Paolo Albani
L'OPIFICIO DI
LETTERATURA
POTENZIALE E IL GIALLO
1. Se pensiamo a ciò che ha detto Borges del racconto
poliziesco,
tema di Letteraria di quest'anno, ossia che «è
letteratura
fantastica che cerca di apparire realistica», vediamo che esiste
una certa continuità tra la prima (dedicata appunto alla
letteratura
fantastica) e la seconda edizione di Letteraria.
Suppongo vi starete domandando: «Esiste un legame tra il giallo,
la letteratura poliziesca, e l’OpLePo (acronimo di Opificio di
Letteratura
Potenziale)?» Ma soprattutto, immagino, vi starete chiedendo:
«Cos'è
l'OpLePo?»
Credo sia giusto, perciò, in primo luogo, dare alcune
informazioni,
spendere due parole sul secondo interrogativo: «Cos'è l’OpLePo?»,
e di conseguenza parlarvi brevemente della «letteratura
potenziale».
2. [Per quanto riguarda questo paragrafo, dedicato alla
letteratura
potenziale, si veda il mio intervento su La
letteratura potenziale].
3. Una figura particolare, nell'ambito dell'esperienza
oulipiana, è
il «plagiaro per anticipazione», cioè l'autore di un
testo strutturato oulipiamente prodotto in epoca anteriore alla nascita
dell’Oulipo (e dell'OpLePo). Fra i plagiari per
anticipazione
dell'OpLePo possiamo ricordare Nanni Balestrini che, all’inizio
degli anni sessanta, compone alcune poesie con l’ausilio del
calcolatore
elettronico; Giorgio Manganelli autore di Centuria (1979), una
raccolta
di «cento piccoli romanzi fiume», brevi narrazioni non
più
lunghe di un foglio (questa è la costrizione che il Manga si
è
dato) che vanno a comporre «una vasta ed amena biblioteca»;
Umberto Eco, creatore di innumerevoli funambolismi linguistici, di cui
sarebbe troppo lungo parlare in questa sede; Edoardo Sanguineti che,
oltre
a cospargere i suoi libri poetici di tautogrammi, acrostici, rebus, ha
pubblicato nel 1967 Il giuoco dell'oca, una sorta di romanzo,
suddiviso
in 111 capitoletti, che può essere letto con spostamenti da un
capitolo
all'altro attraverso il lancio di due dadi numerati dall'1 al 6, come
si
fa, appunto, con il gioco dell'oca.
4. Dopo questa necessaria premessa, veniamo dunque al
nostro tema,
e cioè ai rapporti fra l'OuLiPo-OpLePo e la
letteratura
poliziesca. Va detto subito che, per quanto riguarda la ricerca
oulipiana,
ci troviamo di fronte a un approccio verso il crimine insolito,
stravagante,
bizzarro, basato su particolari contraintes.
4a. Prima di tutto una breve nota storica.
A fianco dell’OuLiPo sono nati altri opifici, in altri
campi della ricerca artistica, come l'OuPeinPo (Ouvrier de
peinture
potentielle), l’OuMuPo (Ouvroir de Musique Potentielle), l’OuCinéPo
(Ouvroir de Cinéma Potentielle), l'OuCuiPo (Ouvroir de
Cuisine
Potentielle); senza disdegnare opere di teatro e di altri “generi”
espressivi,
l’OuLiPo opera anche nel campo informatico attraverso l’ALAMO
(Atelier
de Littérature Assistée par la Mathématique et les
Ordinateurs).
Nel 1973, François Le Lionnais fonda l'OuLiPoPo
(Ouvroir de Littérature Policière Potentielle) che, anche
in questo caso come in quello del gruppo originario, l'OuLiPo,
comprende
due anime: una analitica che studia le situazioni e i
meccanismi
usati nella letteratura poliziesca, e i possibili modi di combinarli, e
una sintetica che esplora i potenziali meccanismi della
letteratura
poliziesca ancora non usati perché ritenuti inadoperabili.
«Si
può pensare che queste nuove possibilità siano
rare»
dichiara Le Lionnais. «Da parte mia rifiuto questo disfattismo,
convinto
come sono che esistono strade ancora non battute».
Il primo testo di questo particolare opificio esce nel 1971
(dunque
prima della stessa fondazione dell'OuLiPoPo) sul numero 15 di Subsidia
Pataphysica, una delle pubblicazioni curate dal Collegio di
'Patafisica
(all'OuLiPoPo è interamente dedicata la IV sezione del
libro
di Harry Mathews e Alastair Brotchie, edited by, Oulipo compendium,
London, Atlas Press, 1998, pp. 251-271; in questa sezione si trovano i
riferimenti bibliografici dei testi, collettivi e dei singoli autori,
dell'OuLiPoPo).
Di questo primo testo intitolato: «Qui est le coupable?
(Chi è il colpevole)», che porta la data del 12 gennaio
1969,
ispirato al principio di Sherlock Holmes: «Quando si è
escluso
l'impossibile, ciò che rimane, sebbene improbabile, deve essere
la verità», è autore lo stesso François Le
Lionnais.
In esso sono analizzate le strutture del romanzo poliziesco, ovvero le
possibili variazioni riguardanti la figura di un colpevole
«x».
Al di là del fatto di appartenere al genere umano oppure no
(può
trattarsi di animale, fenomeno naturale, extraterrestre, diavolo,
zombi,
eccetera), il colpevole «x» può essere noto fin
dall'inizio
al lettore, essere scoperto solo verso la fine, restare sempre ignoto,
o ancora non esistere: in quest'ultimo caso saremmo in presenza di un
suicidio.
Ma Le Lionnais introduce un ulteriore variante, a suo giudizio mai
realizzata:
il colpevole è il lettore (François Le Lionnais,
«Qui
est le coupable?», in Oulipo, La littérature
potentielle,
Paris, Gallimard, 1973, pp. 62-65).
«Pare che il gruppo dell'Oulipo» - afferma Umberto Eco,
probabilmente riferendosi proprio allo scritto di Le Lionnais -
«abbia
recentemente costruito una matrice di tutte le possibili situazioni
poliziesche
e abbia trovato che rimane da scrivere un libro in cui l'assassino sia
il lettore» (Umberto Eco, «Postille a "Il nome della rosa"
1983» in: Il nome della rosa, Milano, Bompiani, 2004, pp.
505-533).
In effetti, a nostra conoscenza, l'idea del lettore-assassino
è stata messa in atto da Raoul Montanari in Sei tu
l'assassino,
sottotitolato «l'ultimo giallo possibile», edito da Marcos
y Marcos (con lo stesso titolo esiste un racconto di Edgar Allan Poe).
L’idea, confessa Montanari, gli venne leggendo proprio le Postille al Nome della rosa,
là dove Eco, come abbiamo visto, riferisce che gli intellettuali
francesi d’avanguardia dell’Oulipo avevano costruito una matrice di
tutte le possibili trame di un giallo, e erano arrivati alla conclusione
che rimaneva solo da scrivere il giallo in cui l’assassino fosse il
lettore.
Ecco la trama di Sei tu l’assassino.
