Paolo Albani
LA LETTER ATURA POTENZIALE
ALCUNE NOTE SPARSE
 



Appunti (non completi) per il mio intervento
IMMAGINAZIONE E CREATIVITÀ  REGOLATA
NELLA POETICA DELL'OULIPO
(CON PERFORMANCE DI POESIA OPLEPIANA)
tenuto il 26 maggio 2004
al Seminario su
Linguaggio figurato, immaginazione e creatività

presso il Corso di Laurea
di
  Filosofie e Scienze della Comunicazione e della Conoscenza
della Facoltà di Lettere e Filosofia
dell'Università di Cosenza.

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di questi appunt in pdf cliccate qui.



 L’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle, tradotto in italiano con Opificio di Letteratura Potenziale; propriamente ouvroir in francese designa il laboratorio di cucito in un convento di monache o in un istituto di beneficenza) è «una singolare consorteria di letterati, dediti a escogitare bizzarre invenzioni partendo da regole formali severamente costrittive, improntate a uno spiccato gusto matematizzante» (Mario Barenghi, «Poesie e invenzioni oulipiennes», in: Italo Calvino, Romanzi e racconti, 3 voll., Milano, Mondadori, 1994, III, pp. 1239-1245).
 Storicamente il gruppo - «una specie di società segreta» (Italo Calvino, «Perec, gnomo e cabalista», la Repubblica, 6 marzo 1982, p. 18) - composto di letterati con la passione della matematica e di matematici con la passione della letteratura, è fondato nel 1960 a Parigi, un giovedì, 24 novembre, nella cantina del ristorante «Vrai Gascon» (Vero Guascone) da François Le Lionnais e Raymond Queneau, e nasce nell’ambito di una delle numerose Sottocommissioni di Lavoro del Collegio di ‘Patafisica, accademia dello sberleffo e della fumesteria istituita l’11 maggio 1948 sempre a Parigi da un cenacolo di letterari, artisti e poeti depositari della ‘patafisica, scienza delle soluzioni immaginarie, del particolare e delle leggi che governano le eccezioni, teorizzata da Alfred Jarry in Gestes et opinions du docteur Faustroll. Pataphysicien. Roman néo-scientifique pubblicato postumo nel 1911. 
 Fra i membri del gruppo vi sono Marcel Duchamp, il surrealista Noël Arnaud, grande specialista di Jarry e di Boris Vian, André Blavier, che ha scritto un bellissimo libro sui «fous littéraires», Italo Calvino, Harry Mathews, Georges Perec, Jacques Roubaud.
Il carattere “potenziale” della letteratura praticata dall’OuLiPo risiede nel fatto che si tratta di una letteratura ancora inesistente, ancora da farsi, da scoprire in opere già esistenti o da inventare attraverso l’uso di nuove procedure linguistiche, una letteratura mossa dall’idea che la creatività, la fantasia trovano uno stimolo nel rispetto di regole, di vincoli, di costrizioni (contraintes) esplicite, come ad esempio quella di scrivere un testo senza mai usare una determinata lettera (lipogramma). La costrizione è strumento creativo, che amplifica le possibilità (probabilità) di raggiungere soluzioni originali, bizzarre: l’essere «costretti» a seguire certe regole induce uno sforzo di fantasia; la costrizione non restringe l’orizzonte delle strategie narrative dello scrittore, al contrario ne allarga le «potenzialità visionarie», paradossalmente è «un inno alla libertà d’invenzione», capace, come «il meccanismo più artificiale», «di risvegliare in noi i demoni poetici più inaspettati e più segreti» (Italo Calvino, «Perec, gnomo e cabalista», la Repubblica, 6 marzo 1982, p. 18).
«Occorre crearsi delle costrizioni,» - ha detto Umberto Eco - «per potere inventare liberamente» (Umberto Eco, «Postille a "Il nome della rosa" 1983» in: Il nome della rosa, Milano, Bompiani, 2004, pp. 505-533). E ancora: «Le costrizioni sono fondamentali per ogni operazione artistica. Sceglie una costrizione il pittore che decide di usare l'olio piuttosto che la tempera, la tela piuttosto che la parete; il musicista che opta per una tonalità di partenza (poi modulerà, modulerà, ma è a quella che dovrà pur tornare); il poeta che si costruisce la gabbia della rima baciata o dell'endecasillabo. E non crediate che pittore, musicista o poeta d'avanguardia - che paiono evitare quelle costrizioni - non se ne costruiscano delle altre. Lo fanno, solo non è detto che voi ve ne dobbiate accorgere. Può essere una costrizione scegliere come schema per la successione degli eventi quello delle sette trombe dell'Apocalisse. Ma anche situare la storia in una data precisa: potrai fare accadere certe cose ma non altre. [...] Il bello della storia è che ti devi creare delle costrizioni, ma devi sentirti libero nel corso della stesura a cambiarle» (Umberto Eco, «Come scrivo», in Sulla letteratura, Milano Bompiani, 2002, pp. 324-359, si cita da pp. 346-347).

 In una conferenza del 1964 sull'OuLiPo, Queneau ci dice prima di tutto che cosa non è l'Opificio:

«1) Non è un movimento o una scuola letteraria. Noi ci poniamo al di qua del valore estetico, il che non significa che lo disprezziamo.
2 ) Non è neppure un seminario scientifico, un gruppo di lavoro "serio" tra virgolette, benché ne facciano parte un professore della Facoltà di lettere e uno della Facoltà di scienze. Perciò sottoporrò i nostri lavori al gentile pubblico in tutta modestia.
Infine: 3) Non si tratta di letteratura sperimentale o aleatoria (sul tipo, per esempio, di quella praticata dal gruppo di Max Bense a Stoccarda [Queneau allude al saggista e poeta tedesco Max Bense (1910-1999), di formazione scientifica, che ha introdotto criteri propri delle scienze esatte nell'ambito dell'estetica e della teoria letteraria; autore di Estetica (1954-1960) e Teoria testuale della poesia (1962) e di un testo poetico intitolato I divertimenti esatti, Bense ha influenzato la letteratura sperimentale degli anni '50 e '60; Bense ha scritto degli «aforismi ultrakafkiani» ottenuti programmando un computer con una scelta statisticamente significative di parole e frasi tratte dall'opera di Kafka; due «poesie concrete» di Bense si possono vedere in Vincenzo Accame, Il segno poetico, Milano, Spirali Edizioni, 1981, p. 55 e p. 56, n.d.r.])» (Raymond Queneau, «L'Opificio di letteratura potenziale», in: Segni, cifre e lettere e altri saggi, Torino, Einaudi, 1981, pp. 56-73).

Poi aggiunge:
«Adesso dirò che cos'è, o meglio che cosa crede di essere l'OuLiPo. Le nostre ricerche sono:
1) Ingenue: uso la parola ingenuo nel suo senso peri-matematico [dal greco perí, cioè "intorno"], come ci dice la teoria ingenua degli insiemi. Procediamo senza troppo sottilizzare. Cerchiamo di dimostrare il movimento camminando.
2) Artigianali, ma questo non è fondamentale. Ci dispiace di non poter disporre di macchine: lamento continuo nel corso delle nostre riunioni.
3) Divertenti: almeno per noi. Certuni le trovano di una "sordida noia", ma questo non dovrebbe spaventarvi perché non siete qui per divertirvi.
Insisterò tuttavia sul qualificativo "divertente". È certo che alcuni nostri lavori possono sembrare dei semplici scherzi o semplici "jeux d'esprit", analoghi a certi "giochi di società"».

