Paolo Albani
L'OPIFICIO DI LETTERATURA
POTENZIALE E IL GIALLO



1. Se pensiamo a ciò che ha detto Borges del racconto poliziesco, tema di Letteraria di quest'anno, ossia che «è letteratura fantastica che cerca di apparire realistica», vediamo che esiste una certa continuità tra la prima (dedicata appunto alla letteratura fantastica) e la seconda edizione di Letteraria
Suppongo vi starete domandando: «Esiste un legame tra il giallo, la letteratura poliziesca, e l’OpLePo (acronimo di Opificio di Letteratura Potenziale)?» Ma soprattutto, immagino, vi starete chiedendo: «Cos'è l'OpLePo
Credo sia giusto, perciò, in primo luogo, dare alcune informazioni, spendere due parole sul secondo interrogativo: «Cos'è l’OpLePo?», e di conseguenza parlarvi brevemente della «letteratura potenziale». 

2. [Per quanto riguarda questo paragrafo, dedicato alla letteratura potenziale, si veda il mio intervento su La letteratura potenziale].

3. Una figura particolare, nell'ambito dell'esperienza oulipiana, è il «plagiaro per anticipazione», cioè l'autore di un testo strutturato oulipiamente prodotto in epoca anteriore alla nascita dell’Oulipo (e dell'OpLePo). Fra i plagiari per anticipazione dell'OpLePo possiamo ricordare Nanni Balestrini che, all’inizio degli anni sessanta, compone alcune poesie con l’ausilio del calcolatore elettronico; Giorgio Manganelli autore di Centuria (1979), una raccolta di «cento piccoli romanzi fiume», brevi narrazioni non più lunghe di un foglio (questa è la costrizione che il Manga si è dato) che vanno a comporre «una vasta ed amena biblioteca»; Umberto Eco, creatore di innumerevoli funambolismi linguistici, di cui sarebbe troppo lungo parlare in questa sede; Edoardo Sanguineti che, oltre a cospargere i suoi libri poetici di tautogrammi, acrostici, rebus, ha pubblicato nel 1967 Il giuoco dell'oca, una sorta di romanzo, suddiviso in 111 capitoletti, che può essere letto con spostamenti da un capitolo all'altro attraverso il lancio di due dadi numerati dall'1 al 6, come si fa, appunto, con il gioco dell'oca.

 4. Dopo questa necessaria premessa, veniamo dunque al nostro tema, e cioè ai rapporti fra l'OuLiPo-OpLePo e la letteratura poliziesca. Va detto subito che, per quanto riguarda la ricerca oulipiana, ci troviamo di fronte a un approccio verso il crimine insolito, stravagante, bizzarro, basato su particolari contraintes.

 4a. Prima di tutto una breve nota storica. 
 A fianco dell’OuLiPo sono nati altri opifici, in altri campi della ricerca artistica, come l'OuPeinPo (Ouvrier de peinture potentielle), l’OuMuPo (Ouvroir de Musique Potentielle), l’OuCinéPo (Ouvroir de Cinéma Potentielle), l'OuCuiPo (Ouvroir de Cuisine Potentielle); senza disdegnare opere di teatro e di altri “generi” espressivi, l’OuLiPo opera anche nel campo informatico attraverso l’ALAMO (Atelier de Littérature Assistée par la Mathématique et les Ordinateurs).
 Nel 1973, François Le Lionnais fonda l'OuLiPoPo (Ouvroir de Littérature Policière Potentielle) che, anche in questo caso come in quello del gruppo originario, l'OuLiPo, comprende due anime: una analitica che studia le situazioni e i meccanismi usati nella letteratura poliziesca, e i possibili modi di combinarli, e una sintetica che esplora i potenziali meccanismi della letteratura poliziesca ancora non usati perché ritenuti inadoperabili. «Si può pensare che queste nuove possibilità siano rare» dichiara Le Lionnais. «Da parte mia rifiuto questo disfattismo, convinto come sono che esistono strade ancora non battute».
 Il primo testo di questo particolare opificio esce nel 1971 (dunque prima della stessa fondazione dell'OuLiPoPo) sul numero 15 di Subsidia Pataphysica, una delle pubblicazioni curate dal Collegio di 'Patafisica (all'OuLiPoPo è interamente dedicata la IV sezione del libro di Harry Mathews e Alastair Brotchie, edited by, Oulipo compendium, London, Atlas Press, 1998, pp. 251-271; in questa sezione si trovano i riferimenti bibliografici dei testi, collettivi e dei singoli autori, dell'OuLiPoPo). 
 Di questo primo testo intitolato: «Qui est le coupable? (Chi è il colpevole)», che porta la data del 12 gennaio 1969, ispirato al principio di Sherlock Holmes: «Quando si è escluso l'impossibile, ciò che rimane, sebbene improbabile, deve essere la verità», è autore lo stesso François Le Lionnais. In esso sono analizzate le strutture del romanzo poliziesco, ovvero le possibili variazioni riguardanti la figura di un colpevole «x». Al di là del fatto di appartenere al genere umano oppure no (può trattarsi di animale, fenomeno naturale, extraterrestre, diavolo, zombi, eccetera), il colpevole «x» può essere noto fin dall'inizio al lettore, essere scoperto solo verso la fine, restare sempre ignoto, o ancora non esistere: in quest'ultimo caso saremmo in presenza di un suicidio. Ma Le Lionnais introduce un ulteriore variante, a suo giudizio mai realizzata: il colpevole è il lettore (François Le Lionnais, «Qui est le coupable?», in Oulipo, La littérature potentielle, Paris, Gallimard, 1973, pp. 62-65). 
«Pare che il gruppo dell'Oulipo» - afferma Umberto Eco, probabilmente riferendosi proprio allo scritto di Le Lionnais - «abbia recentemente costruito una matrice di tutte le possibili situazioni poliziesche e abbia trovato che rimane da scrivere un libro in cui l'assassino sia il lettore» (Umberto Eco, «Postille a "Il nome della rosa" 1983» in: Il nome della rosa, Milano, Bompiani, 2004, pp. 505-533). 
 In effetti, a nostra conoscenza, l'idea del lettore-assassino è stata messa in atto da Raoul Montanari in Sei tu l'assassino, sottotitolato «l'ultimo giallo possibile», edito da Marcos y Marcos (con lo stesso titolo esiste un racconto di Edgar Allan Poe). L’idea, confessa Montanari, gli venne leggendo proprio le Postille al Nome della rosa, là dove Eco, come abbiamo visto, riferisce che gli intellettuali francesi d’avanguardia dell’Oulipo avevano costruito una matrice di tutte le possibili trame di un giallo, e erano arrivati alla conclusione che rimaneva solo da scrivere il giallo in cui l’assassino fosse il lettore.
    Ecco la trama di Sei tu l’assassino. Un uomo che lavora in una casa editrice viene ucciso da una scarica elettrica partita da un computer. Seguendo l'indagine di un ispettore di polizia, il lettore scoprirà che la casa editrice è la Marcos y Marcos, che l'ucciso lavora a un bizzarro progetto che riguarda proprio questo libro; un progetto in cui il desiderio del lettore di essere protagonista «attivo» e di interagire con il libro viene portato all'assurdo; infine scoprirà che il meccanismo mortale che ha portato all'emissione della scarica, un meccanismo logico e stringente eppure di una semplicità disarmante, è stato innescato dalla mano del lettore stesso: allegata al libro c’è infatti una card con un numero; l’uomo è morto quando è stato digitato quel numero e quindi il lettore che ha acquistato il libro è l’assassino (Raoul Montanari, Sei tu l'assassino. L’ultimo giallo possibile, Marcos y Marcos, Milano, 1997).
 L'idea di un ruolo attivo del lettore (addirittura che sia il colpevole) fa venire in mente il romanzo poliziesco The God of the Labyrinth di Herbert Quain, di cui parla Jorge Luis Borges (per altro considerato uno dei plagiari per anticipazione dell'OuLiPoPo) in Finzioni. A un certo punto del romanzo di Quain compare questa frase: «Tutti credettero che l'incontro dei due giocatori di scacchi fosse stato casuale». È una frase importante, perché lascia capire che la soluzione prospettata dal detective è erronea: il lettore, più perspicace del detective, rivedendo i capitoli sospetti del romanzo, potrà scoprire, scrive Borges, «un'altra soluzione, la vera».
 In un altro breve scritto, «Une nouvelle policière en arbre (Un racconto poliziesco ad albero)», sottoposto alla 79a riunione di lavoro dell'Oulipo, Le Lionnais rende di nuovo attiva la partecipazione del lettore, ponendolo di fronte a una serie di scelte: «a) Preferite un enigma poliziesco? Seguito a pagina x; b) Preferite un seguito suspense? Seguito a pagina x'; c) Preferite un seguito erotico-brutale? Seguito a pagina x''» e via di questo passo. In caso si scelga l'opzione a), si apriranno nuovo scenari: se il lettore preferisce un delitto in una stanza chiusa, deve andare a pagina y, se preferisce un alibi perfetto o un altro genere d'enigma, allora deve spostarsi rispettivamente alla pagina y' o a quella y'', e così di seguito. Immaginando un albero a 5 livelli, - precisa Le Lionnais - dei quali ognuno comporti da 2 a 4 biforcazioni, un racconto poliziesco riempirebbe facilmente un volume da 200 a 300 pagine. Su una struttura poco diversa da questa, c'informa Le Lionnais, lo scrittore di romans noir Michel Lebrun sta preparando un romanzo poliziesco (François Le Lionnais, «Une nouvelle policière en arbre», in: Oulipo, La littérature potentielle, Paris, Gallimard, 1973, p. 272; sul rapporto fra Le Lionnais e l'OuLiPoPo si veda: «FLL et l'Oulipopo», Viridis Candela, 18, 15 dicembre 2004, pp. 63-72).
 Una struttura analoga alla letteratura «ad albero» proposta da Le Lionnais, intitolata «Un conte à votre façon (Un raccontino a vostro piacimento)», presenta Queneau alla 83a riunione dell'Oulipo, ispirandosi alla presentazione delle istruzioni destinate ai calcolatori o all'insegnamento programmato. Anche in questo caso vengono poste al lettore diverse scelte: 