Un uomo che lavora in una casa editrice viene ucciso da una scarica
elettrica partita da un computer. Seguendo l'indagine di un ispettore di
polizia, il lettore scoprirà che la casa editrice è la
Marcos y Marcos, che l'ucciso lavora a un bizzarro progetto che riguarda
proprio questo libro; un progetto in cui il desiderio del lettore di
essere protagonista «attivo» e di interagire con il libro
viene portato all'assurdo; infine scoprirà che il meccanismo
mortale che ha portato all'emissione della scarica, un meccanismo logico
e stringente eppure di una semplicità disarmante, è stato
innescato dalla mano del lettore stesso: allegata al libro c’è
infatti una card con un numero; l’uomo è morto quando è
stato digitato quel numero e quindi il lettore che ha acquistato il
libro è l’assassino (Raoul Montanari, Sei tu l'assassino. L’ultimo giallo possibile, Marcos y Marcos, Milano, 1997).
L'idea di un ruolo attivo del lettore (addirittura che sia il
colpevole) fa venire in mente il romanzo poliziesco The God of the
Labyrinth
di Herbert Quain, di cui parla Jorge Luis Borges (per altro considerato
uno dei plagiari per anticipazione dell'OuLiPoPo) in Finzioni.
A un certo punto del romanzo di Quain compare questa frase:
«Tutti
credettero che l'incontro dei due giocatori di scacchi fosse stato
casuale».
È una frase importante, perché lascia capire che la
soluzione
prospettata dal detective è erronea: il lettore, più
perspicace
del detective, rivedendo i capitoli sospetti del romanzo, potrà
scoprire, scrive Borges, «un'altra soluzione, la vera».
In un altro breve scritto, «Une nouvelle
policière
en arbre (Un racconto poliziesco ad albero)», sottoposto alla
79a riunione di lavoro dell'Oulipo, Le Lionnais rende di nuovo
attiva
la partecipazione del lettore, ponendolo di fronte a una serie di
scelte:
«a) Preferite un enigma poliziesco? Seguito a pagina x; b)
Preferite
un seguito suspense? Seguito a pagina x'; c) Preferite un seguito
erotico-brutale?
Seguito a pagina x''» e via di questo passo. In caso si scelga
l'opzione
a), si apriranno nuovo scenari: se il lettore preferisce un delitto in
una stanza chiusa, deve andare a pagina y, se preferisce un alibi
perfetto
o un altro genere d'enigma, allora deve spostarsi rispettivamente alla
pagina y' o a quella y'', e così di seguito. Immaginando un
albero
a 5 livelli, - precisa Le Lionnais - dei quali ognuno comporti da 2 a 4
biforcazioni, un racconto poliziesco riempirebbe facilmente un volume
da
200 a 300 pagine. Su una struttura poco diversa da questa, c'informa Le
Lionnais, lo scrittore di romans noir Michel Lebrun sta preparando un
romanzo
poliziesco (François Le Lionnais, «Une nouvelle
policière
en arbre», in: Oulipo, La littérature potentielle,
Paris, Gallimard, 1973, p. 272; sul rapporto fra Le Lionnais e
l'OuLiPoPo
si veda: «FLL et l'Oulipopo», Viridis Candela, 18,
15
dicembre 2004, pp. 63-72).
Una struttura analoga alla letteratura «ad albero»
proposta da Le Lionnais, intitolata «Un conte à votre
façon
(Un raccontino a vostro piacimento)», presenta Queneau alla 83a
riunione
dell'Oulipo, ispirandosi alla presentazione delle istruzioni
destinate
ai calcolatori o all'insegnamento programmato. Anche in questo caso
vengono
poste al lettore diverse scelte:
1. Desiderate conoscere la storia dei tre vispi
pisellini?
se sì, passate a 4
se no, passate a 2
2. Preferite quella dei tre sottili perticoni?
se sì, passate a 16
se no, passate a 3
3. Preferite quella dei tre medi piccoli arbusti?
se sì, passate a 17
se no, passate a 21
e così via, fino alla casella 21 che dice:
«In questo
caso, il raccontino è ugualmente finito» (Raymond
Queneau,«Un
conte à votre façon», in: Oulipo,
La littérature
potentielle, Paris, Gallimard, 1973, pp. 273-276).
Esiste anche una versione chiamata «L'arbre à
théâtre. Comédie combinatoire (L'alberto
teatrale.
Commedia combinatoria)» elaborata da Paul Fournel con la
collaborazione
di Jean-Pierre Énard, dove sarà lo spettatore a
scegliere,
con varie modalità da stabilire secondo il luogo (per alzata di
mano in una sala; oppure telefonando nel caso di una trasmissione
radiofonica;
eccetera), il seguito dello spettacolo (Paul Fournel, «L'arbre
à
théâtre. Comédie combinatoire», in: Oulipo, La
littérature potentielle, Paris, Gallimard, 1973, pp.
277-281).
Ancora agli «enigmi polizieschi» - Croisade pour
l'énigme (Crociata per l'enigma) - è dedicato il
numero
24-25 dei Subsidia Pataphysica, uscito il 7 ottobre 1974, da
non
confondere, si precisa, con gli usuali romanzi gialli, coi polizieschi
da edicola e nemmeno con i polizieschi d'atmosfera alla Simenon o
addirittura
psicologici. «Noi non ci preoccupiamo qui che di enigmi
polizieschi
e non degli orpelli letterari tradizionali che li rivestono, quali
azione,
suspense, psicologismo, descrizioni veriste ecc. Quanto alla
metodologia,
questa sarà del tutto atta a sedurre gli scientifici, dato che
è
la metodologia dell'Oulipopo... Al di là di ogni pretesa, lo
scopo
finale di queste parodie sarà quello di facilitare la
realizzazione
di un'impresa sportiva e di raccogliere la sfida dal Reggente
François
Le Lionnais: scrivere una storia poliziesca dove l'assassino sia il
lettore!»
(Enrico Baj, Patafisica la scienza delle soluzioni immaginarie,
Milano, Bompiani, 1982, p. 65).
4b. Il poliziesco come struttura narrativa, con le sue
classiche
componenti (l'enigma criminoso, il delitto, l'investigazione, la
suspense,
l'incertezza sull'identità del colpevole, i colpi di scena,
eccetera
eccetera), attraversa in modo significativo molte delle opere degli
scrittori
oulipiani.
Prendiamo ad esempio Georges Perec. Il suo romanzo lipogrammato
La
disparition (tradotto in italiano da Piero Falchetta, membro dell'OpLePo,
cfr. La scomparsa, Napoli, Guida editori, 1995) è stato
definito
da Calvino un «romanzo poliziesco un po' bislacco» (Italo
Calvino,
«Perec, gnomo e cabalista»,
la Repubblica, 6 marzo 1982,
p. 18). C'è un commissario, un certo Didot (nome di un celebre
tipografo
francese e del carattere tipografico da lui inventato) che, insieme al
suo aiutante Garamond (altro nome di carattere), indaga sulla scomparsa
di Anton Vokal (straordinario che, con questo nome, nessuno si sia
accorto,
all'uscita del romanzo, che era scomparsa la vocale «e») e
che, a un certo punto delle indagini, si rivolge all'infallibile
investigatore
Dupin, il protagonista de La lettera rubata di Poe. C'è
nel
romanzo una caterva di morti strane, di omicidi efferati, di vendette,
di scritture criptiche, di rapporti misteriosi fra i personaggi.
Anche ne La vie mode d’emploi si respira un'aria
poliziesca,
come ci ricorda Calvino: «il libro [è] brulicante di
storie,
d'avventure, di delitti, d'indagini poliziesche» (Italo Calvino,
«Perec e il salto del cavallo», la Repubblica, 16
maggio
1984).