Lo scopo dei lavori dell'Oulipo, per dirla sempre con Queneau, è quello di «proporre agli scrittori nuove “strutture”, di natura matematica oppure inventare nuovi procedimenti artificiali o meccanici, contribuendo all’attività letteraria: supporti dell’ispirazione, per così dire, oppure, in un certo senso, un aiuto alla creatività» (Raymond Queneau, «L'Opificio di letteratura potenziale», in: Segni, cifre e lettere e altri saggi, Torino, Einaudi, 1981, pp. 56-73).
Qui, nell'Oulipo, ha scritto Calvino, «domina il divertimento, l'acrobazia dell'intelligenza e dell'immaginazione. [...] Queneau e i suoi, amici della scienza, [...] pensano e parlano attraverso ghiribizzi e capriole del linguaggio e del pensiero» (Italo Calvino, «Due interviste su scienza e lette-ratura», in: Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980, pp. 184-191).
Il metodo dell'OuLiPo - precisa ancora Calvino - si sostanzia nella qualità delle sue regole; quello che conta è la loro ingegnosità, la loro eleganza; se alla qualità delle regole corrisponderà subito la qualità dei risultati, delle opere ottenute per questa via, tanto meglio, ma comunque l'opera non è che un esempio delle potenzialità raggiungibili solo attraverso la porta stretta delle regole. Ogni esempio di testo costruito secondo regole precise apre la molteplicità «potenziale» di tutti i testi virtualmente scrivibili secondo quelle regole, e di tutte le letture virtuali di quei testi. In questo senso, per Calvino, «la struttura è libertà, produce il testo e nello stesso tempo la possibilità di tutti i testi virtuali che possono sostituirlo» (Italo Calvino, «Introduzione» a Raymond Queneau, Segni, cifre e lettere e altri saggi, Torino, Einaudi, 1981, pp. III-XXIII).
A proposito delle poesie di Toti Scialoja, attraversate in modo etereo dal gioco delle rime, osserva Giovanni Raboni: «La costrizione, la gabbia formale continua a essere fino all'ultimo, per lui (cioè per Scialoja, n.d.r.), salvezza, orientamento, rifugio» (Giovanni Raboni, «Prefazione», in: Toti Scialoja, Poesie 1961-1998, Milano, Garzanti, 2002, p. 9).
«Ai miei occhi», scrive Robert Walser in un diario del 1926, «quando si è intenti a scrivere di qualcosa che si è vissuto in prima persona, l’obbligo di imporsi una certa apparentemente tollerabile costrizione, per ciò che riguarda la forma e così via, appare come qualcosa senza dubbio accettabile» (Robert Walser, Diario del 1926, Genova, il melangolo, 2000, p. 50). 

Nel paragrafo intitolato «Contrainte et liberté» del saggio inedito La chose, Georges Perec afferma che «costrizione e libertà definiscono i due assi di ogni sistema estetico. Questa figura spaziale (ascisse, ordinate) dimostra sufficientemente che costrizione e libertà sono funzioni indissociabili dall'opera: la costrizione non impedisce la libertà, la libertà non è ciò che non è la costrizione; al contrario, la costrizione è ciò che permette la libertà, la libertà è ciò che nasce dalla costrizione. Alcuni sistemi sembra propendano più dalla parte della costrizione (per esempio il sonetto, il romanzo epistolare, la fuga, la statua equestre), altri più dalla parte della libertà (per esempio «l'ope-ra», che sia racconto, poesia, tela, numero d'opera, numero di catalogo ecc.) ma questa distinzione è artificiale: qualsiasi pezzo di letteratura passa attraverso una serie di costrizioni lessicali, sintattiche, retoriche e criptoretoriche; [...] Non esiste un sistema più o meno libero o più o meno costretto, per-ché costrizione e libertà rappresentano precisamente il sistema; si può, tuttavia, misurare il grado di compiutezza (o di perfezione se si preferisce) di un sistema sulla base del rapporto costrizione-libertà, o, in altri termini, a livello della sovversione che tale sistema consente. "Il genio" diceva Klee "è l'errore nel sistema": più dura è la legge, più l'eccezione è eclatante, più stabile è il modello e più s'impone la deviazione» («La Chose», magazine littéraire, 316, décembre 1993, pp. 55-64, trad. it. in Musica Jazz, 6, giugno 2004, pp. 56-60).
Lo stesso concetto Perec ribadisce in una conferenza tenuta all'Università di Copenaghen il 29 ottobre 1981 dove la «contrainte» - viene sottolineato - non è percepita come una prova o una restrizione, ma bensì come uno stimolo alla creatività, al pari di «una pompa, una pompa aspirante grazie alla quale, attraverso l'esercizio della costrizione, si arriva a produrre qualcosa». Perec nota che in inglese si distingue fra constraint (dall'antico francese «constraindre») dove è la nozione di obbligo che domina, e restraint (dall'antico francese «restraindre») dove domina quella di limite (Georges Perec, «Création et contraintes dans la production littéraire», in: Entretiens et conférences, volume II 1979-1981, Mayenne, Joseph K, 2003, pp. 307-323; sullo stesso tema si veda anche Marc Lapprand, «L'imagination au service de la contrainte» in: Poétique de l'Oulipo, Amsterdam-Atlanta, Rodopi, 1998, pp. 55-58). 
Nella stessa conferenza Perec riporta questa definizione, «molto elegante», dello scrittore oulipiano, attribuendola a Calvino: «ci sono dei corridori a piedi che si chiamo sprinters (velocisti), che sono molto, molto bravi quando corrono in linea dritta sui cento metri; ne esistono altri che sono migliori quando, sulla pista, essi mettono degli ostacoli, si chiamano i corridori a ostacoli - 110 metri ostacoli, 400 metri ostacoli, ecc. In effetti, l'oulipiano fa un po' la cosa seguente... per arrivare a scegliere quello che vuole, comincia mettendo un certo numero di ostacoli sul cammino che lo conduce a ciò che cerca, e questi ostacoli si chiamano costrizioni, regole». Un'altra definizione, continua Perec, è questa: «Un Oulipiano è uno scrittore non jourdainiano». Ma chi è uno scrittore jourdainiano? È un signore che, come Monsieur Jourdain, fa della prosa senza saperlo - vedi Il borghese gentiluomo. «Ora, un Oulipiano è qualcuno che vorrebbe fare della prosa sapendo di farla». Un'ultima definizione, fra le più illuminanti, dell'Oulipiano di cui parla Perec nella sua conferenza dice: «l'Oulipiano si comporta, nei confronti del linguaggio e della letteratura, della scrittura, delle forme del passato, un po' come un bambino a cui si è dato una sveglia. Il bambino smonta la sveglia per sapere come funziona. Io credo che si provi a fare la stessa cosa con il linguaggio. Si prova a smontarlo per vedere come funziona e cosa c'è dentro che permette di funzionare e di arrivare a ciò che si cerca».

