di
iniziali
rosse e ghirigori, ortaggi mitologici, nastri da messale, epigrafi e
numeri
romani. Il libro deve essere l'espressione futurista del nostro
pensiero
futurista».
Molto noti nell'ambito dell'esperienza futurista sono il libro
imbullonato di Fortunato Depero, il Depero futurista (1927)
realizzato
nella tipografia Mercurio di Rovereto, con una rilegatura ideata da
Fedele
Azari che consiste in due grossi bulloni con dadi e copiglie, i quali
tengono
insieme i fogli; la raccolta di Parole in libertà futuriste
olfattive
tattili termiche (1932) di Marinetti, un libro metallico con pagine
di latta realizzato dalla ditta Vincenzo Nosenzo di Savona, la cui
veste
grafica è ideata da Tullio d'Albisola, pittore futurista che nel
1934, sempre presso Nosenzo, pubblica L'anguria lirica. Lungo poema
passionale, libro in lito-latta in 101 esemplari, di cui 50 in
commercio,
con la cerniera metallica e le illustrazioni di Munari; un terzo libro
di latta, I Sansepolcristi di Marinetti, con illustrazioni di
Enrico
Prampolini, progettato nel 1937, non venne realizzato.
In una lettera a Marinetti del 1915 Corrado Govoni scrive:
«Perché
non fare dei libri che si aprono come organetti macchine fotografiche
ombrellini
ventagli? Sarebbero oltremodo adatti per le parole in libertà.
Io
sono oltremodo entusiasta di quest'idea e tu mi dovresti accontentare
perché
anche tu sei arcistufo e nauseato delle forme bestiali dei libri
comuni».
L'auspicio di Govoni non viene disatteso: fra le numerose forme
stravaganti che il libro-oggetto prende nel corso della sperimentazione
artistica sul libro, soprattutto a partire dagli anni sessanta del XX
secolo,
praticata da movimenti quali Fluxus, la Poesia visiva e concreta, la
Narrative
art e altri ancora, troviamo anche un libro a forma di ventaglio opera
dell'artista americano di origine ceca Barton Lidicé Beneš, un
esemplare
unico, come sono spesso i libri-oggetti, intitolato Aloha Evelyn
(selected
parts of letters from Aunt Evelyn, volume 58) (1981).
Non più «portatore di informazioni»,
bensì
«produttore di sensazioni», il libro-oggetto sollecita i
sensi:
vista, tatto, olfatto, gusto, udito. I materiali usati per realizzarlo
sono i più disparati: marmo, onice, legno, stoffa, ferro,
plastica,
vetro, terracotta, sughero, tufo, cemento armato, ecc.
Le manipolazioni - meglio i maltrattamenti, le angherie - cui
il libro è sottoposto dagli artisti che ne contestano il
più
delle volte il decadimento a merce nella società capitalistica
sono
molteplici, in certi casi fortemente lesive della sua integrità:
ci sono libri-oggetto bruciati, tagliati, accartocciati in più
punti,
con pagine strappate come nel libro di Munari Strappo alla regola
(1990), altri che portano i segni dei proiettili di pistola che li
hanno
attraversati. Un modo per azzerare la comunicabilità del libro
legata
alle parole stampate sulle proprie pagine è di renderlo
illeggibile,
fenomeno che di per sé lo trasforma da luogo per eccellenza di
trasmissione
delle idee e delle esperienze umane in un oggetto dalla forma bizzarra,
in un ossimoro estetico; le tecniche per attuare questo sadico
proposito
sono diverse: si va dalla cancellazione di un testo esistente alla
sottrazione
dello spazio dedicato alla stampa lasciando solo i margini bianchi
delle
pagine; dall'uso di grafie incomprensibili, enigmatiche alla
raffigurazione
del linguaggio con elementi materici quali filo di cotone, frammenti di
legno, piume, ecc., e ad altre modalità ancora, basate sul gioco
di parole o su operazioni di tipo concettuale.