«Storia quasi poliziesca di quadri falsi», come
afferma
Claude Burgelin, è anche Un cabinet d'amateur. Histoire d'un
tableau (1979), tradotto in italiano con Storia di un quadro
(Milano, Rizzoli, 1990), dove, attraverso la descrizione minuziosa di
un
quadro e della sua storia, vengono smontati gli aberranti e tortuosi
meccanismi
a cui fecero ricorso molti musei americani per accaparrarsi a colpi di
migliaia di dollari quadri di famosi pittori (Claude Burgelin, Georges
Perec. La letteratura come gioco e sogno, Genova, Edizioni Costa
&
Nolan, 1989, p. 234).
Infine, su un emozionante intrigo giallo si regge il romanzo
lasciato in sospeso da Perec, 53 jours, che «amici e
conoscenti
chiamavano già il "suo romanzo poliziesco"» (Gianni
Celati,
«Nota a una traduzione», Riga, 4, 1993, p. 86).
4c. Al centro dell'intreccio che contraddistingue il
romanzo
Pierrot
mon ami (Pierrot mio amico) (1943) di Raymond Queneau ci sono una
morte
che forse non è mai avvenuta, un luna park in fiamme, un
misterioso
giardino e un detective molto irregolare.
Dal 29 settembre 1944 al 12 novembre 1945, Queneau tenne una
rubrica letteraria sul giornale Front national, e vi scrisse
anche
un pezzo dedicato al «Romanzo poliziesco», in particolare
di
quello anglosassone (inglese), arrivato, a suo giudizio, «verso
gli
anni 1935 a un grado di perfezione uguale a quello della tragedia
classica
al tempo di Voltaire».
«Le regole sono fissate con rigore,» - osserva
Queneau -
«il genere ha confini tanto precisi che il "detective novel"
costituisce
un capitolo ben determinato nei bollettini editoriali, nelle
bibliografie,
nelle recensioni letterarie. Come nella tragedia si rispettano le tre
unità,
si usano i confidenti e ci si astiene dal mostrare la realizzazione del
delitto, così nel romanzo poliziesco il poliziotto non deve
essere
il colpevole, deve esserci un solo colpevole e l'autore si vede
proibire
formalmente ogni ricorso alla metapsichica, all'occultismo, alle
pseudo-invenzioni
scientifiche. Si vede proibire anche ogni intrigo amoroso; d'altra
parte,
egli deve lealmente fornire al lettore i mezzi per risolvere il
problema.
S.S. Van Dine in Delitto sulla neve ha enumerato le venti
"regole
del romanzo poliziesco". Ho appena citato gli articoli 1, 3, 4, 12 e 14
di questo codice altrettanto arbitrario (ma altrettanto necessario)
quanto
le leggi del sonetto, del rondò o degli scacchi».
Poi Queneau accenna alle trasformazioni del romanzo
poliziesco
americano:
«Da una ventina d'anni il romanzo poliziesco americano
si è
trasformato, e il primo scrittore significativo che abbia annunciato
questo
cambiamento è stato, credo, Dashiell Hammett. L'attenzione
dell'autore
e del lettore non verte più sull'enigma ma sui personaggi che
delineano
questo enigma; d'altra parte il detective ha cessato di essere un
semidio
perfettamente raziocinante per presentarsi sotto le specie del
poliziotto
che tira botte da orbi e beve smodatamente; insomma, il romanzo
poliziesco
ha cessato di essere intellettualistico per diventare, se così
posso
dire, esistenzialista (nel senso giornalistico della parola).
La brutalità e l'erotismo hanno soppiantato le dotte deduzioni.
Il detective non raccoglie più la cenere delle sigarette
[sicuramente
Queneau allude a Sherlock Holmes, autore della monografia Sulla
distinzione
tra cenere dei vari tabacchi, si veda Arthur Conan Doyle, Il
segno
dei quattro, Milano, Rizzoli, 1980, p. 17, n.d.r.], ma
schiaccia
il naso dei testimoni a colpi di tacco. I banditi sono perfettamente
immondi,
sadici e vigliacchi, e tutte le donne hanno delle splendide gambe; sono
perfide e traditrici e non meno crudeli dei signori uomini. Insomma, si
tratta di gente come si deve, e non c'è da fare il minimo sforzo
intellettuale per seguire la traccia più o meno sanguinosa
dell'agente
speciale sguinzagliato in questo pandemonio» (Raymond Queneau,
«Romanzo
poliziesco», in: Segni, cifre e lettere e altri saggi,
Torino,
Einaudi, 1981, pp. 263-265).
4d. Anche Calvino, membro prestigioso dell'OuLiPo
(vi fu
ammesso, per i buoni uffici di Queneau, nel 1973), si è
cimentato
con il poliziesco (sul Calvino oulipiano si veda: Mario Barenghi,
«Poesie
e invenzioni oulipiennes», in: Italo Calvino, Romanzi e
racconti,
Milano, Mondadori, 1994, pp. 1239-1245; più in generale su
Calvino
e la letteratura combinatoria: Piergiorgio Odifreddi, «Se una
notte
d'inverno un calcolatore», in Raffaele Aragona, a cura di, La
regola è questa. La letteratura potenziale, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2002, pp. 146-160).
Nel racconto «L'incendio della casa abominevole»,
da cui Calvino avrebbe voluto ricavare un vero e proprio romanzo
intitolato
L'ordre
dans le crime (L'ordine nel delitto), l'indagine del narratore
muove
dal ritrovamento di una danneggiata relazione sugli atti abominevoli
compiuti
nella pensione della vedova Roessler. Sul frontespizio di quella
relazione
sono riportate dodici voci in ordine alfabetico, una lista di dodici
azioni
criminose transitive e non riflessive: Accoltellare, Diffamare,
Drogare,
Indurre al suicidio, Legare e imbavagliare, Minacciare con pistola,
Prostituire,
Ricattare, Sedurre, Spiare, Strozzare, Violentare. Non si sa quale
abitante
della pensione abbia redatto il sinistro resoconto, né quali
fini
si sia proposto: di denuncia, di confessione, d'autodifesa, di
contemplazione
affascinata del male? L'indice non riporta i nomi dei rei né
quelli
delle vittime delle dodici azioni, delittuose o soltanto colpevoli,
né
sappiamo la successione in cui sono state commesse; alla completezza
dell'elenco
manca un verbo, Incendiare, certo l'atto finale di questa torva
peripezia.
Analizzando il testo dal punto di vista combinatorio Calvino
annota:
"Anche ammettendo che ognuna delle dodici azioni sia stata
compiuta
da una sola persona ai danni d'una sola altra persona, ricostruire gli
avvenimenti è un compito arduo: se i personaggi in questione
sono
quattro, presi due a due possono configurare dodici relazioni diverse
per
ciascuno dei dodici tipi di relazioni elencati. Le soluzioni possibili
sono dunque dodici alla dodicesima potenza, cioè occorre
scegliere
tra un numero di soluzioni che ammonta a
ottomilaottocentosettantaquattro
miliardi, duecentonovantasei milioni,
seicentosettantaduemiladuecentocinquantasei.
Non c'è da stupirsi se la nostra troppo indaffarata polizia ha
preferito
archiviare l'inchiesta, con la buona ragione che, per quanti delitti
possano
esser stati commessi, certo i rei sono morti insieme alle vittime".