Detto questo sulla «contrainte», non bisogna dimenticare che esiste sempre la possibilità di «une légère dérive» in grado di distruggere il sistema stesso delle costrizioni, uno scarto giocoso e liberatorio che Perec ha chiamato clinamen (nella fisica epicurea, una deviazione spontanea degli atomi). Già in Alfred Jarry troviamo un riconoscimento dell'importanza de «la bête imprévue Clinamen» di Epicuro, filosofo che per primo ha osato mettere «un'indeterminazione» al centro di ogni possibile spiegazione del mondo.
 Se la letteratura è un gioco combinatorio che segue le possibilità implicite nel proprio materiale, indipendentemente dalla personalità del poeta, va detto anche, con Calvino, che tale gioco ad un certo punto si carica di significati inattesi, di effetti imprevisti (il clinamen perechiano), come nel procedimento del gioco di parole.
La letteratura non si risolve in un problema d'ispirazione discesa da chissà quali altezze o d'intuizione pura o di rispecchiamento delle strutture sociali o di presa diretta della psicologia del profondo, come vogliono le varie estetiche del novecento. Essa, come sottolinea Calvino, è piuttosto «un'ostinata serie di tentativi di far stare una parola dietro l'altra seguendo certe regole definite, o più spesso regole non definite né definibili ma estrapolabili da una serie di esempi o protocolli, o regole che ci siamo inventate per l'occasione cioè che abbiamo derivato da altre regole seguite da altri». 
Nel sottolineare la propria differenza dal Surrealismo, l'OuLiPo mette in evidenza l'opposizione oulipiana a tutti gli aspetti di apertura verso l'inconscio legati, ad esempio, alla pratica della scrittura automatica.
In uno scritto intitolato «Avanguardia letteraria» (ne Il rumore sottile della prosa, Milano, Adelphi, 1994, pp. 72-77), Giorgio Manganelli definisce gli scrittori d’avanguardia «puntigliosi escogitatori di artifici, un poco pedanti, intelligenze naturalmente inclini agli aspri e lucidi gaudi dell’acrostico, dei tecnopegnia, dei glifi, intenti agli austeri estri combinatori del linguaggio», definizione che aderisce bene a quella dello scrittore di letteratura potenziale.
Per Manganelli gli scrittori d’avanguardia sono «letterati in quanto fanno letteratura d’artificio», a suo dire «l’unica che sia legittimamente denominabile letteratura. L’amore delle combinazioni improbabili, la scelta e la coltivazione di sintassi ostiche, ardue, inospiti; insomma, la scelta delle strutture, di strutture arbitrarie e rigorose». L’idea manganelliana di «una letteratura come artificio; fatto non sentimentale, non privato, e nemmeno demonico, non morale, non sociale, ma sommamente arbitrario e, insieme, rigoroso» è molto in sintonia con quella oulipiana.
«A mio avviso» - continua Manganelli -«si dà propriamente letteratura solo dove ci troviamo di fronte a strutture [...] Non si scrivono poesie e romanzi per parlare direttamente al lettore, né per coprirlo della tenera fanga dei nostri sentimenti, né per educarlo a nobili sentimenti: ma, al contrario, perché, pur leggendo parole che potrebbero essere in diversi contesti anche sentimentalmente attive, le scorga nel loro valore strutturale, come ordine, disegno, organismo impersonale; anche macchina». In conclusione - scrive Manganelli - «la letteratura, ben lungi dall’esprimere la ‘totalità dell’uomo’, non è espressione, ma provocazione; non è quella splendida figura umana che vorrebbero i moralisti della cultura, ma è ambigua, innaturale, un poco mostruosa. Letteratura è un gesto non solo arbitrario, ma anche vizioso: è sempre un gesto di disubbidienza, peggio, un lazzo, una beffa; e insieme un gesto sacro, dunque antistorico, provocatorio».
Un piccolo aneddoto a proposito della struttura: una volta Roal Hoffmann, premio Nobel per la chimica nel 1981, chiese a Elias Canetti, laureato in chimica, che cosa avesse preso dalla chimica, e Canetti rispose: «La struttura, il senso della struttura».
Certo, se non si vuole produrre soltanto degli automatismi formali di mera tradizione manieristica spingendo il pedale delle permutazioni molteplici, bisogna - come ammonisce Giambattista Vicàri, promotore di quel formidabile laboratorio culturale che fu la rivista il Caffè - proporsi sempre di ordire una burla alla ricerca dell'imprevisto, come insegnano Carlo Emilio Gadda, Aldo Palazzeschi, Antonio Delfini e per l'appunto Calvino e Queneau.
Gli scrittori oulipiani sono dei «topi che costruiscono da sé il labirinto da cui si propongono di uscire». Quale labirinto? Quello delle parole, dei suoni, delle frasi, dei paragrafi, dei capitoli, dei libri, delle biblioteche, della prosa, della poesia.
Come scrive Le Lionnais nei due Manifesti (1973) di letteratura potenziale, l’OuLiPo si propone di intraprendere un lavoro, sistematico e scientifico, sull’efficacia e la vitalità delle strutture letterarie e artistiche artificiali. Nelle ricerche - ingenue, artigianali e divertenti - dell’Opificio si possono distinguere due tendenze principali: una analitica che si applica a opere del passato per cercarvi possibilità spesso insospettate dagli autori e una sintetica rivolta ad aprire nuove vie, ignote agli scrittori precedenti, grazie all’aiuto di tecniche matematiche ed esplorando tutti gli aspetti formali della letteratura: costrizioni, programmi alfabetici, consonantici, vocalici, sillabici, fonetici, prosodici, rimici, ritmici e numerici.
Queneau insiste sul carattere «divertente» dei «giochi oulipiani» perché diverte chi stupisce ovvero chi riesce a mostrare un aspetto sorprendente, inatteso, nuovo, inusitato del codice linguistico, generando nel lettore sorpresa e spaesamento, concetti cari ai surrealisti e ai formalisti russi. Il carattere divertente è sottolineato anche in uno dei primi testi antologici del gruppo, dove si parla di ri-creazioni (con la lineetta) e ricreazioni (senza la lineetta) (Oulipo, La littérature potentielle. (Créations Re-créations Récréations), Paris, Gallimard, 1973).
C'è da aggiungere che le costrizioni, oltre che visibili e invisibili, esplicite e implicite, dichiarate e nascoste, possono essere molli e dure, a seconda del grado di difficoltà che comportano.
Lo spirito che contraddistingue gli «esercizi letterari» dell’OuLiPo è molto vicino a quello che presiede la creazione dei “ready made” di Marcel Duchamp che, per altro, fu membro corrispondente del gruppo francese e morì oulipiano. Come si è detto, nell’officina oulipiana si parte spesso da un testo “già fatto”, “trovato”, esistente, per metterne in luce le proprietà latenti, i significati potenziali attraverso varie tecniche combinatorie. Per Marcel Duchamp anche i giochi di parole sono dei “ready made”, delle presenze oggettive, “trovate”, il cui senso, al di là dell’apparenza banale, va ricavato e che, pur restando latente, conferisce all’oggetto come alla frase quell’aura che lo nobilita. Con i giochi di parole Duchamp vuole riscattare la parola scontata, ovvia, mostrandone la bellezza attraverso un processo di spostamento più o meno astratto: introducendo una parola familiare in un’atmosfera diversa, si ottiene qualcosa di paragonabile alla distorsione in pittura, qualcosa di sorprendente e di nuovo, significati inattesi collegati all’interrelazione di parole disparate. Al pari dell’accostamento di due oggetti differenti (come una ruota e uno sgabello), così anche quello fra due parole diverse provoca degli effetti di sorpresa innescando un cortocircuito della fantasia capace di mettere in luce le proprietà latenti di una parola o di un giro di frase.
In una lettera a Guido Almansi del 19 febbraio 1974, François Le Lionnais riassume così l'attività dell'OuLiPo: «I nostri esercizi si collocano nel duplice segno di una grande fantasia e di un non meno grande rigore. Noi siamo implacabili, solenni e non sempre seri» (Mario Barenghi, «Poesie e invenzioni oulipiennes», in: Italo Calvino, Romanzi e racconti, Milano, Mondadori, 1994, pp. 1239-1245).

Fra i numerosi giochi letterari elaborati dagli oulipiani ricordiamo:

letteratura definizionale

si parte da una frase qualsiasi 
e si sostituisce a ogni parola la definizione che ne dà il vocabolario.
Ad esempio:
Il gatto ha bevuto il latte.
diventa
Il mammifero domestico carnivoro
ha inghiottito un liquido bianco, di sapore dolce,
fornito dalle femmine dei mammiferi.
e via di seguito...

metodo S + 7

consiste nel sostituire a ogni sostantivo (S) di una frase di partenza
il settimo (7) sostantivo successivo 
in ordine alfabetico di un vocabolario.
Queneau considera il celebre racconto di Borges
Pierre Menard, autore del Don Chisciotte
un S + n, per n = 0.

Ad esempio:
l’abito non fa il monaco
diventa
l’abiura non fa il monarca

oppure

La verità è il punto morto dello spirito
(Ardengo Soffici).
diventa
Il vermicello è il punzecchio morto dello spiritualista

I roghi non illuminano le tenebre
(Stanislaw Lec)
diventa
I rollii non illuminano le tenerezze
 

omosintattismo

si scrivono le parole di una frase una per una in colonna, 
sulla sinistra di un foglio; 
in una colonna centrale se ne fa l’analisi grammaticale; 
quindi in una terza colonna a destra 
si scrive una nuova frase che corrisponde parola per parola
all’analisi grammaticale, 
ma totalmente diversa dalla frase di partenza.