Vincenzo Agnetti
Libro dimenticato a memoria, 1969
69,5x50x2,5 cm, 528 esemplari
Scelte drastiche e
suggestive di illeggibilità sono quelle
architettate da Mario Mariotti e Maurizio Nannucci, autori di due libri
la cui caratteristica di fondo è di non essere apribili.
Il Libro circolare (1968) di Mariotti ha il dorso
completamente
circolare, cosa che ne rende problematica la lettura; la
circolarità
del libro di Mariotti fa subito venire in mente quel passo del racconto
di Borges, La biblioteca di Babele (1941), in cui si dice:
«I
mistici pretendono di avere, nell'estasi, la rivelazione d'una camera
circolare
con un gran libro circolare dalla costola continua, che fa il giro
completo
delle pareti. Ma la loro testimonianza è sospetta; le loro
parole,
oscure. Questo libro ciclico è Dio».
Il libro di Nannucci intitolato Universum (1969) ha una
rilegatura in pelle blu che si avvolge sulle pagine del libro dando
origine
a due dorsi, rilegatura segnata da una serie di stelle, forse a
suggerire
che si tratta di un libro raffigurante il cosmo divenuto libro,
illustrazione
del mito del libro totale, enciclopedia del sapere assoluto.
6. Il libro
monocromatico
Un particolare tipo di libro-oggetto è il libro
monocromatico,
composto di pagine tutte di un colore, senza alcun testo stampato
sopra.
Un chiaro esempio (in senso stretto) è rappresentato da Life
and Work (1962) di Piero Manzoni, libro di sole pagine bianche di
cui
esiste una versione del 1969, stampata da Jes Petersen a Berlino in 100
esemplari, fatta di fogli trasparenti.
La trasparenza dei fogli del libro manzoniano ha un corrispettivo
letterario nelle «invisibilissime pagine» di Ernesto
Ragazzoni
(1870-1920), poeta dei buchi nella sabbia e dell'elegia del verme
solitario,
«straordinario dissipatore di se stesso e del suo talento».
In un articolo pubblicato su Il Tempo del 21 giugno 1919
intitolato
«Le mie invisibilissime pagine», Ragazzoni scrive:
«Ognuno lavora come crede.
Uno dei lavori più graditi,
per me, dei più appassionanti, il lavoro dei lavori, è...
non scrivere. Ci passerei tutta la vita. Che gioia non annegare nel
calamaio,
non torturare nel buio e nella materia dell’inchiostro le idee, i sogni
così felici di essere abbandonati liberi a se stessi! seguire le
fantasie come vengono e dove trascinano! Si lavora d’immaginazione, e
non
è lavoro da tutti. Quanto a me, la mia fatica di inveterato non
scrittore – non volgare fatica! – è di condurre, in pensiero,
invisibili
penne all’assalto di invisibili fogli di carta alla conquista ideale di
volumi e volumi che non saranno mai, altro che nella mia mente, e n’ho
ogni soddisfazione. Mi sono composto, così, dentro, un’intera
biblioteca,
tutta opera mia, e di cui io solo ho la chiave, e dove, modestamente,
ci
si può trovar di tutto. […] La mia teoria, aiutata anche da una
ben nota indolenza la quale mi è stata fin qui di gran conforto
nella vita, è che le idee son fatte per rimanere idee. Sono cose
di lusso o pericolose che a portarle sul mercato ci perdono o creano
guai.