Solo l'assicuratore Skiller ha urgenza di sapere la
verità
sull'incendio della casa e si aspetta la risposta da un elaboratore
elettronico
che dovrà, attraverso un sistema d'esclusioni (solo se minacciato
con pistola un soggetto può essere legato e imbavagliato),
«scartare miliardi di sequenze incongrue, ridurre il numero delle
concatenazioni plausibili, avvicinarsi a scegliere quella soluzione che
s'imponga come vera» (Italo Calvino, «L'incendio della casa
abominevole», in: Prima che tu dica «pronto»,
Milano, Mondadori, 1993, pp. 140-153, e anche in: Romanzi e racconti,
Milano, Mondadori, 1994, pp. 319-332; in origine il racconto
uscì
sull'edizione italiana di Playboy, febbraio-marzo 1973).
Le prime pagine del racconto uscirono in versione francese,
«L'incendie
de la maison maudite», nel paragrafo 5 della IV sezione, dedicata
all'«Oulipo et informatique», dell'Atlas de
littérature
potentielle dell'Oulipo (Paris, Gallimard, 1981, pp.
319-331).
Il testo s'interrompe al termine del settimo capoverso, alla frase:
«la
Compagnie pourra facilment les faire taire [la Compagnia potrà
facilmente
tacitarli]». Dopo di che Calvino fa seguire la spiegazione
analitica
dei possibili sviluppi, legati al computo elettronico delle
combinazioni
e all'adozione di opportune regole di compatibilità. Al computer
non spetterebbe la funzione di realizzare tutte le possibilità
del
meccanismo combinatorio, bensì di selezionarle sulla base di una
serie di contraintes:
- objectives, riguardanti le compatibilità tra
le relazioni (ad esempio se A strangola B, non ha bisogno di pugnalarlo
né d'indurlo al suicidio);
- subjectives, relative all'incompatibilità di
ogni personaggio con certe azioni commesse o subite; divise le 12
azioni
principali (di cui si è già detto) in 4 classi
soggettive,
e cioè «atti di forza fisica», «atti di
persuasione»,
«atti sleali», «atti che sfruttano la debolezza
altrui»,
se sappiamo, ad esempio, che A è un uomo di un'enorme forza
fisica,
ma allo stesso tempo un bruto quasi inarticolato, ne consegue che A non
può subire gli atti di forza fisica, né compiere gli atti
di persuasione;
- ed esthétiques, o soggettive del programmatore:
quest'ultimo «ama l'ordine e la simmetria. Di fronte al gran
numero
di possibilità e al caos delle passioni e dei fastidi umani,
egli
tende a favorire le soluzioni formalmente più armoniose ed
economiche».
«L'aiuto dell'elaboratore, lontano dall'intervenire in
sostituzione
all'atto creatore dell'artista» - conclude Calvino il suo scritto
francese - «permette al contrario di liberarlo dalle
schiavitù
di una ricerca combinatoria, offrendogli così le migliori
possibilità
di concentrarsi su questo "clinamen" che, solo, può fare del
testo
una vera opera d'arte» (Italo Calvino, «Prose et
anticombinatoire»,
in: Oluipo, Atlas de littérature potentielle, cit.,p.
331,
nostra traduzione).
Secondo alcune testimonianze di Marcel Benabou e Jacques Roubaud,
proprio nel 1985 (l'anno della sua morte) Calvino pensava di riprendere
la composizione di questo racconto; sappiamo anche che per stendere
questo
testo Calvino si servì della consulenza di un programmatore di
nome
William Skyvington; alcuni appunti di Calvino con l'indicazione
«tentativo
di sviluppare in romanzo il racconto L'incendio della casa
abominevole»
portano la data dell'11-13 luglio 1977: dunque, per un certo periodo,
l'elaborazione
del progetto si sovrappone alla stesura di Se una notte d'inverno un
viaggiatore
(si veda la nota di Mario Barenghi alle pp. 1242-1243 del meridiano
Mondadori
Romanzi
e racconti del 1994).
A testimonianza (indiretta) della passione per il poliziesco
di Calvino possiamo ricordare un suo articolo «Le meraviglie
della
cronaca nera» comparso su la Repubblica del 1983 (ora
anche
in Collezione di sabbia, Milano, Mondadori, 1994, pp. 51-56),
recensione
a un'esposizione dedicata ai fatti di cronaca, svoltasi al Museo delle
Arti e Tradizioni Popolari di Parigi, pubblicizzata da un manifesto ove
campeggia l'immagine di un orso bianco che sbrana una fanciulla.
Fra il materiale esposto, in gran parte proveniente dal
supplemento
illustrato del Petit Journal, fondato nel 1863, le cui tavole a
colori funzioneranno da modello per la Domenica del Corriere,
non
mancano gli episodi di delitti, per danaro o per passione o per follia
(Calvino cita un assassinio passionale in una macelleria). Il fascino
esercitato
dal criminale sull'immaginazione, sottolinea Calvino, è provato
dalle cartoline illustrate che raffigurano famosi assassini.
L'analisi di Calvino sul fascino del delitto e sui rapporti
letteratura-crimine,
è di grande interesse, e getta, a mio avviso, una luce
stimolante
sul fenomeno della fortuna che il giallo sta attraversando da qualche
anno
a questa parte in Italia. Scrive Calvino:
"Non è solo la crudeltà del delitto a eccitare
la curiosità,
ma anche, da sempre, il suo contrappasso, la crudeltà della
punizione.
La ghigliottina è un grande tema dell'iconografia popolare (e
delle
canzoni); una serie di cartoline illustrate con la obiettività
di
tristi fotografie in bianco e nero ci tramanda una panoramica della
prigione,
una veduta d'insieme dello strumento, dettagli della lunetta e del
paniere,
e perfino un'inquadratura del garage dove l'arnese veniva custodito nei
periodi di riposo [...].
L'usanza degli antichi carnefici di vendere la corda degli impiccati
come amuleto si continua in un macabro culto delle reliquie dei
ghigliottinamenti.
Qui viene esposto, incorniciato e sottovetro, un assemblage che
contiene il colletto del maglione e quello della camicia tagliati per
la
toilette
prima dell'esecuzione a Caserio, l'anarchico autore dell'attentato
mortale
al presidente Carnot (1899).
[...] L'assassinio, come la santità, produce reliquie: il
mobilio
della casa di Landru fu messo all'asta nel 1923 e naturalmente il
prezzo
che toccò cifre più alte fu quello per la famosa cucina a
legna in cui Landru si sbarazzava dei resti delle sue
«fidanzate».
Apprendiamo che fu pagata «40 mila lire da un italiano».
(Sarà
in Italia? Dobbiamo considerarla un Bene Culturale da tutelare?)
Il processo è il momento in cui l'evocazione del fatto di sangue
e quella della pena sono presenti insieme, ed è proprio partendo
dal processo che la cronaca suscita le emozioni popolari. Non è
un caso se molta di questa documentazione ruota attorno ai
«processi
celebri», che già dal 1825, con l'inizio della
«Gazette
des Tribunaux», possono contare su un giornalismo specializzato,
che ispirerà a sua volta tanto i grandi scrittori, da Stendhal a
Balzac a Sue, quanto i romanzieri d'appendice.
L'«humour noir» intorno a delitti ed esecuzioni ha una
circolazione non solo tra gli spiriti blasés
[disincantati],
ma anche nella stampa popolare: nel 1884, si presenta un
«Giornale
degli Assassini», «organo ufficiale degli Accoltellatori
Riuniti»
(«Abbonamenti: a mezzanotte, agli angoli di strada») che
non
so se sia andato più avanti del primo numero.