 1. Desiderate conoscere la storia dei tre vispi pisellini?
  se sì, passate a 4
  se no, passate a 2

 2. Preferite quella dei tre sottili perticoni?
  se sì, passate a 16
  se no, passate a 3

 3. Preferite quella dei tre medi piccoli arbusti?
  se sì, passate a 17
  se no, passate a 21

 e così via, fino alla casella 21 che dice: «In questo caso, il raccontino è ugualmente finito» (Raymond Queneau,«Un conte à votre façon», in: Oulipo, La littérature potentielle, Paris, Gallimard, 1973, pp. 273-276). 
 Esiste anche una versione chiamata «L'arbre à théâtre. Comédie combinatoire (L'alberto teatrale. Commedia combinatoria)» elaborata da Paul Fournel con la collaborazione di Jean-Pierre Énard, dove sarà lo spettatore a scegliere, con varie modalità da stabilire secondo il luogo (per alzata di mano in una sala; oppure telefonando nel caso di una trasmissione radiofonica; eccetera), il seguito dello spettacolo (Paul Fournel, «L'arbre à théâtre. Comédie combinatoire», in: Oulipo, La littérature potentielle, Paris, Gallimard, 1973, pp. 277-281).
 Ancora agli «enigmi polizieschi» - Croisade pour l'énigme (Crociata per l'enigma) - è dedicato il numero 24-25 dei Subsidia Pataphysica, uscito il 7 ottobre 1974, da non confondere, si precisa, con gli usuali romanzi gialli, coi polizieschi da edicola e nemmeno con i polizieschi d'atmosfera alla Simenon o addirittura psicologici. «Noi non ci preoccupiamo qui che di enigmi polizieschi e non degli orpelli letterari tradizionali che li rivestono, quali azione, suspense, psicologismo, descrizioni veriste ecc. Quanto alla metodologia, questa sarà del tutto atta a sedurre gli scientifici, dato che è la metodologia dell'Oulipopo... Al di là di ogni pretesa, lo scopo finale di queste parodie sarà quello di facilitare la realizzazione di un'impresa sportiva e di raccogliere la sfida dal Reggente François Le Lionnais: scrivere una storia poliziesca dove l'assassino sia il lettore!» (Enrico Baj, Patafisica la scienza delle soluzioni immaginarie, Milano, Bompiani, 1982, p. 65). 

 4b. Il poliziesco come struttura narrativa, con le sue classiche componenti (l'enigma criminoso, il delitto, l'investigazione, la suspense, l'incertezza sull'identità del colpevole, i colpi di scena, eccetera eccetera), attraversa in modo significativo molte delle opere degli scrittori oulipiani.
 Prendiamo ad esempio Georges Perec. Il suo romanzo lipogrammato La disparition (tradotto in italiano da Piero Falchetta, membro dell'OpLePo, cfr. La scomparsa, Napoli, Guida editori, 1995) è stato definito da Calvino un «romanzo poliziesco un po' bislacco» (Italo Calvino, «Perec, gnomo e cabalista», la Repubblica, 6 marzo 1982, p. 18). C'è un commissario, un certo Didot (nome di un celebre tipografo francese e del carattere tipografico da lui inventato) che, insieme al suo aiutante Garamond (altro nome di carattere), indaga sulla scomparsa di Anton Vokal (straordinario che, con questo nome, nessuno si sia accorto, all'uscita del romanzo, che era scomparsa la vocale «e») e che, a un certo punto delle indagini, si rivolge all'infallibile investigatore Dupin, il protagonista de La lettera rubata di Poe. C'è nel romanzo una caterva di morti strane, di omicidi efferati, di vendette, di scritture criptiche, di rapporti misteriosi fra i personaggi.
 Anche ne La vie mode d’emploi si respira un'aria poliziesca, come ci ricorda Calvino: «il libro [è] brulicante di storie, d'avventure, di delitti, d'indagini poliziesche» (Italo Calvino, «Perec e il salto del cavallo», la Repubblica, 16 maggio 1984).
 «Storia quasi poliziesca di quadri falsi», come afferma Claude Burgelin, è anche Un cabinet d'amateur. Histoire d'un tableau (1979), tradotto in italiano con Storia di un quadro (Milano, Rizzoli, 1990), dove, attraverso la descrizione minuziosa di un quadro e della sua storia, vengono smontati gli aberranti e tortuosi meccanismi a cui fecero ricorso molti musei americani per accaparrarsi a colpi di migliaia di dollari quadri di famosi pittori (Claude Burgelin, Georges Perec. La letteratura come gioco e sogno, Genova, Edizioni Costa & Nolan, 1989, p. 234). 
 Infine, su un emozionante intrigo giallo si regge il romanzo lasciato in sospeso da Perec, 53 jours, che «amici e conoscenti chiamavano già il "suo romanzo poliziesco"» (Gianni Celati, «Nota a una traduzione», Riga, 4, 1993, p. 86).