Quante idee – diventate fisse – hanno condotto al manicomio, quante
hanno
trascinato gente a massacrarsi. Il meglio è servirsene per
esclusivo
uso interno. Lasciatele al loro stato di puro spirito: è il solo
modo per gioirne liberamente, il solo che permetta di averne la mente
di
continuo ventilata. Fermarsi a tradurne in atto, sia pure su semplice
carta,
una, vuol dire farsene tiranneggiare; vuol dire escludere tutte le
altre
possibili; soffocare, forse per educare una rapa, i mille e mille germi
odorosi di un giardino incantato. Corteggiatele tutte, le idee, non
sposatene
nessuna. La tradirete o vi tradirà! È grazie a questi
sodi
principii che di continuo riesco a regalarmi alla fantasia invisibili
pagine
meravigliose che scritte sarebbero sciupate» (Ernesto Ragazzoni, Le
mie invisibilissime pagine, Sellerio, Palermo, 1993, pp.
21-23).
In un capitolo de Gli
scrittori inutili (2002) di Ermanno
Cavazzoni - intitolato «Spazio bianco» - si racconta la
storia
di uno scrittore morto assai giovane che non ha avuto tempo di dare
nulla
alle stampe, ma che però ha lasciato un pacco di carta bianca
non
scritta, cosa che ha colpito molto la critica che lo ha inserito in una
storia della letteratura definendolo «punto d'arrivo e ombelico
del
ventesimo secolo». I famigliari allora hanno proposto di
pubblicare
i suoi fogli; trovato l'editore, il libro è uscito con questo
titolo: Inedito
ultimo del Novecento, duecentoventidue pagine bianche.
Uno dei personaggi del libro di David Lodge Il gioco della
scrittura (1991) è lo scrittore inglese Simon St. Clair,
poco
più che trentenne, di aspetto piacevole anche se un po’
mefistofelico,
autore di un romanzo intitolato Invece che un romanzo, un
volume
di 250 pagine completamente bianche. Nella parte anteriore della
copertina
del libro, di carta plastificata e stampata in sei colori, è
riprodotto
un disegno nello stile di Magritte, che rappresenta un libro tenuto
aperto
da un paio di mani, che tengono un libro tenuto aperto da un paio di
mani,
che tengono un libro tenuto aperto da un paio di mani...
Due studiosi statunitensi, Russell Ash e Brian Lake, hanno fatto
una ricerca sui «libri bizzarri», libri realmente stampati
che affrontano temi particolari, insoliti. Fra i libri bizzarri citati
da Ash e Lake c'è questo titolo: F. E. Male (certamente uno
pseudonimo,
«female» in inglese significa «femmina»), What
Women Know About Men, 400 pagine tutte completamente bianche
(Russell
Ash e Brian Lake, Bizarre Books, Pavillon Books Ltd, London,
1998,
p. 201).
Le pagine bianche hanno sempre attratto gli scrittori e gli
artisti
e questo forse si spiega con il fatto che le pagine bianche, come ha
detto
Vassilij Kandinskij, non sono che un ricettacolo di immagini mentali e
di un silenzio ricco di possibilità.
Naturalmente esistono libri monocromatici in colori diversi dal
bianco: ad esempio nel 1997 Irma Blank ha pubblicato presso l'Archivio
Nuova Scrittura di Milano cento esemplari di Ur-Buch ovvero Romanzo
Blu, un libro con pagine blu.
Sui libri blu c'è una storia divertente. Il generale di
brigata Augustus J. Pleasonton (1808-1894) era convinto che la luce blu
avesse effetti positivi sulle piante (fece sperimenti in una serra che
aveva dei vetri colorati di blu), sugli animali e anche sull'uomo: i
vetri
color blu cobalto secondo Pleasonton potevano curare qualsiasi male,
dalla
gotta alla meningite spinale, dalla paralisi alle emorragie polmonari.
Così quando Pleasonton pubblicò a Philadelphia nel 1867 L'influenza
del raggio blu della luce solare e del colore blu del cielo, volle
che il libro avesse un'appropriata rilegatura blu cobalto e fosse
stampato
su carta colorata con un inchiostro blu chiaro in modo da evitare
«agli
occhi del lettore di essere affaticati dal bagliore causato dalla luce
delle lampade a gas che di notte si riflette sulla carta bianca
normalmente
utilizzata per la stampa dei libri». Purtroppo, con il passare
del
tempo, la sostanza usata per tingere la carta si ossidò
malamente
costringendo il lettore a strabuzzare gli occhi per leggere lo sbiadito
inchiostro blu (Paul Collins, «La speciale luce blu di A.J.