Le «locande insanguinate» dove gli albergatori assassinano
i clienti nel sonno e li bruciano nella stufa sono un altro
«topos»
che dalla cronaca criminale della profonda provincia francese
dell'Ottocento
passa alla letteratura e al teatro (ultima versione Le malentendu
di Camus). La più famosa è stata la locanda di
Peirebeille
dove i coniugi Martin e il domestico Rochette detto il Mulatto fecero
scomparire
un numero di persone che non fu mai stabilito con precisione, per poi
essere
ghigliottinati nel 1833 sul luogo stesso dei loro crimini. Non ci
voleva
di più perché l'albergo divenisse in seguito
un'attrattiva
turistica, con cartoline e souvenirs.
Queste storie sanguinose forniscono la materia prima mitica di cui
s'impadroniscono la letteratura popolare (che segue da vicino la
cronaca
con dispense a 10 centesimi sui delitti famosi romanzati), i drammi
nel
teatro specializzato che riceve la sua macabra suggestione dal nome del
Boulevard du Crime dov'era situato (immortalato nel film di
Carné
Les
enfants du Paradis), i manichini di cera del Museo Grévin,
poi
il cinema: è tutta una dimensione dell'immaginazione che dalla
Francia
passa nella mitologia universale del mondo moderno".
4e. Anche il romanzo L'enlèvement d'Hortensie
(Il
rapimento di Ortensia) (1987) di Jacques Roubaud, matematico e autore
prolifico
dell'OuLiPo, che si apre con questa divertente frase: «Era un bel
giorno caldo, ma non eravamo in Belgio», dove ogni pagina
è
piena di invenzioni, paradossi, battute, giochi di parole e spunti di
divertimento,
in un continuo omaggio all'amico e maestro Queneau, è «un
giallo in piena regola in cui si incontrano:
il cane Balbastre, vittima,
l'ispettore Blognard, incaricato delle indagini,
alcuni gatti superdotati,
una serie di Bei Ragazzi, tra cui
il cameriere del bar della zona
il garzone della pasticceria
il cantante di un famoso complesso rock,
due campanari che battono le ore tutte assieme per non doverci pensare
più, tutti ugualmente sospettati e infine
Ortensia, "una bella eroina simpatica e non idiota", fatto questo
"piuttosto
incoraggiante data la generale difficoltà dell'esistenza".
E naturalmente
l'Autore e
l'Editore
in perenne conflitto tra loro».
4f. I testi dell'OuLiPo (come del resto quelli
dell'OpLePo,
nel suo piccolo) sono pubblicati in una Bibliothèque
Oulipienne,
formata da plaquette che, puntualmente, vengono riunite in volume (si
veda
Oulipo, La Bibliothèque Oulipienne, 4 voll., Paris,
Seghers,
1990-1997, che raccoglie le plaquette dal numero 1 al numero 52, e
Oulipo,
La
Bibliothèque Oulipienne, 3 voll., Bordeaux, Le Castor
Astral,
1997-2003, che raccoglie quelle dal numero 53 al numero 85).
Fra le plaquette oulipiane, alcune sono di carattere
poliziesco.
L'Hôtel de Sens di Paul Fournel, docente di
Letteratura
Francese e direttore editoriale, e Jacques Roubaud è una storia
fantastica, in cui da una successione di lettere disposte in circolo
(A-M-E-L-I-E-F-OU-L-B-O-R-D)
si origina una serie straordinaria di diverse letture, costruite nel
rispetto
di una sequenza fonetica (il testo è uscito sul numero 10 de La
Bibliothèque Oulipienne, nell'ottobre 2001; ne esiste una
traduzione
italiana, a cura di Raffaele Aragona, nel libro da quest'ultimo curato,
La
regola è questa. La letteratura potenziale, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2002, pp. 173-263, il 13 ottobre 2000 L'Hôtel
de Sens fu rappresentato all'Hotel «La Palma» di Capri,
nel corso dell'VIII edizione del «Premio Capri dell'Enigma»
e del convegno sulla letteratura potenziale «La regola è
questa»,
voce recitante Emanuela Grimalda, scenografia di Athos Collura, disegni
di scena a cura dell'OuPeinPo, al pianoforte Pierfrancesco Borrelli).
La storia:
"narra di un piccolo albergo condotto da Monsieur Moriarty con
l'aiuto
di due vezzose gemelle, la disordinatissima Amelie e la diligentissima
Mélie. L'albergo pare votato a una tranquilla routine
fin
quando non arriva un quartetto di ospiti stranamente assortito; il
filosofo
Nietzsche, i suoi amici (!) Rilke, Rée e il "celebre" detective
Dupin; sono tutti alla ricerca della bella amica Lou Salomé e
sono
convinti che si trovi sequestrata in quell'albergo. Ma Moriarty nega:
d'altronde
egli è in grado di conoscere quanto avviene nelle stanze del suo
albergo grazie a un sorprendente congegno: una sorta di orologio posto
alla parete della hall reca le ore abbinate a una lettera e la
sua
unica lancetta servirà a scandire ore particolari, ricche di
sorprendenti
rivelazioni. Basta leggere di seguito le lettere in senso orario a
partire
di volta in volta da quella indicata e corrispondente al numero della
camera.
Si incomincia con la camera n. 1, dove, come al solito, Amelie comincia
a mettere disordine: AMÈLIE FOUT LE BOURDEL; più avanti,
nella camera n. 6, Mélie rimbocca le coperte a un vecchio ospite
pazzo e avaro: FOU LE BORD, LA MÉLIE; al n. 10 un'eccentrica
contessa
si prepara per il ballo mascheralo. Ha convocato per un'ultima prova il
suo sarto cinese Li-Fou, al quale chiede un orlo dorato per rendere il
vestilo più vivace: LE BORD DE LAMÉ, LI-FOU!
E così, a una a una, Moriarty riesce a mostrare come tutte
le camere siano tranquille e non abbiano nulla da nascondere. Ma al
bravo
Dupin non sfugge la possibilità di un Hôtel de Sens
contraire,
l'eventualità di una lettura in senso antiorario ed è
così
che spunta fuori la verità: Lou Salomé è davvero
in
quell'albergo. Nella camera n. 2 si vede rinchiusa, nuda, la bella Lou
che, dopo aver stordito il suo guardiano e avergli rubato la pistola,
riesce
a fuggire: MAL DEROBÉE, LOU FILAIT; sempre nuda, Lou passa al n.
11, dove il preromantico Hoffmann, trovandosela di fronte, dimentica
tulle
le proprie tristezze ed esclama: BELLE OU FILE MA LAIDE HEURE; Lou
entra
nella camera n. 4, dove il poeta Lamartine le mostra i vestiti lasciati
dalla sua Elvire prima di annegare: LES MALLES DE ROBE, LOU FIT.
In ultimo (anche questa versione au contraire prevede
il controllo di tutte le stanze) Lou finisce per incontrare i suoi
amici
e la brutta avventura si conclude felicemente. Nell'albergo, assicurati
i responsabili alla giustizia, ritorna la calma e la vita riprende il
suo
corso abituale. Per convincersene basterà dare di nuovo uno
sguardo
a quello strano orologio che, a ogni sua ora, darà luogo ancora
a un'altra diversa lettura, una terza lettura, questa volta segno del
sereno
scorrere dell'attività d'ogni giorno: sarà l'Hotel de
bon Sens" (Raffaele Aragona, a cura di, Oplepiana. Dizionario
di
Letteratura Potenziale, Bologna, Zanichelli, 2002, p. 9).