 4c. Al centro dell'intreccio che contraddistingue il romanzo Pierrot mon ami (Pierrot mio amico) (1943) di Raymond Queneau ci sono una morte che forse non è mai avvenuta, un luna park in fiamme, un misterioso giardino e un detective molto irregolare.
 Dal 29 settembre 1944 al 12 novembre 1945, Queneau tenne una rubrica letteraria sul giornale Front national, e vi scrisse anche un pezzo dedicato al «Romanzo poliziesco», in particolare di quello anglosassone (inglese), arrivato, a suo giudizio, «verso gli anni 1935 a un grado di perfezione uguale a quello della tragedia classica al tempo di Voltaire». 

«Le regole sono fissate con rigore,» - osserva Queneau - «il genere ha confini tanto precisi che il "detective novel" costituisce un capitolo ben determinato nei bollettini editoriali, nelle bibliografie, nelle recensioni letterarie. Come nella tragedia si rispettano le tre unità, si usano i confidenti e ci si astiene dal mostrare la realizzazione del delitto, così nel romanzo poliziesco il poliziotto non deve essere il colpevole, deve esserci un solo colpevole e l'autore si vede proibire formalmente ogni ricorso alla metapsichica, all'occultismo, alle pseudo-invenzioni scientifiche. Si vede proibire anche ogni intrigo amoroso; d'altra parte, egli deve lealmente fornire al lettore i mezzi per risolvere il problema. S.S. Van Dine in Delitto sulla neve ha enumerato le venti "regole del romanzo poliziesco". Ho appena citato gli articoli 1, 3, 4, 12 e 14 di questo codice altrettanto arbitrario (ma altrettanto necessario) quanto le leggi del sonetto, del rondò o degli scacchi».

 Poi Queneau accenna alle trasformazioni del romanzo poliziesco americano:

«Da una ventina d'anni il romanzo poliziesco americano si è trasformato, e il primo scrittore significativo che abbia annunciato questo cambiamento è stato, credo, Dashiell Hammett. L'attenzione dell'autore e del lettore non verte più sull'enigma ma sui personaggi che delineano questo enigma; d'altra parte il detective ha cessato di essere un semidio perfettamente raziocinante per presentarsi sotto le specie del poliziotto che tira botte da orbi e beve smodatamente; insomma, il romanzo poliziesco ha cessato di essere intellettualistico per diventare, se così posso dire, esistenzialista (nel senso giornalistico della parola).
La brutalità e l'erotismo hanno soppiantato le dotte deduzioni. Il detective non raccoglie più la cenere delle sigarette [sicuramente Queneau allude a Sherlock Holmes, autore della monografia Sulla distinzione tra cenere dei vari tabacchi, si veda Arthur Conan Doyle, Il segno dei quattro, Milano, Rizzoli, 1980, p. 17, n.d.r.], ma schiaccia il naso dei testimoni a colpi di tacco. I banditi sono perfettamente immondi, sadici e vigliacchi, e tutte le donne hanno delle splendide gambe; sono perfide e traditrici e non meno crudeli dei signori uomini. Insomma, si tratta di gente come si deve, e non c'è da fare il minimo sforzo intellettuale per seguire la traccia più o meno sanguinosa dell'agente speciale sguinzagliato in questo pandemonio» (Raymond Queneau, «Romanzo poliziesco», in: Segni, cifre e lettere e altri saggi, Torino, Einaudi, 1981, pp. 263-265).

 4d. Anche Calvino, membro prestigioso dell'OuLiPo (vi fu ammesso, per i buoni uffici di Queneau, nel 1973), si è cimentato con il poliziesco (sul Calvino oulipiano si veda: Mario Barenghi, «Poesie e invenzioni oulipiennes», in: Italo Calvino, Romanzi e racconti, Milano, Mondadori, 1994, pp. 1239-1245; più in generale su Calvino e la letteratura combinatoria: Piergiorgio Odifreddi, «Se una notte d'inverno un calcolatore», in Raffaele Aragona, a cura di, La regola è questa. La letteratura potenziale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, pp. 146-160).
 Nel racconto «L'incendio della casa abominevole», da cui Calvino avrebbe voluto ricavare un vero e proprio romanzo intitolato L'ordre dans le crime (L'ordine nel delitto), l'indagine del narratore muove dal ritrovamento di una danneggiata relazione sugli atti abominevoli compiuti nella pensione della vedova Roessler. Sul frontespizio di quella relazione sono riportate dodici voci in ordine alfabetico, una lista di dodici azioni criminose transitive e non riflessive: Accoltellare, Diffamare, Drogare, Indurre al suicidio, Legare e imbavagliare, Minacciare con pistola, Prostituire, Ricattare, Sedurre, Spiare, Strozzare, Violentare. Non si sa quale abitante della pensione abbia redatto il sinistro resoconto, né quali fini si sia proposto: di denuncia, di confessione, d'autodifesa, di contemplazione affascinata del male? L'indice non riporta i nomi dei rei né quelli delle vittime delle dodici azioni, delittuose o soltanto colpevoli, né sappiamo la successione in cui sono state commesse; alla completezza dell'elenco manca un verbo, Incendiare, certo l'atto finale di questa torva peripezia.
 Analizzando il testo dal punto di vista combinatorio Calvino annota:

"Anche ammettendo che ognuna delle dodici azioni sia stata compiuta da una sola persona ai danni d'una sola altra persona, ricostruire gli avvenimenti è un compito arduo: se i personaggi in questione sono quattro, presi due a due possono configurare dodici relazioni diverse per ciascuno dei dodici tipi di relazioni elencati. Le soluzioni possibili sono dunque dodici alla dodicesima potenza, cioè occorre scegliere tra un numero di soluzioni che ammonta a ottomilaottocentosettantaquattro miliardi, duecentonovantasei milioni, seicentosettantaduemiladuecentocinquantasei. Non c'è da stupirsi se la nostra troppo indaffarata polizia ha preferito archiviare l'inchiesta, con la buona ragione che, per quanti delitti possano esser stati commessi, certo i rei sono morti insieme alle vittime".