 ORIGINE         DESCRIZIONE                    RISULTATO                           GRAMMATICALE

 Nel                    preposizione articolata          Sulla
 mezzo               sostantivo                               peluria
 del                     preposizione articolata          del
 cammin             sostantivo                               labbro
 di                       preposizione                           di
 nostra                aggettivo                               
scorbutica       
 vita                    sostantivo                              fanciulla
 
 

palle di neve

Versi ropalici, cioè crescenti,
dal greco rhópalon, «clava»,
con riferimento alla crescita della sua sezione
dall'impugnatura verso la punta.
 

a
me
che
sono
stato
sempre
credulo
seguendo
qualsiasi
capopopolo
appoggiando
avventurieri
magniloquenti
neocapitalisti
Guardiaminnanzi
Delegittimiamoli
autoironizziamoci
Relativisticamente
disinteressiamocene
intellettualorganici
desepolcrimbiancatevi
 
 

poesia combinatoria

testo “interattivo” di Queneau 
Cent mille milliards de poèmes (Editions Gallimard, 1961), 
un volume di grande formato, contenente dieci sonetti,
uno per pagina, su pagine tagliate in strisce orizzontali,
una striscia per ogni verso, 
di modo che il lettore può far seguire 
al primo verso d’ogni sonetto
il secondo verso d’uno qualsiasi dei dieci sonetti, 
e così per il terzo, e via via fino al 14° verso
(il sonetto ha 14 versi, due quartine e due terzine). 
I sonetti che si possono così comporre 
ammontano alla cifra di 10 alla 14, cioè centomila miliardi.
Scrive Queneau nell'introduzione al libro:
«Calcolando 45" per leggere un sonetto e 15" per cambiare la dispozione
delle striscioline, per otto ore al giorno e duecento giorni all'anno,
se ne ha per più di un milione di secoli di lettura.
Oppure, leggendo tutta la giornata per 365 giorni l'anno,
si arriva a 190.258.751 anni più qualche spicciolo
(senza calcolare gli anni bisestili e altri dettagli)».

Si tratta di una macchinetta per comporre sonetti, 
simile a quella costruita nella Grande Accademia di Lagado, 
capitale di Balnibarbi, descritta da Jonathan Swift
nei Viaggi di Gulliver (1726).
 
 

poesia antònimica

tecnica di creazione poetica che consiste 
nel sostituire a ogni parola di una data poesia 
il suo antònimo, cioè una parola che ha significato opposto 
a quello di un’altra, 
per cui il verso montaliano:
Spesso il male di vivere ho incontrato
diventa: 
Mai dal bene di morire sono scappato.

oppure

T’amo pio bove
diventa
T’odio empia vacca 

oppure ancora

La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar

diventa

L’eccellente visibilità alle riavviate pianure,
perdurando il clima secco, cala,
e sopra lo scirocco
sussurra e nereggia la terra.
 
 

hai-kaizzazione

un procedimento poetico inventato da Queneau
che si risolve nel prendere un sonetto 
e nel cancellarlo conservando soltanto 
le sezioni in rima 
e aggiungendovi una punteggiatura soggettiva:
«Ottengo - scrive Queneau - una nuova poesia 
che, parola mia, non è niente male 
e non bisogna mai lamentarci 
se ci regalano delle belle poesie. 
La restrizione illumina la poesia originaria;
 non è priva di valore esegetico 
e può contribuire alla sua interpretazione».

                           Nel mezzo del cammin di nostra vita
                           mi ritrovai per una selva oscura,
                           ché la dritta via era smarrita.
                           Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
                           esta selva selvaggia e aspra e forte
                           che nel pensier rinova la paura!

diventa

Vita
oscura,
smarrita.
Dura
e forte,
la paura.
 
 

poesia permutata

permutando le parole fra loro, 
in ordine o in disordine, 
si ottengono delle buone sorprese di linguaggio,
così il verso
L’estate slega i suoi istanti quando una rosa assolda un usignolo
può trasformarsi in
Una rosa assolda i suoi istanti quando l’estate slega l’usignolo 
oppure in
L’usignolo slega una rosa quando i suoi istanti assoldando l’estate
e così via.
 
 

sonetti irrazionali

cioè composizioni poetiche a forma fissa, 
di quattordici versi, 
la cui struttura, basata sul numero pi greco,
si articola in cinque strofe 
successivamente e rispettivamente di 3 - 1 - 4 - 1 - 5 versi, 
numeri che sono, nell’ordine, 
le cinque prime cifre significative del pi greco.

Il monastero nulla ha perso dei suoi carmi, 
Né il giardino del lustro che sembra vi disarmi, 
Lasciando il laccio al cane, la briglia allo stallone:

Però la spiegazione non vale quel mistero.

Basta con le chiarezze che spezzano il tallone, 
Con i ragionamenti, che sciogliendo gli allarmi, 
Prendono stoltamente cappelli da gendarmi, 
Designando lì il giusto, e costì il fellone.

Nessuna spiegazione ripaga d'un mistero.

Io preferisco i carmi vecchi del monastero 
Ed il lustro fittizio d'un celebre giardino;
Io preferisco i brividi (è questo il mio pensiero)
Di un qualunque ladruncolo smarrito dentro il nero,
Alle evidenti e note lampade d'Aladino.
 

lipogramma vocalico progressivo

dedicandola all’amico Queneau, 
Italo Calvino compone 
una poesia a lipogrammi vocalici progressivi:
nella prima quartina la prima parola 
contiene tutte le vocali,
la seconda solo 4, 
poi 3, 2, 1 e viceversa 1, 2, 3, 4 e 5; 
la seconda quartina 
si apre con la serie “aa, ee, ii, oo, uu” 
e dopo utilizza solo la vocale “e”

Aiuole obliate gialle d’erba, sa
un cupo brusio smuovervi, allusione
ad altre estati, cetonia blu-violetta, 
enunciando noùmeni oscuri: tutto fu,

sarà ed è in circolo: dunque è sempre
presente nelle eterne senescenze
e effervescenze d’ere, nel serpente
d’etere, seme, cenere, erbe secche.
 
 

poesie booleane

muovendo dalle nozioni appartenenti alla Teoria degli insiemi e all’Algebra booleana, 
dal nome del matematico britannico George Boole (1815-1864), 
come insieme di elementi, sottoinsieme, unionee intersezione
François Le Lionnais ha composto delle poesie booleane; 
prelevando le parole dalla differenza fra unione e intersezione di due sonetti di partenza 
di Pierre Corneille (1606-1684) e di George de Brébeuf (1616ca-1661), 
Le Lionnais ottiene questo haiku: 

Cercare la virtù
Al di là dei suoi occhi
È la sola
Sofferenza.

    Corbeuf

Anche il nome è un'intersezione fra i nomi
di Corneille e di Brébeuf.
 

poesie con metamorfosi per nastri di Möbius

utilizzando le proprietà matematiche del cosiddetto «nastro di Möbius», 
(una superficie ottenuta da una striscia rettangolare
di cui si connettono due lati opposti dopo aver effettuato tra loro
una rotazione di mezzo giro),
elaborato dal matematico e astronomo tedesco August Ferdinand Möbius (1790-1868), 
Luc Ètienne fa subire a una poesia delle trasformazioni 
che ne modificano il senso in modo spettacolare e curioso.
 
 

poesie combinatorie

nel libro Alphabets (1976) Georges Perec
pubblica 176 poesie scritte utilizzando per ogni verso 
sempre le stesse lettere (E-S-A-R-T-I-N-U-B-L-O), 
le più usate in francese, combinate in modo diverso:

   ABOLIUNTRES    Aboli, un très art nul ose
   ARTNULOSEBI    bibelot sûr, inanité (l'ours babil:
   BELOTSURINA    un raté...) sonore
   NITELOURSBA
   BILUNRATESO
   NORESAUTLIB    Saut libérant s'il boute
   ERANTSILBOU    l'abus noir ou le brisant
   TELABUSNOIR    trublion à sens:
   OULEBRISANT    Art ébloui!
   TRUBLIONASE
   NSARTEBLOUI
 

La letteratura “sous contraintes”, arte combinatoria per eccellenza, annovera fra le sue perle in prosa, formanti ormai un repertorio classico, alcuni romanzi:

 1. La disparition (1969) di Georges Perec, 320 pagine, circa 78.000 parole, scritto senza mai usare la lettera “e”, la lettera più ricorrente in francese e allo stesso tempo la più affettiva per lo scrittore, dato che i suoi genitori ebrei (père, mère) morirono in guerra (il padre) e in un campo di sterminio nazista (la madre) (esistono de La disparition traduzioni in italiano, inglese e spagnolo); sul principio i critici non si accorsero di questa contrainte del libro, e pensare che, oltre al commissario Didot (nome di un celebre tipografo francese e del carattere tipografico da lui inventato) e al suo aiutante Garamond (altro nome di carattere), il personaggio principale si chiama Anton Vokal; ne Les revenentes (1973), invece, Perec, usa in 138 pagine solo la vocale “e”; e poi

 2. La vie mode d’emploi (1978), dedicato all'amico Queneau, dove Perec si figura un palazzo parigino da cui sia stata tolta la facciata di modo che tutte le stanze siano istantaneamente e simultaneamente visibili. «La struttura del palazzo è schematizzata da una sorta di scacchiera quadrata di dieci caselle per dieci, dalle cantine sino alle mansarde. Ispirandosi alla progressione del cavallo nel gioco degli scacchi, Perec attraversa le cento caselle lungo i cento capitoli che, naturalmente (per via dell'imbroglio, del gioco o del "clinamen") sono solo novantanove (la cantina dell'angolo in basso a sinistra non è "servita"). Questa struttura crea il "romanzi" (così Perec ha intitolato La vita istruzioni per l'uso): l'incastro di storie sciolte non è possibile che organizzato intorno a un luogo unificante. Sharazàd quanto Boccaccio sanno che la reclusione in un luogo offre uno spazio privilegiato che permette di lasciar andare, far tornare e ripartire, in una specie di fort/da, l'immaginazione e i suoi racconti. Il palazzo, immutabile, immobile, del numero 11 di rue Simon-Crubellier, permetterà che si snodino delle storie di ricerche e di viaggi. Con le sue cento caselle meno una, più due (preambolo ed epilogo), con un centinaio di tessere di puzzle riunite, questo singolare "romanzi" sembra costretto entro la sua struttura, costruito e articolato come un immobile [la struttura è ispirata al cosiddetto «quadrato bi-latino di ordine n, una tavola di n x n caselle, riempite con n lettere e n cifre differenti, ciascuna casella contiene una lettera e una cifra, ogni lettera figura una sola volta in ogni linea e in ogni colonna, ogni cifra figura una sola volta in ogni linea e in ogni colonna», dovuto al matematico oulipiano Claude Berge, di cui si veda: «Pour une analyse potentielle de la littérature combinatoire» in Oulipo, La littérature potentielle, Paris, Gallimard, 1973, pp. 43-57]. Ma ciò non è bastato a Perec. Egli si è inflitto un diabolico elenco d'imposizioni. Ogni capitolo, breve o lungo, deve comportare per ventun volte due serie di dieci elementi; queste quarantadue menzioni, allusioni, collage, ecc. possono essere di natura molto diversa: posizioni, attività, bibite, cibi, mobiletti, giochi o giocattoli, citazioni, riferimenti a libri o quadri, ecc. Un sistema elaborato di permute fa sì che la stessa coppia di vincoli non possa ritrovarsi in un altro capitolo. Per condire il tutto, sono previste una serie "assenza" e una serie "falso" senza che siano escluse le possibilità di barare» (Claude Bergelin, Georges Perec. La letteratura come gioco e sogno, Genova, Costa & Nolan, 1989, p. 159). Nella lezione sulla «molteplicità», Calvino definisce La vita istruzioni per l'uso «l'ultimo vero avvenimento nella storia del romanzo» (Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Garzanti, 1988, p. 117).

3. Il castello dei destini incrociati (1973) di Italo Calvino, dove le varie narrazioni sono suggerite dagli elementi figurali di un mazzo dei tarocchi. Dalla presentazione al libro: «L'idea di adoperare i tarocchi come una macchina narrativa», scrive Calvino «mi è venuta da Paolo Fabbri che in un "Seminario internazionale sulle strutture del racconto" del luglio 1968 a Urbino, tenne una relazione su Il racconto della cartomanzia e il linguaggio degli emblemi. [...] Mi sono applicato soprattutto a guardare i tarocchi con attenzione, con l'occhio di chi non sa cosa siano, e a trarne suggestioni e associazioni, a interpretarli secondo un'iconologia immaginaria»; e 

4. Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), sempre di Calvino (da lui stesso definito un «romanzo sul piacere di leggere»), dove sono analizzati dieci inizi di romanzi diversissimi fra loro; in un testo «Comment j'ai écrit un de mes livres (Come ho scritto uno dei miei libri)» (1983) (La Bibliothèque Oulipienne n. 20, tradotto in italiano in Oulipiana, a cura di Ruggero Campagnoli, Napoli, Guida editori, 1995, pp. 153-170), Calvino spiega di essersi servito di un adattamento personale dei quadrati semiotici di Greimas (in generale su Calvino e la letteratura combinatoria: Piergiorgio Odifreddi, «Se una notte d'inverno un calcolatore», in Raffaele Aragona, a cura di, La regola è questa. La letteratura potenziale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2002, pp. 146-160);

5. il ciclo romanzesco dedicato alla giovane eroina parigina Ortensia - La belle Hortense (1985), L'enlèvement [rapimento] d'Hortense (1987) e L'exil d'Hortense (1990) - del matematico, poeta e drammaturgo Jacques Roubaud, dove, sconvolgendo i tradizionali canoni della narrazione, l'autore, i personaggi, il narratore, il lettore sono tutti insieme protagonisti del romanzo, che è organizzato secondo le permutazioni della sestina, cioè è diviso in 6 parti di 6 capitoli ciascuna, i cui argomenti vengono ripresi da una parte all'altra secondo lo schema della sestina (forma speciale di canzone composta di 6 stanze o strofe di 6 endecasillabi ciascuna, legate fra loro dalla ripetizione di 6 parole-rima; se nella prima stanza le parole-rima si succedono nell'ordine 1, 2, 3, 4, 5, 6, nella seconda stanza si succedono nell'ordine 6, 1, 5, 2, 4, 3, e poi, con retrogradazione incrociata, si succedono nelle stanze successive secondo ordini variati; dopo la sesta stanza si ha una specie di commiato di 3 endecasillabi in ciascuno dei quali tornano, in mezzo e alla fine, 2 delle 6 parole-rima, con ordine vario; la sestina sembra sia un'invenzione del trovatore Arnault Daniel - italianizzato Arnaldo Daniello, che poetò fra il 1180 e il 1200 circa, definito da Dante il «miglior fabbro», Purgatorio, XXVI, 117);

6. Cigarettes (1988) di Harry Matthews, membro americano dell'OuLiPo, dove la regola seguita è quella di presentare i personaggi a due a due, in un numero di combinazioni saggiamente limitate a quindici, quanti sono i capitoli, e secondo un sistema di permutazioni di cui l'autore non offre la chiave;

7. oltre agli Exercises de style (1947) di Raymond Queneau, 99 narrazioni in 99 stili differenti per descrivere un insignificante episodio di vita quotidiana, tradotti in italiano da Umberto Eco. 

 A fianco dell’OuLiPo sono nati poi l'OuLiPoPo (Ouvroir de Littérature Policière Potentielle), l'OuCuiPo (Ouvroir de Cuisine Potentielle), l'OuPeinPo (Ouvrier de peinture potentielle), l’OuMuPo (Ouvroir de Musique Potentielle) e l’OuCinéPo (Ouvroir de Cinéma Potentielle). Senza disdegnare opere di teatro e di altri “generi” espressivi, l’OuLiPo opera anche nel campo informatico attraverso l’ALAMO (Atelier de Littérature Assistée par la Mathématique et les Ordinateurs), fondato nel 1982 da Paul Braffort e Jacques Roubaud.
 Il gruppo produce testi di «carattere generale» - come La littérature potentielle. (Créations Re-créations Récréations) (1973) e Atlas de littérature potentielle (1981), firmati entrambi con la sigla “OuLiPo”, e poi OuLiPo 1960-1963 (1980) di Jacques Bens e La Bibliothèque Oulipienne (1981), a cura di Jacques Roubaud - e pubblica ne «La Bibliothèque Oulipienne» delle plaquettes, in seguito raccolte in volume - i fascicoli da 1 a 52 in 3 volumi presso l’editore Seghers nel 1990 e quelli da 53 a 85 in tre volumi presso l’editore Castor Astrol nel 1997-2003.
 Naturalmente l’OuLiPo ha un sito on line (www.oulipo.net) e organizza delle letture pubbliche in place Jussieu a Parigi chiamate “Les jeudis de l’OuLiPo”.