A Claude Berge, membro fondatore dell'OuLiPo, uno dei
matematici
più prestigiosi del gruppo francese, si deve il racconto
poliziesco
intitolato Qui a tué le duc de Densmore? In esso il
detective
Ralston di Scotland Yard indaga sulla morte, scoperta con un anno di
ritardo,
del duca di Densmore e del suo maggiordomo, avvenuta sull'isola di
White
a causa di un'esplosione. Raccolte le testimonianze delle otto persone
che per ultime hanno visto in vita il duca, Ralston risolve il caso
grazie
all'aiuto di un suo vecchio amico, Cedric Turner-Smith, professore di
Matematica
al Merton College di Oxford. Il caso viene risolto grazie all'uso dei
lavori
effettuati nel 1957 da parte del matematico ungherese György Hajos
nel campo della teoria grafi (Claude Berge, Qui a tué le duc
de Densmore?, Montreuil, Seine-Saint-Denis, La Bibliothèque
Oulipienne, 67, 1994).
Lo scrittore oulipiano Jacques Jouet ha scritto La chambre
close, un enigma poliziesco dedicato all'abate Faria (personaggio,
come si ricorderà, de Il conte di Montecristo di
Alexandre
Dumas padre) dove un coroner (in Gran Bretagna è il pubblico
ufficiale
incaricato dell'inchiesta nei casi di morte violenta sospetta), insieme
a due detective francesi, Dupin (ancora un omaggio a Poe) e
Déjeux,
indaga su una vittima, di cui non si sa niente, trovata morta
all'interno
di una camera chiusa, senza finestre, né un condotto
d'aerazione,
né una biblioteca rotante o un caminetto. Il mistero sarà
sciolto grazie al metodo S + 7 (Jacques Jouet, La chambre close,
Montreuil, Seine-Saint-Denis, La Bibliothèque Oulipienne, 78,
1996).
5. Per finire, veniamo al rapporto fra il gruppo
italiano dell'Oplepo
e il giallo.
5a. Il 28 dicembre 1999 esce nella Biblioteca
Oplepiana
la plaquette numero 16 che porta questo titolo: Giallo
d'Anghiari.
Misteri obbligati. Vi compaiono testi di Elena Addòmine
(«Analisi
finale»), Raffaele Aragona («La disparizión»),
Brunella Eruli («Alloro per loro»), Piero Falchetta
(«Una
parola d'oro»), Sal Kierkia («Numero tredici») e
Giuseppe
Varaldo («Un caffè per tre»).
Per capire di che cosa si tratta, ovvero su quali contraintes
è costruito il giallo oplepiano di Anghiari, riportiamo la nota
introduttiva della plaquette:
«Nella riunione del 13 ottobre 1996 svoltasi negli
oscuri
sotterranei della Buca di San Francesco ad Arezzo l'OpLePo
(Opificio
di Letteratura Potenziale) decide d'impegnarsi nella stesura di una
raccolta
di "novelle del mistero" elaborate nel rispetto di alcune regole.
Le regole sulla base delle quali devono essere composti i "gialli
oplepiani" sono:
- la lunghezza di ogni testo è fissata in 25.586
caratteri
(spazi inclusi), cifra risultante dalla somma delle date di nascita dei
membri di OpLePo; il numero delle battute è calcolato
sulla
base di un Word processor di riferimento; per quanto riguarda le norme
tipografiche si fa riferimento a quelle in uso nei volumi pubblicati
dalla
Casa Editrice Einaudi;
- in ogni testo compaiono e agiscono quattro personaggi
fissi
e unici che hanno i nomi e le professioni corrispondenti alle quattro
diverse
lettere della parola OPLEPO - ovvero O, P, L, E - come segue: Ottone
orafo,
Penelope psicoanalista, Lallo logopedista, Erica erborista. Ognuno dei
personaggi deve essere caratterizzato in modo esplicito da almeno un
attributo
che inizi con la lettera del proprio nome; possono essere citati altri
personaggi celebri o comparse prive di nome;
- l'ambientazione scelta è Anghiari nell'anno
1996;
- ogni testo deve contenere, in un punto qualsiasi della
narrazione,
la seguente frase: "Ogni piccola luce evoca profonde oscurità",
il cui acronimo è OpLePo;
- il tema del racconto deve essere: "mistery story" o
"suspense";
- il titolo del racconto, escluso dal computo dei
caratteri del
testo, deve essere di 13 lettere, corrispondenti al numero dei membri
dell'OpLePo;
- ogni altra costrizione volontaria e manifesta è
assolutamente
vietata.
Dopo una breve pausa di riflessione, ricca di suspense,
durante
la quale si consuma all'interno del gruppo un misterioso assassinio (o
suicidio?) al vertice, il progetto viene ripreso e definitivamente
realizzato.
Senza ulteriori indugi l'OpLePo sceglie di cimentarsi con il
genere
poliziesco, impaziente di produrre enigmi criminosi.
Purtroppo alcuni testi - quelli di Paolo Albani, di un "anonimo",
di Ruggero Campagnoli, di Marco Maiocchi e di Aldo Spinelli - si
perdono
distrattamente per strada e approdano su altri lidi, cartacei e
virtuali,
e così - colpo di scena! delitto nel delitto! - non sono
compresi
in questa plaquette poiché non più inediti.
L'iniziativa oplepiana è un contributo originale
all'esperienza
di "letteratura poliziesca potenziale" sviluppatasi fin dal 1973, anno
di fondazione dell'OuLiPoPo (Ouvroir de Littérature
Policière
Potentielle) ad opera di François Le Lionnais.
Fra i plagiari per anticipazione (espressione "paradossale e
provocatoria" coniata per indicare quegli autori che in tempi
precedenti
alla nascita dell'Oulipo - cioè il 24 novembre 1960 -
hanno
usato metodi "oulipiani") in àmbito poliziesco sono da ricordare
Jorge Luis Borges, Thomas De Quincey, Ellery Queen e S.S. Van
Dine».
Due dei testi elaborati per il Giallo d'Anghiari
vengono
pubblicati sulla rivista Delitti di carta: sono quello di Paolo
Albani «Un vago indizio» (5, 1999, pp. 12-19) e quello di
Brunella
Eruli «Alloro per loro» (4, 2001, pp. 29-38).
Il titolo del mio giallo, «Un vago indizio», si
giustifica
con il fatto che la sua struttura è tale da lasciare aperta ogni
soluzione dell'enigma: in realtà, riflettendoci bene, tutti i
personaggi
sono sospettabili, persino il colpevole dell'unico omicidio esaminato
nel
testo, individuato dai carabinieri e gettato in pasto alla stampa,
potrebbe
non essere il vero colpevole.
5b. Riallacciandosi all'amore (palesemente oulipiano) di
Calvino
per il poliziesco, che ben testimonia dell'interesse degli scrittori (e
dunque non solo dei «giallisti di professione») per questo
genere letterario, c'è un episodio che getta un piccolo ponte
tra
l'Oplepo e il delitto.