 Solo l'assicuratore Skiller ha urgenza di sapere la verità sull'incendio della casa e si aspetta la risposta da un elaboratore elettronico che dovrà, attraverso un sistema d'esclusioni (solo se minacciato con pistola un soggetto può essere legato e imbavagliato), «scartare miliardi di sequenze incongrue, ridurre il numero delle concatenazioni plausibili, avvicinarsi a scegliere quella soluzione che s'imponga come vera» (Italo Calvino, «L'incendio della casa abominevole», in: Prima che tu dica «pronto», Milano, Mondadori, 1993, pp. 140-153, e anche in: Romanzi e racconti, Milano, Mondadori, 1994, pp. 319-332; in origine il racconto uscì sull'edizione italiana di Playboy, febbraio-marzo 1973).
 Le prime pagine del racconto uscirono in versione francese, «L'incendie de la maison maudite», nel paragrafo 5 della IV sezione, dedicata all'«Oulipo et informatique», dell'Atlas de littérature potentielle dell'Oulipo (Paris, Gallimard, 1981, pp. 319-331). Il testo s'interrompe al termine del settimo capoverso, alla frase: «la Compagnie pourra facilment les faire taire [la Compagnia potrà facilmente tacitarli]». Dopo di che Calvino fa seguire la spiegazione analitica dei possibili sviluppi, legati al computo elettronico delle combinazioni e all'adozione di opportune regole di compatibilità. Al computer non spetterebbe la funzione di realizzare tutte le possibilità del meccanismo combinatorio, bensì di selezionarle sulla base di una serie di contraintes
 - objectives, riguardanti le compatibilità tra le relazioni (ad esempio se A strangola B, non ha bisogno di pugnalarlo né d'indurlo al suicidio); 
 - subjectives, relative all'incompatibilità di ogni personaggio con certe azioni commesse o subite; divise le 12 azioni principali (di cui si è già detto) in 4 classi soggettive, e cioè «atti di forza fisica», «atti di persuasione», «atti sleali», «atti che sfruttano la debolezza altrui», se sappiamo, ad esempio, che A è un uomo di un'enorme forza fisica, ma allo stesso tempo un bruto quasi inarticolato, ne consegue che A non può subire gli atti di forza fisica, né compiere gli atti di persuasione; 
 - ed esthétiques, o soggettive del programmatore: quest'ultimo «ama l'ordine e la simmetria. Di fronte al gran numero di possibilità e al caos delle passioni e dei fastidi umani, egli tende a favorire le soluzioni formalmente più armoniose ed economiche».
 «L'aiuto dell'elaboratore, lontano dall'intervenire in sostituzione all'atto creatore dell'artista» - conclude Calvino il suo scritto francese - «permette al contrario di liberarlo dalle schiavitù di una ricerca combinatoria, offrendogli così le migliori possibilità di concentrarsi su questo "clinamen" che, solo, può fare del testo una vera opera d'arte» (Italo Calvino, «Prose et anticombinatoire», in: Oluipo, Atlas de littérature potentielle, cit.,p. 331, nostra traduzione).
 Secondo alcune testimonianze di Marcel Benabou e Jacques Roubaud, proprio nel 1985 (l'anno della sua morte) Calvino pensava di riprendere la composizione di questo racconto; sappiamo anche che per stendere questo testo Calvino si servì della consulenza di un programmatore di nome William Skyvington; alcuni appunti di Calvino con l'indicazione «tentativo di sviluppare in romanzo il racconto L'incendio della casa abominevole» portano la data dell'11-13 luglio 1977: dunque, per un certo periodo, l'elaborazione del progetto si sovrappone alla stesura di Se una notte d'inverno un viaggiatore (si veda la nota di Mario Barenghi alle pp. 1242-1243 del meridiano Mondadori Romanzi e racconti del 1994).
 A testimonianza (indiretta) della passione per il poliziesco di Calvino possiamo ricordare un suo articolo «Le meraviglie della cronaca nera» comparso su la Repubblica del 1983 (ora anche in Collezione di sabbia, Milano, Mondadori, 1994, pp. 51-56), recensione a un'esposizione dedicata ai fatti di cronaca, svoltasi al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Parigi, pubblicizzata da un manifesto ove campeggia l'immagine di un orso bianco che sbrana una fanciulla. 
 Fra il materiale esposto, in gran parte proveniente dal supplemento illustrato del Petit Journal, fondato nel 1863, le cui tavole a colori funzioneranno da modello per la Domenica del Corriere, non mancano gli episodi di delitti, per danaro o per passione o per follia (Calvino cita un assassinio passionale in una macelleria). Il fascino esercitato dal criminale sull'immaginazione, sottolinea Calvino, è provato dalle cartoline illustrate che raffigurano famosi assassini.
 L'analisi di Calvino sul fascino del delitto e sui rapporti letteratura-crimine, è di grande interesse, e getta, a mio avviso, una luce stimolante sul fenomeno della fortuna che il giallo sta attraversando da qualche anno a questa parte in Italia. Scrive Calvino:

"Non è solo la crudeltà del delitto a eccitare la curiosità, ma anche, da sempre, il suo contrappasso, la crudeltà della punizione. La ghigliottina è un grande tema dell'iconografia popolare (e delle canzoni); una serie di cartoline illustrate con la obiettività di tristi fotografie in bianco e nero ci tramanda una panoramica della prigione, una veduta d'insieme dello strumento, dettagli della lunetta e del paniere, e perfino un'inquadratura del garage dove l'arnese veniva custodito nei periodi di riposo [...].
L'usanza degli antichi carnefici di vendere la corda degli impiccati come amuleto si continua in un macabro culto delle reliquie dei ghigliottinamenti. Qui viene esposto, incorniciato e sottovetro, un assemblage che contiene il colletto del maglione e quello della camicia tagliati per la toilette prima dell'esecuzione a Caserio, l'anarchico autore dell'attentato mortale al presidente Carnot (1899). 
[...] L'assassinio, come la santità, produce reliquie: il mobilio della casa di Landru fu messo all'asta nel 1923 e naturalmente il prezzo che toccò cifre più alte fu quello per la famosa cucina a legna in cui Landru si sbarazzava dei resti delle sue «fidanzate». Apprendiamo che fu pagata «40 mila lire da un italiano». (Sarà in Italia? Dobbiamo considerarla un Bene Culturale da tutelare?)
Il processo è il momento in cui l'evocazione del fatto di sangue e quella della pena sono presenti insieme, ed è proprio partendo dal processo che la cronaca suscita le emozioni popolari. Non è un caso se molta di questa documentazione ruota attorno ai «processi celebri», che già dal 1825, con l'inizio della «Gazette des Tribunaux», possono contare su un giornalismo specializzato, che ispirerà a sua volta tanto i grandi scrittori, da Stendhal a Balzac a Sue, quanto i romanzieri d'appendice.
L'«humour noir» intorno a delitti ed esecuzioni ha una circolazione non solo tra gli spiriti blasés [disincantati], ma anche nella stampa popolare: nel 1884, si presenta un «Giornale degli Assassini», «organo ufficiale degli Accoltellatori Riuniti» («Abbonamenti: a mezzanotte, agli angoli di strada») che non so se sia andato più avanti del primo numero.
Le «locande insanguinate» dove gli albergatori assassinano i clienti nel sonno e li bruciano nella stufa sono un altro «topos» che dalla cronaca criminale della profonda provincia francese dell'Ottocento passa alla letteratura e al teatro (ultima versione Le malentendu di Camus). La più famosa è stata la locanda di Peirebeille dove i coniugi Martin e il domestico Rochette detto il Mulatto fecero scomparire un numero di persone che non fu mai stabilito con precisione, per poi essere ghigliottinati nel 1833 sul luogo stesso dei loro crimini. Non ci voleva di più perché l'albergo divenisse in seguito un'attrattiva turistica, con cartoline e souvenirs.
Queste storie sanguinose forniscono la materia prima mitica di cui s'impadroniscono la letteratura popolare (che segue da vicino la cronaca con dispense a 10 centesimi sui delitti famosi romanzati), i drammi nel teatro specializzato che riceve la sua macabra suggestione dal nome del Boulevard du Crime dov'era situato (immortalato nel film di Carné Les enfants du Paradis), i manichini di cera del Museo Grévin, poi il cinema: è tutta una dimensione dell'immaginazione che dalla Francia passa nella mitologia universale del mondo moderno".