La prima esperienza “oulipiana” in Italia è legata all’Istituto di Protesi Letteraria (IPL) le cui finalità sono la «produzione automatica di letteratura», «un’azione da compiersi nella sfera e secondo gli stimoli della genetica combinatoria» che «smuova l’enciclopedia del possibile». Fra i membri attivi dell’Istituto figurano Guido Ceronetti, Giampaolo Dossena, Luigi Malerba che pubblicano i loro testi sperimentali sulla rivista il Caffè a partire dall’autunno 1973 (un’antologia di scritti dell’Istituto di Protesi Letteraria, da me curata, è uscita ne Le cerniere del colonnello, Firenze, Ponte alle Grazie, 1991).
Nel novembre 1990 nasce a Capri l’OpLePo (Opificio di Letteratura Potenziale), omologo del gruppo francese. Attualmente sono membri a vario titolo di OpLePo: Edoardo Sanguineti (presidente), Domenico D’Oria (segretario), Raffaele Aragona (tesoriere) e in ordine rigorosamente alfabetico Elena Addomine, Paolo Albani, Alessandra Berardi, Ermanno Cavazzoni, Salvatore Chierchia, Brunella Eruli, Piero Falchetta, Maria Sebregondi, Màrius Serra, Giuseppe Varaldo (si veda Raffaele Aragona, a cura di, Oplepiana. Dizionario di Letteratura Potenziale, Bologna, Zanichelli, 2002).

 «Ci capita a volte di scoprire» - scrive Le Lionnais ne Le second manifeste (1973) dell’Oulipo - «che era già stata scoperta o inventata nel passato, e anche nel lontano passato, una struttura che avevamo creduto perfettamente inedita. Ci facciamo un dovere di riconoscere un simile dato di fatto qualificando i testi in questione come “plagi anticipati”» (Francois Le Lionnais, , «Le second manifeste», in: Oulipo, La littérature potentielle, Paris, Gallimard, 1973, pp. 19-23; trad. it. Oulipo, La letteratura potenziale (Creazioni Ri-creazioni Ricreazioni), a cura di Ruggero Campagnoli e Yves Hersant, Bologna, Editrice Clueb, 1985, pp. 22-27).
Dunque un “plagiat par anticipation” è un testo strutturato oulipiamente prodotto in epoca anteriore alla nascita dell’Oulipo che risale al giovedì 24 novembre 1960. Circa un mese dopo la prima riunione, e cioè il 19 dicembre 1960, grazie all’intervento “particolarmente felice” di Albert-Marie Schmidt (1901-1966), professore di Letteratura alle Università di Caen e di Lille, la bizzarra congrega che fino a quel giorno si chiamava Séminaire de littérature expérimentale prende il nome di Ouvroir de Littérature Potentielle
 Per inciso ricordiamo che nel paragrafo IX dei suoi Palimpsestes (1982) dedicato ai “giochi oulipiani” Gérard Genette usa il termine oulipema per indicare un testo prodotto dall’Oulipo e oulipismo per designare invece un testo scritto, anche anteriormente, alla maniera di un oulipema (Gérard Genette, Palinsesti, Torino, Einaudi, 1997, p. 46). In questo senso “plagiat par anticipation” e “oulipismo” hanno le credenziali in regola per riferirsi allo stesso fenomeno.
Da tutto ciò ne segue, per estensione, che l’espressione “paradossale e provocatoria” di “plagiario anticipato o per anticipazione” indica l’autore di un “plagio anticipato o per anticipazione”. Fra quelli che stanno a cuore al gruppo francese troviamo il poeta e musico greco Laso (metà del VI secolo a.C.), autore di poesie in forma di lipogramma, secondo Ernst Robert Curtius “il più antico artificio sistematico” della letteratura occidentale (Ernst Robert Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, Roma, La Nuova Italia, 1992, p. 314), il poeta latino Decimo Magno Ausonio (310 ca-395 ca), maestro di centoni, il trovatore provenzale Arnaut Daniel (1150 ca-1200 ca), inventore della sestina, e poi Edgard Allan Poe che in The Philosophhy of Composition (1846) mostra come nessun particolare della sua poesia più nota The Raven (Il corvo) “sia attribuibile al caso o all’intuizione” e come egli abbia proceduto “passo dopo passo, sino al compimento, con la precisione e la rigida coerenza di un problema di matematica”; ed ancora Lewis Carroll (1832-1898), Raymond Roussel (1877-1933) ed Unica Zürn (1916-1970), autrice di sublimi poesie anagrammate.
In Italia l’OpLePo, come si è già detto, nasce a Capri il 3 novembre 1990. Prima di quella data lo spirito oplepiano aleggia candido sulle patrie lettere, ostentando i suoi bravi interpreti e paladini. L’oplepismo nostrano conta importanti precursori.
 Cronologicamente parlando il nostro primo omaggio non può che andare alla figura di un grande palindromista, anagrammista e compilatore di centoni: padre Anacleto Bendazzi (1883-1982) che nel 1951 licenzia le sue Bizzarrie letterarie, un libro vertiginoso di giochi verbali in gran parte di argomento sacro (Anacleto Bendazzi, Bizzarrie letterarie, Ravenna, Presso l'autore nel Seminario di Ravenna, 1951 e Bazzecole andanti, a cura di Stefano Bartezzaghi, Milano, Vallardi, 1996; sulla vita di Bendazzi: Franco Gabici, Sulle rime del don. Vita e inediti di don Anacleto Bendazzi, Ravenna, Edizioni Essegi, 1996).
Fra i primi anticipatori delle sperimentazioni di stampo oplepiano si deve annoverare Nanni Balestrini che, all’inizio degli anni sessanta, compone alcune poesie con l’ausilio del calcolatore elettronico. [...]
All’area sperimentale appartengono anche L’oblò (Milano, Feltrinelli, 1964) di Adriano Spatola e le Poesie a schema multiplo di Renato Pedio apparse sul numero 2 della rivista Malebolge del 1967.
 Nel primo caso si tratta di uno «pseudo-romanzo» in cui l’elemento combinatorio si snoda in una sequela di storie indipendenti, assemblate in modo casuale, una sorta di «cadavere squisito» il cui percorso può essere scelto a piacere dal lettore (si veda sul romanzo di Spatola quanto dice Renato Barilli, «Spatola», in: La neoavanguardia italiana. Dalla nascita del «Verri» alla fine di «Quindici», Bologna, il Mulino, 1995, pp. 257-263). L’operazione spatoliana ricorda, in un certo qual modo, il libro di Marc Saporta (cognome che sembra un anagramma di Spatola) composizione n. 1 uscito presso l’editore Lerici nel 1962, dove la libertà del lettore di leggere il romanzo disponendo come crede l’ordine delle pagine è totale. Anche perché le pagine del romanzo sono davvero sciolte, libere, separate le une dalle altre. Nella copertina si dice: «Mescolate le pagine come un mazzo di carte e leggete», mentre la fascetta che tiene unite le pagine riporta questa frase dal sapore queniano: «TANTI ROMANZI QUANTI SONO I LETTORI. L’ordine delle pagine è casuale: mescolandole, a ciascuno il “suo” romanzo».
Le «poesie a schema multiplo» di Pedio, scritte su tre colonne, offrono la possibilità di leggere - ci dice l’autore – un determinato fatto di cronaca (la distruzione di Longarone sotto la diga del Vajont) «in una ventina di modi diversi, molti dei quali identici. Calcolo che esistano, però, cinque o sei buone letture valide».
[...]