Pleasonton»,
in La follia di Banvard, Adelphi, Milano, 2006, pp.
265-295).
7. Il libro contenitore
Affini ai libri-oggetto sono i libri-contenitore, i libri come
scatole magiche, wunderkammer, assemblaggi di interventi artistici,
contenitori
che vanno "sfogliati" come un libro per essere goduti, si pensi al
riguardo
a La Boîte-en-valise (1936-1941) di Marcel Duchamp.
Le poesie terapeutiche (1991) ideate
dall'Università
del Progetto di Reggio Emilia sono delle vere e proprie confezioni, in
tutto simili alle scatole di medicinali, che però contengono,
chiuse
in bustine, dei testi poetici con tanto di foglietto informativo che
istruisce
il fruitore della poesia terapeutica su composizione, caratteristiche,
posologia e modalità d'uso, avvertendolo anche delle possibili
controindicazioni
(dell'Università del Progetto si veda: Pubblicità
canaglia,
prefazione di Omar Calabrese, Zelig, Milano, 2002).
8. Libro commestibile
Abbiamo visto che un libro-oggetto può essere fatto dei
materiali più strani, inconsueti. Quando si tratta di sostanze
commestibili,
il libro diventa mangiabile.
«Un editore tedesco», afferma Matteo Cuomo, «ci
ha promesso che fra un paio d’anni metterà in vendita un
giornale
mangiabile. Invece della carta, egli userebbe una pasta nutriva e
gradevole
che si presta assai all’impressione, e l’inchiostro sarebbe surrogato
da
uno sciroppo deliziosamente profumato» (Matteo Cuomo, Nel
mondo
dei libri: bizzarrie, Quinteri, Milano, 1912, pp. 375-376).
L’atto o la consuetudine di mangiare i libri (cartacei) si chiama bibliofagia.
I bibliofagi possono essere distinti in due categorie: i bibliofagi per
scelta deliberata e quelli per costrizione, cioè che vengono
puniti
da un’autorità a mangiare un libro. C'è una voce dedicata
a questa insana passione nel Vocabolario bibliografico di
Giuseppe
Fumagalli (Olschki, Firenze, 1940, p. 48).
Nel 1976 Carlo Belloli ha realizzato dei poemi commestibili
offerti
dallo studio Santandrea di Milano in occasione dell'esposizione
«Omaggio
a Carlo Belloli precursore della poesia visuale e concreta».
Questi
poemi, scrive Belloli, «potevano considerarsi "pagine d'artista"
e vennero divorati dagli invitati alla vernice della mostra come parole
di dessert» (Pagine e dintorni. Libri d'artista, a cura di
Gino Gini e Silvio Zanella, Civica Galleria d'Arte Moderna di
Gallarate,
Gallarate, 1991, p. 15).
9. Il similibro
Esistono libri che solo in apparenza sono tali, ovvero hanno
la forma riconosciuta dei libri, ma in realtà sono dei similibri,
dei libri-fotocopia, snaturati in quanto concepiti per usi diversi
dalla
lettura: ad esempio per nascondere armi (pistole, coltelli, ecc.), come
si vede nei film polizieschi, oppure per fare bella mostra, in un corpo
di legno o di polistirolo, sui mobili esposti nei negozi d'arredamento
o nelle librerie private, per pura ostentazione. Già Seneca
nelle Lettere
a Lucilio aveva denunciato che «Molte persone ignoranti usano
i libri non per studiare, ma per arredare le loro stanze».
Personalmente
possiedo un libro di vetro che contiene del whisky.
Dunque sono libri-sosia, controfigure, cattive imitazioni di
libri.