 4e. Anche il romanzo L'enlèvement d'Hortensie (Il rapimento di Ortensia) (1987) di Jacques Roubaud, matematico e autore prolifico dell'OuLiPo, che si apre con questa divertente frase: «Era un bel giorno caldo, ma non eravamo in Belgio», dove ogni pagina è piena di invenzioni, paradossi, battute, giochi di parole e spunti di divertimento, in un continuo omaggio all'amico e maestro Queneau, è «un giallo in piena regola in cui si incontrano:

il cane Balbastre, vittima,
l'ispettore Blognard, incaricato delle indagini,
alcuni gatti superdotati,
una serie di Bei Ragazzi, tra cui
il cameriere del bar della zona
il garzone della pasticceria
il cantante di un famoso complesso rock,
due campanari che battono le ore tutte assieme per non doverci pensare
più, tutti ugualmente sospettati e infine
Ortensia, "una bella eroina simpatica e non idiota", fatto questo "piuttosto
incoraggiante data la generale difficoltà dell'esistenza".
E naturalmente
l'Autore e
l'Editore
in perenne conflitto tra loro».

 4f. I testi dell'OuLiPo (come del resto quelli dell'OpLePo, nel suo piccolo) sono pubblicati in una Bibliothèque Oulipienne, formata da plaquette che, puntualmente, vengono riunite in volume (si veda Oulipo, La Bibliothèque Oulipienne, 4 voll., Paris, Seghers, 1990-1997, che raccoglie le plaquette dal numero 1 al numero 52, e Oulipo, La Bibliothèque Oulipienne, 3 voll., Bordeaux, Le Castor Astral, 1997-2003, che raccoglie quelle dal numero 53 al numero 85).
 Fra le plaquette oulipiane, alcune sono di carattere poliziesco. 
 L'Hôtel de Sens di Paul Fournel, docente di Letteratura Francese e direttore editoriale, e Jacques Roubaud è una storia fantastica, in cui da una successione di lettere disposte in circolo (A-M-E-L-I-E-F-OU-L-B-O-R-D) si origina una serie straordinaria di diverse letture, costruite nel rispetto di una sequenza fonetica (il testo è uscito sul numero 10 de La Bibliothèque Oulipienne, nell'ottobre 2001; ne esiste una traduzione italiana, a cura di Raffaele Aragona, nel libro da quest'ultimo curato, La regola è questa. La letteratura potenziale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, pp. 173-263, il 13 ottobre 2000 L'Hôtel de Sens fu rappresentato all'Hotel «La Palma» di Capri, nel corso dell'VIII edizione del «Premio Capri dell'Enigma» e del convegno sulla letteratura potenziale «La regola è questa», voce recitante Emanuela Grimalda, scenografia di Athos Collura, disegni di scena a cura dell'OuPeinPo, al pianoforte Pierfrancesco Borrelli).
 La storia: 

"narra di un piccolo albergo condotto da Monsieur Moriarty con l'aiuto di due vezzose gemelle, la disordinatissima Amelie e la diligentissima Mélie. L'albergo pare votato a una tranquilla routine fin quando non arriva un quartetto di ospiti stranamente assortito; il filosofo Nietzsche, i suoi amici (!) Rilke, Rée e il "celebre" detective Dupin; sono tutti alla ricerca della bella amica Lou Salomé e sono convinti che si trovi sequestrata in quell'albergo. Ma Moriarty nega: d'altronde egli è in grado di conoscere quanto avviene nelle stanze del suo albergo grazie a un sorprendente congegno: una sorta di orologio posto alla parete della hall reca le ore abbinate a una lettera e la sua unica lancetta servirà a scandire ore particolari, ricche di sorprendenti rivelazioni. Basta leggere di seguito le lettere in senso orario a partire di volta in volta da quella indicata e corrispondente al numero della camera. Si incomincia con la camera n. 1, dove, come al solito, Amelie comincia a mettere disordine: AMÈLIE FOUT LE BOURDEL; più avanti, nella camera n. 6, Mélie rimbocca le coperte a un vecchio ospite pazzo e avaro: FOU LE BORD, LA MÉLIE; al n. 10 un'eccentrica contessa si prepara per il ballo mascheralo. Ha convocato per un'ultima prova il suo sarto cinese Li-Fou, al quale chiede un orlo dorato per rendere il vestilo più vivace: LE BORD DE LAMÉ, LI-FOU!
 E così, a una a una, Moriarty riesce a mostrare come tutte le camere siano tranquille e non abbiano nulla da nascondere. Ma al bravo Dupin non sfugge la possibilità di un Hôtel de Sens contraire, l'eventualità di una lettura in senso antiorario ed è così che spunta fuori la verità: Lou Salomé è davvero in quell'albergo. Nella camera n. 2 si vede rinchiusa, nuda, la bella Lou che, dopo aver stordito il suo guardiano e avergli rubato la pistola, riesce a fuggire: MAL DEROBÉE, LOU FILAIT; sempre nuda, Lou passa al n. 11, dove il preromantico Hoffmann, trovandosela di fronte, dimentica tulle le proprie tristezze ed esclama: BELLE OU FILE MA LAIDE HEURE; Lou entra nella camera n. 4, dove il poeta Lamartine le mostra i vestiti lasciati dalla sua Elvire prima di annegare: LES MALLES DE ROBE, LOU FIT.
 In ultimo (anche questa versione au contraire prevede il controllo di tutte le stanze) Lou finisce per incontrare i suoi amici e la brutta avventura si conclude felicemente. Nell'albergo, assicurati i responsabili alla giustizia, ritorna la calma e la vita riprende il suo corso abituale. Per convincersene basterà dare di nuovo uno sguardo a quello strano orologio che, a ogni sua ora, darà luogo ancora a un'altra diversa lettura, una terza lettura, questa volta segno del sereno scorrere dell'attività d'ogni giorno: sarà l'Hotel de bon Sens" (Raffaele Aragona, a cura di, Oplepiana. Dizionario di Letteratura Potenziale, Bologna, Zanichelli, 2002, p. 9).