Fra gli scrittori vicini all’attività dell’Istituto di Protesi Letteraria ci sono Giorgio Manganelli e Umberto Eco, entrambi a pieno titolo etichettabili come “plagiatori per anticipazione” dell’OpLePo.
 Il primo - scrittore visionario fedele a un’immagine “manieristica” della letteratura come costruzione artificiosa di un mondo surreale - è autore di Centuria (1979), una raccolta di “cento piccoli romanzi fiume”, brevi narrazioni non più lunghe di un foglio che vanno a comporre «una vasta ed amena biblioteca». In un’intervista apparsa sull’Avanti! dell’8 aprile 1979 Manganelli spiega la genesi del libro: «Avevo per caso molti fogli da macchina leggermente più grandi del normale, e mi è venuta la tentazione di scrivere sequenze narrative che in ogni caso non superassero la misura di un foglio: è un po’ il mito del sonetto, cioè di una struttura rigida e vessatoria con la quale lo scrittore deve necessariamente misurarsi. Ma il fascino è tutto qui: in un tipo di scrittura che ti obbliga all’essenziale, che ti costringe a combattere contro l’espansione incontrollata. Insomma, credo che se non avessi avuto quei fogli non sarei mai riuscito a scrivere questo libro» (sottolineatura mia).
 In un’altra intervista pubblicata su Libération del 29 maggio 1985, in occasione dell’uscita della traduzione francese di Centuria, Manganelli è ancora più esplicito sulla “natura artificiosa” del libro: «Un soir où j’étais de mauvaise humeur, j’ai eu l’idée d’utiliser ces feuilles en me tenant au nombre de lignes qu’elles comportaient. Une idée, un récit par feuille: la première que j’ai écrite est la première à figurer dans le livre, de même pour les autres: rien n’a été modifié, amélioré ou transformé. Je ne devais écrire que sur les rectos, jamais continuer au verso; l’autre règle était de ne pas construire d’histoires qui se suivent, ni même que les personnages se retrouvent. Chaque récit devais se suffire, quitte à ce que certaines situations se ressemblent. J’ai mis un mois à écrire le livre» (sottolineatura mia). Costrizione, regola: le indicazioni di Manganelli sono chiare: ne esce, come scrive Paola Italia, «un organismo compatto e dalla struttura calibratissima, in cui l’esercizio di stile si unisce al divertissement del gioco combinatorio» (Paolo Italia, «Note al testo», in: Giorgio Manganelli, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Milano, Adelphi, 1995, p. 289).
 I “cent petits romans-fleuves”, presentati da un Prologue di Italo Calvino, hanno un grande successo in Francia dove esperimenti come Centuria si ricollegano alle «ricerche dell’avanguardia francese, quali ad esempio l’OULIPO di Queneau e Perec» (Paolo Italia, «Note al testo», in: Giorgio Manganelli, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Milano, Adelphi, 1995, p. 296).
 L’attività pre-oplepiana, cioè anteriore al 1990, di Umberto Eco è vasta e multiforme. Il suo centro attrattivo è naturalmente legato alla traduzione, che in molti casi si concretizza in una vera e propria ri-scrittura, nel senso di re-invenzione, dei novantanove Exercises de style (1947) di Raymond Queneau. Siamo nel 1983 e senza pudori Eco confessa che restare fedeli al gioco di Queneau significa capirne le regole, «rispettarle, e poi giocare una nuova partita con lo stesso numero di mosse» (Umberto Eco, «Introduzione» a: Raymond Queneau, Esercizi di stile, Torino, Einaudi, 1983, p. XIX).
 In qualche modo (nel numero) ispirato alla performance queniana è un testo che compare sul numero 5-6 del 1972 de il Caffè, firmato da un Anonimo Ginevrino e attribuito a due noti studiosi di linguistica e semiologia di cui la rivista conserva l’anonimato, firma dietro la quale si nascondono Umberto Eco e Tullio De Mauro: si tratta di Novantove proverbi strutturalisti “particolarmente consigliabili ad alunni delle scuole materne, ispettori della pubblica istruzione, crociani della Riserva, elzeviristi, attori di cabaret, rettori magnifici, dirigenti di programmi culturali alla TV, compilatori di lunarî”. Eccone un piccolo e gustoso campione: 

Chi Lacan l’aspetti. 
Tanto va il fonema al codice che ci lascia la variante. 
Il Propp stroppia. 
Chi non Cratilo non critica. 
Vedi Peirce e poi Morris. 
Volere il significante pieno e il messaggio ambiguo. 
Codice che appaia non Morse.

 All’idea di letteratura combinatoria - si pensi a Cent Mille Milliards de Poèmes (1961) di Raymond Queneau - rimanda uno scritto del 1972 intitolato Do your movie yourself dove, ipotizzando l’avvento di un’era in cui tutti possono farsi un film da soli grazie all’uso del videoregistratore, Eco presenta una serie di “soggetti multipli” ordinati per vari registi come Michelangelo Antonioni, Jean Luc Godard, Ermanno Olmi, Luchino Visconti, ecc. In pratica si tratta di questo: l’utente acquista un “plot pattern”, cioè una “gabbia” di soggetto multiplo che può riempire con una serie molto ampia di combinazioni standardizzate. Con un solo pattern, accompagnato dal pacchetto delle combinazioni, si possono fare, per esempio, 15.751 film di Antonioni. Come? Si parte da un basic pattern così strutturato: Una (alla x) distesa (alla y) desolata (alla z). Ella (alla k) si allontana (alla n). I richiami alfabetici che stanno come esponente indicano le trasformazioni possibili: x = due, tre, infinite; un reticolo di; un labirinto di; un; y = isola, città snodi di autostrade, Autogrill Pavesi, e così via. Il basic pattern alla Antonioni può dunque generare altri film come: Un labirinto di Autogrill Pavesi con visibilità incerta. Lui tocca a lungo un oggetto (Umberto Eco, «Do your movie yourself», in: Diario minimo, Milano, Mondadori, 1986, pp. 138-146).
 Fra i molteplici esercizi cui Eco si dedica con grande diletto, sempre prima del 1990, qui assunta come nostra data spartiacque, vi sono testi monovocalici - nella rubrica di Dossena su Il Venerdì di Repubblica (numero 45 del 28 ottobre 1988, p. 178) ne appare uno in E, «L’ente e l’esente»: “Sedete, gente, leggete le certe tessere del Sefer! Esse necesse est...” - e lipogrammati (due in A sul leopardiano Passero solitario sono antologizzati in Guido Almansi e Guido Fink, Quasi come, Milano, Bompiani, 1976, pp. 301-302; altri in Umberto Eco, Vocali, Napoli, Alfredo Guida Editore, 1991 e nel Secondo diario minimo, Milano, Bompiani, 1992).
 Il 22 febbraio 1987 Eco pubblica sull’Espresso una prima serie di ircocervi, una sorta di parole-valigia prodotte dalla fusione di due nomi famosi cui viene accompagnata una definizione del nuovo personaggio. Il termine “ircocervo” designa un mostro mitologico, metà caprone (irco) e metà cervo. La regola del gioco impone di fondere insieme il nome di due personaggi noti, in modo che al nuovo personaggio si assegni un’opera inedita che ricordi tuttavia alcune caratteristiche dei due personaggi originari, senza escludere qualche altro richiamo ambiguo. Sono proibite le combinazioni che, anche se danno origine a un bel titolo, non sono giustificate da una immediata associazione fonetica o grafica tra i due nomi di partenza (Umberto Eco, Secondo diario minimo, Milano, Bompiani, 1992, p. 295). 
 Ecco alcuni esempi di ircocervi:

Agatha Cristo                    Dodici piccoli apostoli
Achille Bonito Olivolà     Saclart
Billy Wilde                      A qualcuno piace Ernesto
Carlo Emilio Gadamer     L’interpretazione del dolore
Cesare Pavesi                   Biscotti dei paesi tuoi
Fred Asterix                     De ballo gallico
Gustave Flaubrecht          Madame Courage

 Nel 1998 prende forma una versione visiva dell’ircocervo dovuta al grafico e disegnatore Massimo Bucchi (1941). [...] (Massimo Bucchi, ‘900, Roma, I libri di Edizioni la Repubblica, 1998). 

 Più tardi, esattamente il 12 luglio 1992, Eco elabora una variante del gioco degli ircocervi inventando un nuovo artificio che chiama “finneghismo”, ovvero una parola composta accompagnata da una definizione plausibile, sul tipo di:

arfabeto: sistema di scrittura per cani;
cornitologo: etologo che studia l’adulterio tra uccelli;
oromogio: Swatch che suona solo le ore tristi;
vampirla: discendente inabile del conte Dracula.

