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Giovanni Fontana
IRONIA E DISOBBEDIENZA

 




L'ironia, ma soprattutto l'autoironia, rappresentano uno dei fattori dominanti nell'esperienza della poesia sonora. Ironia del testo, ironia della voce, ironia del corpo e del gesto, ironia del suono si compongono in un carosello vorticoso che a volte assume toni cabarettistici (come accade spesso nelle pièces di Arrigo Lora Totino e di Sergio Cena o di Tomaso Binga), a volte grotteschi o addirittura tragicomici (come in certe azioni di Adriano Spatola o nella grana fonetica di Luigi Pasotelli), a volte lucidi e raffinati (come in Paolo Albani), a volte di taglio filosofico (come in Eugenio Miccini) o politico (come in Sarenco e in Berardi), a volte si fonde all'introspezione, allo scandaglio psicoanalitico come in gran parte dei Phonos di Zosi.
"La poesia nuova, sonora e/o tecnologica - scrive Miccini - viene anche dai linguaggi tecnologici, cioè dai sistemi di segno che da quei mezzi (e dalle loro organizzazioni di diffusione) sono nati. E qui sta proprio l'insidia: questi nuovi media hanno attuato una mutazione antropologica ed una relativa colonizzazione, da parte del Potere, di questi mezzi e di queste semiosi. Perciò l'iconosfera e la ionosfera urbana non possono tenersi separate dall'universo delle comunicazioni sociali, nel momento in cui queste agiscono con una simultaneità e con un sinergismo totali. L'occhio e l'orecchio sono i sensi pubblici, diceva John Cage. Ma non sono il senso sociale, in quanto non hanno in sé che passività di fronte all'azione totale che viene offerta sullo spettacolo del mondo come percezione. Nella nostra 'società dello spettacolo', quei profeti - per così dire - che sono gli artisti, devono disattivare, criticandoli, i gorghi tecnologici, che sono la voce del padrone; devono riattivare il pubblico offrendogli l'esempio di una disobbedienza e di una trasgressione che dobbiamo praticare tutti insieme. La mano, il corpo, la parola e le forme spurie logoi-coniche, i rumori concreti e perfino la musica, l'assetto urbano e i profumi e tutto sono stati normalizzati e codificati in maniera perversa". Questa guerriglia della disobbedienza culturale e tutti gli scardinamenti auspicati attingono energie proprio nell'ironia, che, direttamente e indirettamente, interessa gran parte della produzione poetico-sonora, se non altro perché il gioco ingegnoso e intelligente di montare materiali cambiandogli di segno e di deformarli con processi di dissimulazione, di deformazione, di mascheramento costituiscono una costante tecnica nella maggior partedegli autori impegnati in questo tipo di ricerca. D'altra parte l'espediente del mascheramento, che avviene in pratica non solo attraverso scelte testuali, ma in gran parte attraverso la manipolazione e il montaggio dei materiali sonori (accostamenti volutamente incongrui tra testo, vocalità e musica; alterazioni toniche, metriche, sintattiche, timbriche nel rapporto testo/voce; iterazione; cut up; filtri deformanti; variazioni di velocità, ecc.) rappresenta un carattere specifico della poesia sonora. Il fatto stesso che il poeta sonoro scelga di proporsi di fronte ad un pubblico per articolare voce e corpo in netto contrasto con quanto dettano le ''buone" regole della recitazione e della dizione, utilizzando sonorità non convenzionali o, comunque, fuori contesto, sulla base di testi spesso incentrati sul nonsenso, su lingue inventate, su fonetismi astratti, su intraverbalismi, ibridazioni, glossolalie, farfugliamenti, balbettii e via dicendo, determina automaticamente una condizione autoironica. Il poeta sfida il suo pubblico non tanto sul piano della dissacrazione dei modelli (come è stato per molte avanguardie), bensì sulla provocazione personale, mettendo in discussione la capacità di giudizio, seminando il dubbio sull'intelligenza, insinuando il sospetto di eventuali complicità nelle responsabilità dei poteri correnti, avanzando conseguenti riserve relative alla rispettabilità, correndo però il rischio del ridicolo per aver scelto di esibirsi come monstrum (per artifici giullareschi, modelli aberranti, esempi negativi, ambiguità irriducibile, paradossali soluzioni in chiave profetica, registri bassi, espressioni contraddittorie, dinamiche inconcludenti, dissipazioni gratuite, compiacimenti folli, infantilismi, insensatezza, irriverenza, ecc.). Il poeta sonoro, insomma, indossa i panni dell'antico jongleur. D'altra parte, "il riso, il cachinno, l'oscenità verbale e gestuale, così come il poliglottismo, l'ibridismo linguistico, la capacità di mimesi fonica della voce, le tecniche espressive suasorie, la fascinazione e la narcosi verbale, facevano parte del repertorio del buffone, del ciarlatano, del commediante e, in parte, del predicatore (in altra misura e dimensione non erano sconosciuti al mondo universitario e al teatro goliardico medievali)". Nello stesso tempo "come il diavolo, il buffone deve saper cambiare pelle, contraffarsi, parlare tutti i linguaggi di tutte le arti": cose che il nostro sulfureo poeta sonoro sa e deve fare.
In Erotica (1982) di Eugenio Miccini, con tecniche tipiche della cosiddetta scrittura tecnologica trasferita in ambito sonoro, viene realizzato un collage di musica e voce deformata dall'accelerazione del nastro. Il lavoro si chiude con l'intervento diretto del poeta, che entra in scena calandosi in un ruolo autobiografico e decisamente autoironico.
In Valse Sabre di Adriano Spatola e Giuliano Zosi, proposto più volte in performance fin dal 1984, dai segnali poetici dell'uno scaturiscono le note dell'altro, in un balletto sonoro che coinvolge i fantasmi di un'epoca fatua e decorativa come quella borghese della cultura del valzer e quella più semplice e pura di matrice popolare. Come in altri suoi poemi sonori Spatola prende spunto da assonanze, bisticci, chiasmi intorno ai quali l'impegno vocale costruisce ironiche figure sonore tutte legate all'esasperazione dell'impostazione.
In Sono un poeta, su musica di Diego Cesare, Sarenco affida la funzione autoironica ad una vera e propria canzone, consegnata ad una voce femminile: "sono un poeta e sto facendo il mio lavoro"; mentre Canzone (1993) di Giampaolo Guerini, è tutta giocata sul piano concettuale, dove progetto e realizzazione coincidono: "Il testo di questa canzone è: «il testo di questa canzone è»"; la musica della canzone invece è un secco cluster, cosicché non può essere cantata.

 

Fonte: Giovanni Fontana, Poesia della voce e del gesto. Percorsi della vocalità nella poesia d'azione, Mantova, Editoriale Simonetti, 2004, pp. 85-89.

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Su questo lavoro di Giovanni Fontana la mia recensione sul numero 210 de l'immaginazione del 2005.

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