 A Claude Berge, membro fondatore dell'OuLiPo, uno dei matematici più prestigiosi del gruppo francese, si deve il racconto poliziesco intitolato Qui a tué le duc de Densmore? In esso il detective Ralston di Scotland Yard indaga sulla morte, scoperta con un anno di ritardo, del duca di Densmore e del suo maggiordomo, avvenuta sull'isola di White a causa di un'esplosione. Raccolte le testimonianze delle otto persone che per ultime hanno visto in vita il duca, Ralston risolve il caso grazie all'aiuto di un suo vecchio amico, Cedric Turner-Smith, professore di Matematica al Merton College di Oxford. Il caso viene risolto grazie all'uso dei lavori effettuati nel 1957 da parte del matematico ungherese György Hajos nel campo della teoria grafi (Claude Berge, Qui a tué le duc de Densmore?, Montreuil, Seine-Saint-Denis, La Bibliothèque Oulipienne, 67, 1994).
 Lo scrittore oulipiano Jacques Jouet ha scritto La chambre close, un enigma poliziesco dedicato all'abate Faria (personaggio, come si ricorderà, de Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas padre) dove un coroner (in Gran Bretagna è il pubblico ufficiale incaricato dell'inchiesta nei casi di morte violenta sospetta), insieme a due detective francesi, Dupin (ancora un omaggio a Poe) e Déjeux, indaga su una vittima, di cui non si sa niente, trovata morta all'interno di una camera chiusa, senza finestre, né un condotto d'aerazione, né una biblioteca rotante o un caminetto. Il mistero sarà sciolto grazie al metodo S + 7 (Jacques Jouet, La chambre close, Montreuil, Seine-Saint-Denis, La Bibliothèque Oulipienne, 78, 1996).

 5. Per finire, veniamo al rapporto fra il gruppo italiano dell'Oplepo e il giallo. 

 5a. Il 28 dicembre 1999 esce nella Biblioteca Oplepiana la plaquette numero 16 che porta questo titolo: Giallo d'Anghiari. Misteri obbligati. Vi compaiono testi di Elena Addòmine («Analisi finale»), Raffaele Aragona («La disparizión»), Brunella Eruli («Alloro per loro»), Piero Falchetta («Una parola d'oro»), Sal Kierkia («Numero tredici») e Giuseppe Varaldo («Un caffè per tre»).
 Per capire di che cosa si tratta, ovvero su quali contraintes è costruito il giallo oplepiano di Anghiari, riportiamo la nota introduttiva della plaquette:

 «Nella riunione del 13 ottobre 1996 svoltasi negli oscuri sotterranei della Buca di San Francesco ad Arezzo l'OpLePo (Opificio di Letteratura Potenziale) decide d'impegnarsi nella stesura di una raccolta di "novelle del mistero" elaborate nel rispetto di alcune regole.
 Le regole sulla base delle quali devono essere composti i "gialli oplepiani" sono:

 - la lunghezza di ogni testo è fissata in 25.586 caratteri (spazi inclusi), cifra risultante dalla somma delle date di nascita dei membri di OpLePo; il numero delle battute è calcolato sulla base di un Word processor di riferimento; per quanto riguarda le norme tipografiche si fa riferimento a quelle in uso nei volumi pubblicati dalla Casa Editrice Einaudi;

 - in ogni testo compaiono e agiscono quattro personaggi fissi e unici che hanno i nomi e le professioni corrispondenti alle quattro diverse lettere della parola OPLEPO - ovvero O, P, L, E - come segue: Ottone orafo, Penelope psicoanalista, Lallo logopedista, Erica erborista. Ognuno dei personaggi deve essere caratterizzato in modo esplicito da almeno un attributo che inizi con la lettera del proprio nome; possono essere citati altri personaggi celebri o comparse prive di nome;

 - l'ambientazione scelta è Anghiari nell'anno 1996;

 - ogni testo deve contenere, in un punto qualsiasi della narrazione, la seguente frase: "Ogni piccola luce evoca profonde oscurità", il cui acronimo è OpLePo;

 - il tema del racconto deve essere: "mistery story" o "suspense";

 - il titolo del racconto, escluso dal computo dei caratteri del testo, deve essere di 13 lettere, corrispondenti al numero dei membri dell'OpLePo;

 - ogni altra costrizione volontaria e manifesta è assolutamente vietata.

 Dopo una breve pausa di riflessione, ricca di suspense, durante la quale si consuma all'interno del gruppo un misterioso assassinio (o suicidio?) al vertice, il progetto viene ripreso e definitivamente realizzato. Senza ulteriori indugi l'OpLePo sceglie di cimentarsi con il genere poliziesco, impaziente di produrre enigmi criminosi.
 Purtroppo alcuni testi - quelli di Paolo Albani, di un "anonimo", di Ruggero Campagnoli, di Marco Maiocchi e di Aldo Spinelli - si perdono distrattamente per strada e approdano su altri lidi, cartacei e virtuali, e così - colpo di scena! delitto nel delitto! - non sono compresi in questa plaquette poiché non più inediti.

 L'iniziativa oplepiana è un contributo originale all'esperienza di "letteratura poliziesca potenziale" sviluppatasi fin dal 1973, anno di fondazione dell'OuLiPoPo (Ouvroir de Littérature Policière Potentielle) ad opera di François Le Lionnais.
 Fra i plagiari per anticipazione (espressione "paradossale e provocatoria" coniata per indicare quegli autori che in tempi precedenti alla nascita dell'Oulipo - cioè il 24 novembre 1960 - hanno usato metodi "oulipiani") in àmbito poliziesco sono da ricordare Jorge Luis Borges, Thomas De Quincey, Ellery Queen e S.S. Van Dine».

 Due dei testi elaborati per il Giallo d'Anghiari vengono pubblicati sulla rivista Delitti di carta: sono quello di Paolo Albani «Un vago indizio» (5, 1999, pp. 12-19) e quello di Brunella Eruli «Alloro per loro» (4, 2001, pp. 29-38).
 Il titolo del mio giallo, «Un vago indizio», si giustifica con il fatto che la sua struttura è tale da lasciare aperta ogni soluzione dell'enigma: in realtà, riflettendoci bene, tutti i personaggi sono sospettabili, persino il colpevole dell'unico omicidio esaminato nel testo, individuato dai carabinieri e gettato in pasto alla stampa, potrebbe non essere il vero colpevole.