 L’idea di quest’esercizio viene ad Eco durante un lavoro sul Finnegans Wake (1939) di James Joyce (Umberto Eco, «Un gioco per l’estate? La Duomocraxia», L'Espresso, 28, 12 luglio 1992, p. 190; «I giochini estivi colpiscono ancora. Invito a partecipare ai Finneghismi», L'Espresso, 29, 21 luglio 1995, p. 170; «La professoressa che non ne indovina una. Nuova collezione di "finneghismi"», L'Espresso, 41, 15 ottobre 1995, p. 266; «Mi scuso per i giochini. Sono utili. Servono ai ragazzi delle scuole», L'Espresso, 49, 10 dicembre 1995, p. 258).

 A proposito dei funambolismi linguistici di Eco va detto infine che alcune delle sperimentazioni verbali contenute nella sezione “Giochi di parole” de Il secondo diario minimo (1992) - un pangramma eteroletterale dove vengono usate una sola volta tutte le 26 lettere dell’alfabeto, i tautogrammi che sintetizzano la vita di un personaggio o il senso di un’opera usando soltanto parole con l’iniziale del personaggio eponimo, diverse poesie anagrammate - sono prive dell’indicazione dell’anno di stesura. Resta così impossibile stabilire se il gioco sia anteriore oppure no al 1990, anno significativo dal punto di vista plagiaristico.
 Altro reduce dell’IPL è Guido Almansi che già su il Caffè si era cimentato in una “ri-scrittura” de L'infinito leopardiano e in varie mistraduzioni, cioè avventurose e avventate traduzioni dove, ad esempio, il verso del poeta inglese John Keats (1795-1821) «Season of mists and mellow fruitfulness» viene reso con «Stagione di brume e molli fruttiferinità» (si veda «Versi in proprio e mistraduzioni», il Caffè, 7-8, 1974, pp. 12-15).
 Fra gli esercizi almansiani si contano lipogrammi (come quello in E, O, I, U da Cesare Pavese: “Verrà la Marta a avrà a ta acca”), poesie rovesciate (Un distico dantesco: Poco villano e disonesto spare/ Il maschio tuo quand’egli a lei s’ammuta), variazioni sulla vispa Teresa (Guido Almansi, Maramao, Milano, Longanesi, 1989, pp. 49-54; pp. 95-104).

 Nel 1967 Edoardo Sanguineti, attuale (2004) presidente dell'Oplepo, pubblica da Feltrinelli il romanzo Il giuoco dell'oca. Nella quarta di copertina si legge: «Questo Giuoco è composto di 111 numeri [nel senso che il romanzo è suddiviso in 111 capitoletti, n.d.r.], e può anche servire a giocare fino a 79. Ciò deve convenirsi prima di cominciare la lettura. Per giocare ci si serve di due dadi numerati dall'1 al 6, e si tira chi debba giocare per primo, e si conviene la posta al giuoco. Colui che fa 12 va al 110 e ci trova SUPERGIRL, e può tirare una volta sola con un solo dado; se per caso l'1 venisse, egli ha finito il romanzo».
Al 1982 risale l’Alfabeto apocalittico, scritto in 21 ottave per la grande “Apocalisse” di Enrico Baj, pittore, antesignano dei patafisici italiani, il cui nome figura fra gli “invitati d’onore” dell’Oulipo. Sanguineti lesse il suo alfabeto in occasione della vernice dell’esposizione a Mantova, in forma quasi teatralizzata, con il volantinaggio dei singoli testi presso il pubblico presente, sopra foglietti variamente colorati, simili ai vecchi “pianeti della fortuna” (Edoardo Sanguineti, «Alfabeto apocalittico», in: Bisbidis, Milano, Feltrinelli, 1987, pp. 79-101). Si tratta di poesie tautogrammate dall’A alla Z come questa:

giocate al giuoco mio, grassi giganti,
giratemi il mio gozzo, con i guanti:
gigantesse, godete al mio godere,
grosso è il gallo se gramo è il giocoliere:
grande ghianda mi è il glande con la gomma,
gratto le grotte, gratterò la gromma:
generali & gendarmi, gente giusta,
giunto è già il giorno, & chi lo gusta, gusta:

 In precedenza (Edoardo Sanguineti, Stracciafoglio. Poesie 1977-1979, Milano, Feltrinelli, 1980) Sanguineti aveva scritto poesie acrosticate, in cui l’acrostico rende il nome del destinatario (Ugo Nespolo, Octavio Paz, ecc.) o parole-chiave (landscape, maggio, PCI) o frasi (Sanguineti amat), in quest’ultimo caso con l’aggiunta di un’altra costrizione, cioè il tautogramma:

 Se Sa Sedurti Soltanto un Sonetto,
 Archetipo d’Amaro Amore Assente,
 Nasconderò Nei tuoi Nomi il mio Niente,
 Golfo mio, mia Girandola, mio Ghetto
[...]

 Fra il 1984 e il 1987 Sanguineti compone poesie come la seguente che inizia così:

  questa frase (8, 7) da ventaglio, non firmata, non datata, è un ritaglio banale,
 da un giornale:
   un uomo, che porta GE sopra una spalla destra, suda, per una sega,
 seriamente, lì alle prove con una lignea e liscia cosa numero 9: seguono due finestre,
 con le imposte quasi del tutto aperte, legate da un’L:
 [...]

 È un vero e proprio rebus senza disegno, la cui soluzione è: “genovese galante” (Edoardo Sanguineti, «Rebus», in: Bisbidis, Milano, Feltrinelli, 1987, p. 45).

 Al termine di questo breve viaggio fra alcuni dei più significativi “plagiari per anticipazione” dell’OpLePo ci premono ancora due considerazioni. 
 La prima riguarda Rodolfo J. Wilcock (1919-1978), straordinario scrittore italiano di origine argentina, amante di “fatti inquietanti”, di “mostri” e di “folli letterari”, poeta, drammaturgo e traduttore, fra gli altri, di testi di Christopher Marlowe e di James Joyce. Calvino lo propose come membro dell’Oulipo e questo, crediamo, sia un motivo più che sufficiente per accostare senza forzature il nome di Wilcock a quello dei plagiari per anticipazione. 
 Ne La sinagoga degli iconoclasti (1972), fra i profili di esseri che, poggiando sulle solide basi della scienza o comunque di una qualche disciplina che si presenta rigorosa, si sono mossi verso la demenza, Wilcock riporta il caso dell’orologiaio francese Absalon Amet che, nel Settecento, inventa e fabbrica il Filosofo Meccanico Universale, un apparecchio, grande come un’intera stanza, in grado di produrre una quantità quasi infinita di frasi, combinando una serie di vocaboli (sostantivi, avverbi di ogni sorta, congiunzioni, negazioni, verbi sostantivati, ecc.) scritti su delle targhette disposte a loro volta su ruote dentate caricate a molla e regolate nel loro movimento da uno speciale congegno a scatto che periodicamente ferma l’ingranaggio. Con la figlia Marie Plaisance, Amet pubblica nel 1774 a Nantes il libro intitolato Pensées et Mots Choisis du Philosophe Mécanique Universel, una raccolta di frasi “pensate” dalla macchina, fra cui troviamo una frase di Lautréamont: «I pesci che nutri non si giurano fraternità», un’altra di Arthur Rimbaud: «La musica sapiente manca al nostro desiderio», una di Jules Laforgue: «Il sole depone la stola papale», e ancora altre sorprendenti per l’epoca: «Tutto il reale è razionale»; «Il bollito è la vita, l’arrosto è la morte»; «L’inferno sono gli altri»; «L’arte è sentimento»; «L’essere è divenire per la morte» (Juan Rodolfo Wilcock, «Absalon Amet», in: La sinagoga degli iconoclasti, Milano, Adelphi, 1972, pp. 67-70).

[...]continua



Alcuni riferimenti bibliografici
sulla letteratura potenziale e dintorni


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Una sintesi di quest'articolo è apparsa
su L'école valdôtaine. Cahier Pédagogique,
n. 79, décembre 2008, pp. 50-52.




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