Quand’era intendente a Limoges (1761), Anne-Robert-Jacques Turgot
fece decorare il suo studio di scaffali finti con finti libri ai quali
aveva attribuito titoli satirici come: Apologia della
schiavitù
dei negri; L’arte di complicare le cose semplici dell’abate
Galiani; L’arte di fare i gelati, da parte del gestore di un
piccola
mescita dell’Inquisizione; Raccolta delle più ingegnose
mariolerie,
pubblicata in favore delle vittime.
A Parigi, al numero 121 di rue Raymond-Losserand, nel
«quatorzième
arrondissement», esiste, dipinta a trompe-l'œil su un muro, una
«biblioteca
impossibile» ideata nel 1977 da Jacques Jouet e Jacques Bertin
dove
sono riportati anche dei libri immaginari contenuti ne La vita
istruzioni
per l'uso (1978) di Perec.
10. Il libro
«come se»
Un'altra particolare tipologia di libri dalla forma bizzarra
è costituita da quegli oggetti, in genere cartacei, che non sono
propriamente dei libri, ma che ciò nonostante vengono trattati
come
se lo fossero, prendendo sul serio l'affermazione di André
Breton
che anche un orario ferroviario può essere letto come se fosse
un
libro di poesie. Insomma sono dei non libri rivisitati come se fossero
dei veri libri. (Un dubbio: quel testo provocatorio, dal punto di vista
letterario e delle soluzioni grafiche, pubblicato presso Bompiani nel
1970
da Cesare Zavattini, a dispetto del suo titolo che è: Non
libro,
possiamo definirlo pur sempre un libro oppure no?)
Sulla rivista il Caffè di Giambattista Vicari esce
nel 1968 questa breve recensione, firmata da R.G. Giardini, pseudonimo
dello stesso Vicari, a un «libro» di «12 pagg. Ediz.
in folio, stamp. in rotativa»:
«L'opportuna ristampa della
notissima pubblicazione, tempestiva
in questo scorcio di stagione, rimane sempre il più brillante
esempio
della pur discussa azione dello Stato al livello della promozione
culturale.
Benché incentrato sulle matematiche severe, l'esigenza
sostanzialista
dell'opera induce il lettore ad una piena collaborazione che lo porta
quasi
inconsapevolmente ad assurgere al livello di coautore; e obbliga gli
italiani
a superare la tradizionale vocazione umanistica, in un benefico
condizionarsi
alle strutture reali, a storicizzare - diremmo - le loro vicende
singole,
in un rigore senza indulgenze» (il Caffè, 1, 1968,
p. 144).
In realtà il
«libro» recensito non è
un libro, ma il vecchio Modello Vanoni per la dichiarazione dei
redditi.
Nei suoi «esercizi di falsificazione letteraria»,
raccolti nel Diario minimo (1963, poi 1986), Umberto Eco ha
recensito
come se fossero dei libri, esaminandone i valori stilistici, le
incoerenze
di contenuto e le contaminazioni formali, queste due preziose opere:
Banca d'Italia, Lire cinquantamila, Roma, Officina della Banca
d'Italia, 1967
Banca d'Italia, Lire centomila, Roma, Officina della Banca
d'Italia,
1967
che possono definirsi edizioni
numerotées in folio, tirate in
un grandissimo numero di esemplari, arrivando a questa conclusione:
«L'opera come puro segno di
se stessa. A questo ci porta la poetica
contemporanea e questo ci confermano questi fogli, che forse qualcuno
aspirerebbe
a comporre in un volume potenzialmente infinito, come doveva accadere
per
il Livre di Mallarmé. Inutile pretesa, perché il segno
che
rimanda ad altri segni si sperpera nella propria nullità dietro
alla quale - dubitiamo - non esiste più alcun valore concreto.