Verso la fine degli anni ottanta, Ermanno Cavazzoni, uno dei
membri più «lunatici» dell'Oplepo, scrisse un
breve saggio - in forma di «supplemento di notizie» - posto
alla fine del libro Ira fatale, sottotitolato
«Autobiografia
di un uxoricida», di un certo Alberto Olivo, singolarissimo
narratore
naïf
(Alberto Olivo, Ira fatale. Autobiografia di un uxoricida,
Torino,
Bollati Boringhieri, 1988).
Il libro è il «romanzo matrimoniale» scritto
dall'Olivo, un impiegato udinese della Richard Ginori, descritto come
un
uomo di notevole cultura, ambizioso, presuntuoso, avaro, pedante,
iracondo,
matematico, poeta, che nella notte del 16 maggio 1903 uccide la moglie
Ernesta Beccaro, biellese di 22 anni, cameriera graziosa, analfabeta,
puntigliosa,
volgare, dispettosa.
Quella notte - come si legge nel risvolto della copertina del
libro - Olivo
"svegliatosi all'improvviso, in uno stato di incoscienza
epilettica,
dopo aver sentito [dalla moglie] l'ennesimo insulto, come cieco, sordo,
e senza ragione, le si avventa addosso con un coltello. («Ira
fatale»
la sua, e a lui ben nota, se già a quattordici anni aveva
composto
un sonetto con questo titolo [un altro dei suoi sonetti s'intitola:
«Furor
savio»]).
Solo quando torna in sé, vede quello che ha fatto. Poi, nei
giorni seguenti seziona il cadavere, lo mette in una valigia e da
Milano
in treno va fino a Genova per buttarlo nel mare.
Arrestato e processato, per uno strano disguido giudiziario si trova
assolto, con grande scandalo della pubblica opinione. [Verrà
condannato
solo per sottrazione di cadavere a dodici giorni di carcere e
centoventicinque
lire di multa. La Cassazione annullerà il verdetto, ma nel
dicembre
dello stesso anno un secondo processo confermerà la sentenza.
Olivo
morirà, a ottantasei anni, il 18 dicembre 1942]. Così per
giustificarsi, appena finito il processo, scrive questa lunga nota
autobiografica,
in cui dimostra con minuto puntiglio che la moglie è la vera rea
di assassinio [una variante non considerata da Le Lionnais: il vero
assassino,
l'omicida è l'assassinato, la vittima!], e lui un poveruomo che
ha solo patito e subito e che addirittura ha ucciso ed è andato
in galera per colpa di lei, restando però sempre di cuore
innocente.
Questo che Olivo scrive è il suo romanzo matrimoniale, pignolo
e ossessivo come era lui, dove il matrimonio cresce come una malattia e
pesa quotidianamente sul corpo come una macina da mulino, in mezzo ai
conti
della spesa, ai vicini di casa sempre in ascolto, al sospetto di bere
vino
avvelenato dal mestruo, mentre lui avrebbe voluto dedicarsi in pace
alla
matematica e alla quadratura del cerchio, la sua privata e prediletta
pazzia.
Lombroso si interessò a questo delitto, partecipò come
perito al processo, ne scrisse e fece di Olivo un caso scientifico che
esemplificava a suo giudizio il tipo del criminaloide irresponsabile,
da
assolvere in tribunale ma da rinchiudere immediatamente in manicomio".
Del caso Olivo s'interessò, in una serie di
tavole da lui
stesso disegnate per il Corriere d'informazione tra il 1° e
il 5 aprile 1966, un cronista d'eccezione: Dino Buzzati. Nell'arco di
quasi
trent'anni, lo scrittore del Deserto dei Tartari scrisse per il
Corriere
della Sera e per il Corriere d'informazione una serie di
articoli
dedicati, da un lato, alla cronaca nera più
«classica»
e, dall'altro, alla cronaca delle tragedie (come il crollo della diga
del
Vajont), fatti di cronaca che, nelle mani di Buzzati, diventano
«racconti,
favole, veri e propri brani di letteratura», da cui
«trassero
nutrimento vitale l'immaginazione e la vocazione letteraria del Buzzati
scrittore» (ora questi articoli sono riuniti in un bel cofanetto
in due volumi, La «nera» di Dino Buzzati, il primo
riservato
ai «Crimini e misteri», il secondo agli
«Incubi»,
Milano, Mondadori, 2002).
5c. Per quanto mi riguarda, con un procedimento in parte
mutuato
dai giochi cari agli oplepiani, ho inventato il commissario Polidori
(le
sue imprese sono apparse su il Caffè illustrato, 15,
novembre-dicembre
2003, p. 7). Si tratta di un poliziotto che agisce in modo controverso,
antònimico (il riferimento è alle poesie
antònimiche
[cioè poesie in cui ad ogni parola viene sostituito il suo
contrario]),
vale a dire fa esattamente il contrario di ciò che di norma fa
un
commissario di polizia: cioè scoprire gli assassini.
Alla fine degli anni settanta, conseguita la laurea in
Giurisprudenza
e vinto il concorso per l’accesso alla «qualifica dei commissari
della Polizia di Stato», dove risulta quarto su 426 concorrenti,
Antonio Polidori è assegnato al commissariato de «La
Ventosa»,
popoloso quartiere che si affaccia sul porto di Maggianese, un
labirinto
di viuzze vociferanti con i panni stesi da una casa all’altra e un
pittoresco
mercatino del pesce al centro, regno incontrastato, specie di notte, di
una litigiosa comunità di gatti.
Soprannominato dai colleghi «pizzetto» per via di
un triangolino di peluria incollato sul mento che si accarezza nelle
pause
riflessive, Polidori svolge una funzione speciale nel campo
investigativo,
un’attività innovativa ancora poco valorizzata dal Ministero
dell’Interno,
ma con un futuro in crescita davanti a sé. Non c'è
dubbio,
infatti, che quella di Polidori rappresenta una nuova figura di
investigatore
che fra qualche anno avrà un ruolo sempre più importante
e decisivo nello svolgimento delle indagini di polizia.
In breve il compito di Polidori è questo: scoprire i non
assassini.
Polidori entra in azione subito dopo che l’assassino ha
confessato
o è stato smascherato dalla polizia. A quel punto, risolto il
caso,
con un fiuto irresistibile, Polidori inizia le indagini per trovare i non
assassini e mettere in luce il ruolo che non hanno svolto
nella
dinamica dei fatti delittuosi.
L’obiettivo è chiaro: creare il vuoto intorno al vero
colpevole, non lasciargli alcuna possibilità di confondere le
acque.
Il procedimento risponde a una logica ineccepibile: «Quanto
più
ampio è il numero dei non assassini accertati,
assicurati
alla giustizia, tanto più evidente si fa la
responsabilità
del reo confesso». In questo gioco d’incastri e di verifiche alla
rovescia, Polidori è considerato ormai un vero maestro, un
esperto
il cui approccio metodologico comincia a ricevere consensi, anche se
ancora
timidi, nell’ambito della letteratura scientifica sul crimine.
Gli interrogatori a cui il «pizzetto» sottopone i
non
assassini, individuati dopo lunghi appostamenti, intercettazioni
telefoniche
e minuziosi riscontri, sono condotti in un clima di estrema correttezza
formale, con un ritmo grintoso e intransigente.
Polidori recita sempre lo stesso copione: all’inizio parte da
lontano, mantiene la conversazione sul vago, tergiversa, fingendo a
volte
di perdere il filo del discorso; guarda in aria, fischiettando
distratto;
poi, piano piano, con un volo concentrico, stringe la morsa intorno
alla
sua preda, braccandola in un angolo come un boxeur all’attacco che
vuole
chiudere l’incontro prima del gong.