 5b. Riallacciandosi all'amore (palesemente oulipiano) di Calvino per il poliziesco, che ben testimonia dell'interesse degli scrittori (e dunque non solo dei «giallisti di professione») per questo genere letterario, c'è un episodio che getta un piccolo ponte tra l'Oplepo e il delitto.
 Verso la fine degli anni ottanta, Ermanno Cavazzoni, uno dei membri più «lunatici» dell'Oplepo, scrisse un breve saggio - in forma di «supplemento di notizie» - posto alla fine del libro Ira fatale, sottotitolato «Autobiografia di un uxoricida», di un certo Alberto Olivo, singolarissimo narratore naïf  (Alberto Olivo, Ira fatale. Autobiografia di un uxoricida, Torino, Bollati Boringhieri, 1988).
 Il libro è il «romanzo matrimoniale» scritto dall'Olivo, un impiegato udinese della Richard Ginori, descritto come un uomo di notevole cultura, ambizioso, presuntuoso, avaro, pedante, iracondo, matematico, poeta, che nella notte del 16 maggio 1903 uccide la moglie Ernesta Beccaro, biellese di 22 anni, cameriera graziosa, analfabeta, puntigliosa, volgare, dispettosa. 
 Quella notte - come si legge nel risvolto della copertina del libro - Olivo

"svegliatosi all'improvviso, in uno stato di incoscienza epilettica, dopo aver sentito [dalla moglie] l'ennesimo insulto, come cieco, sordo, e senza ragione, le si avventa addosso con un coltello. («Ira fatale» la sua, e a lui ben nota, se già a quattordici anni aveva composto un sonetto con questo titolo [un altro dei suoi sonetti s'intitola: «Furor savio»]). 
Solo quando torna in sé, vede quello che ha fatto. Poi, nei giorni seguenti seziona il cadavere, lo mette in una valigia e da Milano in treno va fino a Genova per buttarlo nel mare. 
Arrestato e processato, per uno strano disguido giudiziario si trova assolto, con grande scandalo della pubblica opinione. [Verrà condannato solo per sottrazione di cadavere a dodici giorni di carcere e centoventicinque lire di multa. La Cassazione annullerà il verdetto, ma nel dicembre dello stesso anno un secondo processo confermerà la sentenza. Olivo morirà, a ottantasei anni, il 18 dicembre 1942]. Così per giustificarsi, appena finito il processo, scrive questa lunga nota autobiografica, in cui dimostra con minuto puntiglio che la moglie è la vera rea di assassinio [una variante non considerata da Le Lionnais: il vero assassino, l'omicida è l'assassinato, la vittima!], e lui un poveruomo che ha solo patito e subito e che addirittura ha ucciso ed è andato in galera per colpa di lei, restando però sempre di cuore innocente. 
Questo che Olivo scrive è il suo romanzo matrimoniale, pignolo e ossessivo come era lui, dove il matrimonio cresce come una malattia e pesa quotidianamente sul corpo come una macina da mulino, in mezzo ai conti della spesa, ai vicini di casa sempre in ascolto, al sospetto di bere vino avvelenato dal mestruo, mentre lui avrebbe voluto dedicarsi in pace alla matematica e alla quadratura del cerchio, la sua privata e prediletta pazzia.
Lombroso si interessò a questo delitto, partecipò come perito al processo, ne scrisse e fece di Olivo un caso scientifico che esemplificava a suo giudizio il tipo del criminaloide irresponsabile, da assolvere in tribunale ma da rinchiudere immediatamente in manicomio".

 Del caso Olivo s'interessò, in una serie di tavole da lui stesso disegnate per il Corriere d'informazione tra il 1° e il 5 aprile 1966, un cronista d'eccezione: Dino Buzzati. Nell'arco di quasi trent'anni, lo scrittore del Deserto dei Tartari scrisse per il Corriere della Sera e per il Corriere d'informazione una serie di articoli dedicati, da un lato, alla cronaca nera più «classica» e, dall'altro, alla cronaca delle tragedie (come il crollo della diga del Vajont), fatti di cronaca che, nelle mani di Buzzati, diventano «racconti, favole, veri e propri brani di letteratura», da cui «trassero nutrimento vitale l'immaginazione e la vocazione letteraria del Buzzati scrittore» (ora questi articoli sono riuniti in un bel cofanetto in due volumi, La «nera» di Dino Buzzati, il primo riservato ai «Crimini e misteri», il secondo agli «Incubi», Milano, Mondadori, 2002).

 5c. Per quanto mi riguarda, con un procedimento in parte mutuato dai giochi cari agli oplepiani, ho inventato il commissario Polidori (le sue imprese sono apparse su il Caffè illustrato, 15, novembre-dicembre 2003, p. 7). Si tratta di un poliziotto che agisce in modo controverso, antònimico (il riferimento è alle poesie antònimiche [cioè poesie in cui ad ogni parola viene sostituito il suo contrario]), vale a dire fa esattamente il contrario di ciò che di norma fa un commissario di polizia: cioè scoprire gli assassini.

 Alla fine degli anni settanta, conseguita la laurea in Giurisprudenza e vinto il concorso per l’accesso alla «qualifica dei commissari della Polizia di Stato», dove risulta quarto su 426 concorrenti, Antonio Polidori è assegnato al commissariato de «La Ventosa», popoloso quartiere che si affaccia sul porto di Maggianese, un labirinto di viuzze vociferanti con i panni stesi da una casa all’altra e un pittoresco mercatino del pesce al centro, regno incontrastato, specie di notte, di una litigiosa comunità di gatti.
 Soprannominato dai colleghi «pizzetto» per via di un triangolino di peluria incollato sul mento che si accarezza nelle pause riflessive, Polidori svolge una funzione speciale nel campo investigativo, un’attività innovativa ancora poco valorizzata dal Ministero dell’Interno, ma con un futuro in crescita davanti a sé. Non c'è dubbio, infatti, che quella di Polidori rappresenta una nuova figura di investigatore che fra qualche anno avrà un ruolo sempre più importante e decisivo nello svolgimento delle indagini di polizia.
 In breve il compito di Polidori è questo: scoprire i non assassini.
 Polidori entra in azione subito dopo che l’assassino ha confessato o è stato smascherato dalla polizia. A quel punto, risolto il caso, con un fiuto irresistibile, Polidori inizia le indagini per trovare i non assassini e mettere in luce il ruolo che non hanno svolto nella dinamica dei fatti delittuosi.
 L’obiettivo è chiaro: creare il vuoto intorno al vero colpevole, non lasciargli alcuna possibilità di confondere le acque. Il procedimento risponde a una logica ineccepibile: «Quanto più ampio è il numero dei non assassini accertati, assicurati alla giustizia, tanto più evidente si fa la responsabilità del reo confesso». In questo gioco d’incastri e di verifiche alla rovescia, Polidori è considerato ormai un vero maestro, un esperto il cui approccio metodologico comincia a ricevere consensi, anche se ancora timidi, nell’ambito della letteratura scientifica sul crimine. 
 Gli interrogatori a cui il «pizzetto» sottopone i non assassini, individuati dopo lunghi appostamenti, intercettazioni telefoniche e minuziosi riscontri, sono condotti in un clima di estrema correttezza formale, con un ritmo grintoso e intransigente.
 Polidori recita sempre lo stesso copione: all’inizio parte da lontano, mantiene la conversazione sul vago, tergiversa, fingendo a volte di perdere il filo del discorso; guarda in aria, fischiettando distratto; poi, piano piano, con un volo concentrico, stringe la morsa intorno alla sua preda, braccandola in un angolo come un boxeur all’attacco che vuole chiudere l’incontro prima del gong.