Estremo esempio della dissipazione culturale dei giorni nostri,
ecco che il consenso con cui i lettori hanno accolto queste opere ci
sembra
di pessimo auspicio: il gusto della novità maschera l'estetica
dell'obsolescenza,
e cioè del consumo. Estremo gioco barocco, amministrato da un
manieristico
Tesauro, l'esemplare numerato che abbiamo sott'occhio sembra ancora
prometterci,
attraverso la cifra che lo contraddistingue, la possibilità di
un
possesso intimo, ad personam. Inganno, perché sappiamo che il
gusto
dello sperpero intellettuale porterà ben presto il lettore a
cercare
altre copie, altri esemplari, come per ritrovare attraverso il cambio
continuo
quelle garanzie che l'esemplare singolo non gli dà. Segno in un
mondo di segni, ciascuna di queste opere risulta un modo per
distoglierci
dalle cose. Il suo realismo è fasullo, come il suo avanguardismo
psichedelico cela alienazioni più profonde. Comunque siamo grati
all'editore di averci inviato le copie omaggio per recensione»
(Umberto
Eco, «Tre recensioni anomale», in Diario minimo,
Mondadori,
Milano, 1986, pp. 124-125).
Anche un calendario da
parete con i foglietti che si strappano
via via può ritenersi un libro, e grosso per di più, dal
momento che non può contare meno di trecentosessantacinque
pagine.
La pensa così il premio Nobel per la Letteratura Wislawa
Szymborska.
Per la poetessa polacca il calendario è un libro che:
«fa bella mostra di
sé nelle edicole, per una tiratura
di tre milioni e trecentomila esemplari: è il bestseller dei
bestseller.
Richiede agli editori un'inesorabile puntualità, perché
nei
piani editoriali non c'è modo di spostarlo di un anno o di un
anno
e mezzo. Dai redattori esige la perfezione professionale, dal momento
che
il minimo errore potrebbe provocare turbe mentali. Immaginatevi due
mercoledì
nella stessa settimana o l'onomastico di Enrico nel giorno di san
Giovanni!
Il
calendario non è come le opere scientifiche a cui
tradizionalmente
si allega un errata corrige. E non è nemmeno un volumetto di
poesie,
dove gli svarioni redazionali vengono presi per capricci
dell'ispirazione.
Ne consegue pertanto che abbiamo a che fare con un peculiare fenomeno
editoriale.
E non è tutto. Il destino del calendario è la sua
progressiva
eliminazione man mano che se ne strappano i foglietti. Ci
sopravviveranno
milioni di libri, una parte considerevole dei quali scritta male,
datata
e senza senso. Il calendario è l'unico libro che non si prefigga
di sopravvivere a noi tutti, che non aspiri a una sinecura sugli
scaffali
di una biblioteca, è programmaticamente effimero. Nella sua
umiltà
non si sogna nemmeno di essere letto per intero, pagina dopo pagina, e
solo per ogni evenienza è corredato da una dovizia di testi.
C'è
di tutto un po': gli anniversari storici che ricorrono quel tal giorno,
stornelli, massime auree, barzellette (ovviamente da calendario!), dati
statistici, indovinelli, ammonimenti contro il fumo e consigli per
combattere
gli insetti domestici. Il miscuglio dei soggetti è terribile, le
dissonanze sono atroci, la solennità della storia è
contigua
alla banalità del quotidiano, sentenze filosofiche fanno a gara
con previsioni del tempo in bella rima, e le biografie degli eroi
stanno
pazientemente gomito a gomito con i consigli di zia Clementina. Chi
vuole,
si scandalizzi pure, ma qui a Cracovia (pur sempre in ambito assai
prossimo
ai regi sepolcri) l'ambiguità del calendario muove a commozione.
Arrivo al punto di scorgervi una segreta somiglianza con le grandi
narrazioni
di un tempo, come se il calendario fosse un parente dell'epos, una
sorta
di figlio illegittimo...» (Wislawa Szymborska, «Voltando
pagina»,
in Letture facoltative, Adelphi, Milano, 2006, pp. 72-73).