- Perché la notte del delitto non si trovava
nell’appartamento
del morto?
- C’erano dei buoni motivi per non aver mai conosciuto la
vittima?
- Si rende conto che non possedere l’arma del delitto
può
aggravare la sua posizione?
- Ci risulta che Lei non ha mai fatto la spesa nel quartiere
della vittima, dove ci sono due supermercati e tre minimarket. Mi sa
dire
perché?
- Come spiega che non Le abbiamo trovato alcun segno di
colluttazione
sul corpo?
- Lei non è vegetariano, come la vittima. Una strana
coincidenza, non crede?
- Il suo orologio va cinque minuti indietro. Per quale ragione non
ha spostato le lancette sull’ora giusta?
- Ho visto che non ha avuto il minimo turbamento quando Le ho
mostrato le foto della donna strangolata.
Una volta, seguendo i retroscena di un difficile caso
(appena
risolto), quello del cosiddetto «plagiario bieco di via
Roccasomara»,
[...] riesce a mettere alle strette un ferroviere in pensione con
alcune
domande taglienti:
- Sa imitare il verso della gallina al telefono?
- Conosce tutta La cavalla storna a memoria?
- Perché non ha mai preso lezioni di ukulele?
Alla fine, dopo sfibranti ore di interrogatorio, quando
il poveretto
o la poveretta crollano esausti dichiarandosi, con un grande senso di
liberazione,
non
assassini, Polidori si distende felice assumendo l’aria del
galletto
che ha appena finito di razzolare tutto il cibo intorno a
sé.
L’investigazione ha avuto successo, un altro non assassino
è stato assicurato alla giustizia.
Soddisfatto, Polidori esce dalla sua stanza cercando lo sguardo
pieno di ammirazione dei colleghi. Mentre si ricompone, aggiustandosi i
pantaloni (che porta regolarmente senza cintura), offre alle sue
vittime
un caffè o una sigaretta. Poi li saluta con una pacca sulla
spalle:
«Mi raccomando, non si faccia più pizzicare dai miei
agenti,
intesi?»
A questo punto un sorriso gli addolcisce il pizzetto alla
Vittorio
Amedeo I riflettendosi, benevolo, sulle grandi sopracciglia nere che
ispirano
fiducia.
Sono tornato a parlare del commissario Polidori in un
altro racconto
- «Una lettura particolare» - scritto per l'Almanacco
del
Bibliofilo, rivista dell'Aldus Club, Associazione Internazionale di
Bibliofilia presieduta da Umberto Eco. È la storia di un
avvocato
senese che non legge romanzi, impegnato in altre occupazioni più
interessanti per lui (giocare a tennis, andare a caccia, corteggiare le
ragazze carine, eccetera eccetera). Poi un giorno, su consiglio di una
vicina di casa appassionata di gialli, compra un libro, 2.134 pagine.
Ma
non si decide mai a leggerlo. Durante la telefonata di un assistito,
l'avvocato
ritrova, per caso, il romanzo, lo sfoglia e la sera, a letto, comincia
a leggerlo. Il romanzo ha questo inizio:
La stanza di Olga Mituri?, una badante russa di 23
anni, era
pervasa da un acre profumo di sandalo che si espandeva nell'aria,
rilasciato
da lunghi segnali di fumo che si contorcevano in modo sinuoso, danzando
sulla punta di un bastoncino indiano incandescente, sostenuto per tre
quarti
da un portacenere di vetro.
Di fronte al letto, appena qualche centimetro sopra un
tavolino
di ciliegio a tre piedi, spiccava la riproduzione di un quadro di
Toulouse-Lautrec
che ritraeva, al centro, una ballerina con le gonne sollevate. La luce
dell'abat-jour, posta su uno dei due comodini di fianco al letto, era
accesa
e la sveglia elettronica segnava, in numeri rossi fosforescenti, le
10:30,
con i due punti di separazione fra il 10 e il 30 che brillavano a
intermittenza.
Completamente nuda, Olga era sdraiata sul letto, a
pancia
in giù, con un braccio che le penzolava verso il pavimento,
quasi
a sfiorare due ciabattine di peluche perfettamente allineate fra di
loro.
Il corpo della donna, ben fatto, di un rosa color tramonto estivo,
mostrava
in primo piano, entrando nella stanza, due natiche stupendamente
rotonde,
carnose e sensuali.
Solo dopo che ebbe girato lentamente il corpo della
donna,
scoprendone il viso, il commissario Polidori si accorse che Olga aveva
vicino a un capezzolo...
La lettura appassiona l'avvocato a tal punto che non si
staccherà
più dal libro, vi resterà incollato per tutta la vita:
«Perché,
mentre lui si prodigava, felice, nella lettura di quel libro, tutte le
notti, senza il minimo segno di stanchezza, di noia, il romanzo era
come
se si allungasse piano piano sotto i suoi occhi, prendesse ogni volta
una
strada nuova, imprevedibile, inesplorata, fosse continuamente
proiettato
in avanti, in una dimensione di perenne irrisolutezza, capace di
ordire,
personificazione cartacea di una laboriosa Penelope, un'infinità
di trame».
Per finire, alcuni «aforismi in giallo» che
ho scritto
ispirandomi a quel particolare gusto letterario, tanto caro a Georges
Perec,
per la descrizione minuziosa, oggettiva, maniacale del vissuto
quotidiano.
In questo caso si tratta del vissuto di un romanzo giallo.
Un romanzo giallo fu ritrovato
in un lago di fogli strappati,
con il dorso aperto a metà,
misteriosamente invenduto
nello scaffale di una libreria.
***
Per un imperdonabile errore di identità,
un romanzo giallo finì sulle pagine gialle
nella sezione dedicata alle «macchine narrative».
***
Un romanzo giallo che uccideva solo
nei giorni lavorativi,
ogni volta seguendo lo stesso macabro rituale,
venne soprannominato: il «ferial killer».
***
Nella trama del racconto,
la suspense si protrasse così a lungo, ma così a lungo,
che alla fine rimase sospesa in aria
e da lì non si mosse più, indecisa su cosa fare.
***
Un romanzo poliziesco cadde in depressione
e cominciò a vedere tutto noir nella sua vita.
***
Al termine della visita,
il medico disse a un thriller scadente che aveva i brividi:
«La trovo un po' gialliccio, si riguardi».
***
Ovunque sulla scena del delitto
c'erano le impronte digitali di un libraccio sbadato,
un poliziesco alla Gadda, pasticcione.
***
Non fu difficile all'assassino volare via
dalle pagine rocambolesche di un feuilleton;
il genere letterario era di quelli di evasione.
***
Una vecchia antologia di scrittori cannibali
assassinò un libro di cucina,
poi lo fece a pezzi e se lo mangiò avidamente,
ricetta dopo ricetta.
***
Piano piano, con fare circospetto,
un romanzo giallo voltò l'ultima pagina,
ignaro di cosa lo aspettasse,
e all'improvviso lanciò un grido terrificante:
vide la Fine davanti a sé.
____________________________________
Relazione che ho tenuto durante la manifestazione Letteraria:
letture, lettori, letterature, seconda edizione dedicata alle "Ragioni
del giallo", Antichi Magazzini, Pistoia, lunedì 18 ottobre 2004.
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