- Perché la notte del delitto non si trovava nell’appartamento del morto?
- C’erano dei buoni motivi per non aver mai conosciuto la vittima?
- Si rende conto che non possedere l’arma del delitto può aggravare la sua posizione?
- Ci risulta che Lei non ha mai fatto la spesa nel quartiere della vittima, dove ci sono due supermercati e tre minimarket. Mi sa dire perché?
- Come spiega che non Le abbiamo trovato alcun segno di colluttazione sul corpo?
- Lei non è vegetariano, come la vittima. Una strana coincidenza, non crede?
- Il suo orologio va cinque minuti indietro. Per quale ragione non ha spostato le lancette sull’ora giusta?
- Ho visto che non ha avuto il minimo turbamento quando Le ho mostrato le foto della donna strangolata.

 Una volta, seguendo i retroscena di un difficile caso (appena risolto), quello del cosiddetto «plagiario bieco di via Roccasomara», [...] riesce a mettere alle strette un ferroviere in pensione con alcune domande taglienti:

- Sa imitare il verso della gallina al telefono?
- Conosce tutta La cavalla storna a memoria?
- Perché non ha mai preso lezioni di ukulele?

 Alla fine, dopo sfibranti ore di interrogatorio, quando il poveretto o la poveretta crollano esausti dichiarandosi, con un grande senso di liberazione, non assassini, Polidori si distende felice assumendo l’aria del galletto che ha appena finito di razzolare tutto il cibo intorno a sé. 
 L’investigazione ha avuto successo, un altro non assassino è stato assicurato alla giustizia.
 Soddisfatto, Polidori esce dalla sua stanza cercando lo sguardo pieno di ammirazione dei colleghi. Mentre si ricompone, aggiustandosi i pantaloni (che porta regolarmente senza cintura), offre alle sue vittime un caffè o una sigaretta. Poi li saluta con una pacca sulla spalle: «Mi raccomando, non si faccia più pizzicare dai miei agenti, intesi?»
 A questo punto un sorriso gli addolcisce il pizzetto alla Vittorio Amedeo I riflettendosi, benevolo, sulle grandi sopracciglia nere che ispirano fiducia.

 Sono tornato a parlare del commissario Polidori in un altro racconto - «Una lettura particolare» - scritto per l'Almanacco del Bibliofilo, rivista dell'Aldus Club, Associazione Internazionale di Bibliofilia presieduta da Umberto Eco. È la storia di un avvocato senese che non legge romanzi, impegnato in altre occupazioni più interessanti per lui (giocare a tennis, andare a caccia, corteggiare le ragazze carine, eccetera eccetera). Poi un giorno, su consiglio di una vicina di casa appassionata di gialli, compra un libro, 2.134 pagine. Ma non si decide mai a leggerlo. Durante la telefonata di un assistito, l'avvocato ritrova, per caso, il romanzo, lo sfoglia e la sera, a letto, comincia a leggerlo. Il romanzo ha questo inizio:

 La stanza di Olga Mituri?, una badante russa di 23 anni, era pervasa da un acre profumo di sandalo che si espandeva nell'aria, rilasciato da lunghi segnali di fumo che si contorcevano in modo sinuoso, danzando sulla punta di un bastoncino indiano incandescente, sostenuto per tre quarti da un portacenere di vetro.
 Di fronte al letto, appena qualche centimetro sopra un tavolino di ciliegio a tre piedi, spiccava la riproduzione di un quadro di Toulouse-Lautrec che ritraeva, al centro, una ballerina con le gonne sollevate. La luce dell'abat-jour, posta su uno dei due comodini di fianco al letto, era accesa e la sveglia elettronica segnava, in numeri rossi fosforescenti, le 10:30, con i due punti di separazione fra il 10 e il 30 che brillavano a intermittenza. 
 Completamente nuda, Olga era sdraiata sul letto, a pancia in giù, con un braccio che le penzolava verso il pavimento, quasi a sfiorare due ciabattine di peluche perfettamente allineate fra di loro. Il corpo della donna, ben fatto, di un rosa color tramonto estivo, mostrava in primo piano, entrando nella stanza, due natiche stupendamente rotonde, carnose e sensuali.
 Solo dopo che ebbe girato lentamente il corpo della donna, scoprendone il viso, il commissario Polidori si accorse che Olga aveva vicino a un capezzolo...

 La lettura appassiona l'avvocato a tal punto che non si staccherà più dal libro, vi resterà incollato per tutta la vita: «Perché, mentre lui si prodigava, felice, nella lettura di quel libro, tutte le notti, senza il minimo segno di stanchezza, di noia, il romanzo era come se si allungasse piano piano sotto i suoi occhi, prendesse ogni volta una strada nuova, imprevedibile, inesplorata, fosse continuamente proiettato in avanti, in una dimensione di perenne irrisolutezza, capace di ordire, personificazione cartacea di una laboriosa Penelope, un'infinità di trame».

 Per finire, alcuni «aforismi in giallo» che ho scritto ispirandomi a quel particolare gusto letterario, tanto caro a Georges Perec, per la descrizione minuziosa, oggettiva, maniacale del vissuto quotidiano. In questo caso si tratta del vissuto di un romanzo giallo.

Un romanzo giallo fu ritrovato
in un lago di fogli strappati,
con il dorso aperto a metà,
misteriosamente invenduto
nello scaffale di una libreria.

***

Per un imperdonabile errore di identità,
un romanzo giallo finì sulle pagine gialle
nella sezione dedicata alle «macchine narrative».

***

Un romanzo giallo che uccideva solo
nei giorni lavorativi,
ogni volta seguendo lo stesso macabro rituale,
venne soprannominato: il «ferial killer».

***

Nella trama del racconto,
la suspense si protrasse così a lungo, ma così a lungo,
che alla fine rimase sospesa in aria
e da lì non si mosse più, indecisa su cosa fare.
***

Un romanzo poliziesco cadde in depressione
e cominciò a vedere tutto noir nella sua vita.

***

Al termine della visita,
il medico disse a un thriller scadente che aveva i brividi:
«La trovo un po' gialliccio, si riguardi».

***

Ovunque sulla scena del delitto
c'erano le impronte digitali di un libraccio sbadato,
un poliziesco alla Gadda, pasticcione.

***

Non fu difficile all'assassino volare via
dalle pagine rocambolesche di un feuilleton;
il genere letterario era di quelli di evasione.

***

Una vecchia antologia di scrittori cannibali 
assassinò un libro di cucina,
poi lo fece a pezzi e se lo mangiò avidamente,
ricetta dopo ricetta.

***

Piano piano, con fare circospetto, 
un romanzo giallo voltò l'ultima pagina,
ignaro di cosa lo aspettasse,
e all'improvviso lanciò un grido terrificante:
vide la Fine davanti a sé.

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Relazione che ho tenuto durante la manifestazione Letteraria:
letture, lettori, letterature, seconda edizione dedicata alle "Ragioni
del giallo", Antichi Magazzini, Pistoia, lunedì 18 ottobre 2004.



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