Ma forse la forma
più bizzarra che un libro può
assumere è quella che aderisce, si associa al corpo umano,
è
il libro a forma di uomo. Racconta Alberto Manguel:
«Quando avevo dieci o
undici anni, a Buenos Aires, un insegnante
mi dava lezioni private di tedesco e di storia europea. Per migliorare
la mia pronuncia, mi faceva imparare a memoria poesie di Heine, Goethe
e Schiller, e la ballata di Gustav Schwab Der Ritter und der
Bodensee,
in cui un cavaliere galoppa sul lago di Costanza ghiacciato, e
raggiunta
l'altra riva muore di paura rendendosi conto dell'impresa compiuta. Mi
piaceva imparare le poesie, ma non capivo di quale utilità
avrebbero
potuto essermi. "Ti terranno compagnia il giorno in cui non avrai
nessun
libro da leggere" disse il mio maestro. Poi mi raccontò che suo
padre, ucciso a Sachsenhausen, era stato un celebre studioso e sapeva a
memoria parecchi classici; quando era in campo di concentramento si era
offerto come "biblioteca" affinché i suoi compagni di prigionia
potessero "leggere". Immaginavo il vecchio in quel luogo implacabile,
opprimente,
disperato, mentre qualcuno gli si avvicinava per chiedergli Virgilio o
Euripide, aprire se stesso a una certa pagina e recitare le antiche
parole
per i suoi lettori senza libri. Molti anni dopo mi resi conto che era
stato
immortalato in Fahrenheit 451 di Bradbury fra i salvatori di
libri»
(Alberto Manguel, Una storia della lettura, cit., p. 74).
Quest'intervento alla manifestazione Letteraria, letture, lettori,
letterature
(Pistoia 2006) è stato pubblicato sulla rivista Culture del
testo
e del documento. Le discipline del libro nelle biblioteche e negli
archivi,
Vecchiarelli Editore, 23/2007, pp. 5-18.
Sullo stesso argomento ho tenuto una
relazione al convegno La Chimera all'Hotel "La Palma" di
Capri dal 2 al 5 novembre 2006, organizzato da
Raffaele Aragona per caprienigma.
Questo testo è citato nella tesi di laurea di Natalia Mikhailovna Molchanova Libro d'artista moltiplicato. Segno, oggetto, ambiente come forme di comunicazione, discussa nell'anno accademico 2012/2013 presso il Dipartimento di Arti visive dell'Accademia di Belle Arti di Brera di Milano.
Questo mio contributo è citato in "Mirabili visioni": from movable books to movable texts di Gianfranco Crupi, studioso dell'Università La Sapienza di Roma, saggio pubblicato su JLIS
(Italian Journal of Library, Archives and Information Science - Rivista
italiana di biblioteconomia, archivistica e scienza dell'informazione),
Vol. 7, n. 1 (January 2016), per leggerlo cliccate qui. JLIS.it, Italian Journal of Library, Archives, and Information Science - si legge in rete - "is
an academic journal of international scope, peer-reviewed and open
access, aiming to value international research in Library, Archives and
Information Science".
Nell'Introduzione al catalogo della mostra sui libri animati Pop-App. Scienza, arte e gioco nella storia dei libri animati dalla carta alle app, a
cura di Gianfranco Crupi e Pompeo Vagliani, all'Istituto Centrale per
la Grafica a Roma dal 9 maggio al 30 giugno 2019, i curatori Crupi e
Vagliani mi citano come studioso di "alcune espressioni della forma
mobile del libro" (vedi alle pp. 3-4):
Per andare al menu delle mie collaborazioni
a Culture del testo e del documento cliccate
qui.
HOME
PAGE TèCHNE
RACCONTI
POESIA VISIVA
ENCICLOPEDIE
BIZZARRE ESERCIZI
RICREATIVI NEWS
|