FENOMENI CURIOSI
All'inizio del secolo scorso a Benevento, in via
Traiano, dal
lato del marciapiede dove oggi si trova il cinema San Marco, accadeva
questo:
se passava di lì qualcuno con il cappello in testa alle undici
del
mattino nei giorni dispari del mese di dicembre, il cappello gli volava
via, anche se non c'era un filo di vento, come se fosse stato preso da
un turbine impetuoso che lo risucchiava in alto. I cappelli volavano
via
e dopo una serie di zigzag sparivano veloci oltre i tetti delle case. * * * Una volta ad esempio prese una carota e, credendo fosse un orologio, se la mise al polso tenendola ferma con dello spago. A un certo punto la guardò attentamente e poi, rivolto alla moglie, le disse serio: - Sono le nove, vado al lavoro. Si comportava a quel modo non perché fosse impazzito o avesse perso del tutto il senso della realtà. A parte la stranezza dello «scambio funzionale degli oggetti», Sbrisà era una persona normale, normalissima, con i suoi alti e bassi, i tormenti e le passioni che hanno tutti. Solo che, dopo la caduta di bicicletta, era convinto che la carota fosse davvero un orologio e che la sua funzione fosse scandire il tempo. Così come, del resto, credeva che l'orologio fosse una carota, e perciò, ogni tanto, cercava di grattugiarselo sull'insalata o di lessarlo insieme ad altre verdure. Una sera la moglie lo trovò disteso su un divano mentre osservava, alla luce tenue di un paralume, una scodella di porcellana; la esaminava dall'alto in basso, nei minimi dettagli, prima dal lato concavo poi da quello convesso, sfiorandola a tratti con il dito indice come se seguisse delle linee orizzontali invisibili. Dopo di che, in cucina, la donna scoprì che Sbrisà aveva mangiato degli spaghetti al ragù sopra le pagine di un libro aperto. * * * Le uova fatte da Annamaria Rovigatti erano in tutto e per tutto, nella forma e nella sostanza, simili a quelle delle galline, per quanto leggermente più piccole del normale. Furono anche analizzate da una ASL di Frosinone e risultò che contenevano gli stessi ingredienti delle uova di gallina, insomma erano in effetti uova di gallina che però fuoriuscivano dall'ano della donna. E che così fosse, cioè che le uova uscissero veramente dall'ano di Annamaria Rovigatti, venne certificato da un'équipe di medici che presso l'ospedale di Frosinone sottopose a una verifica sperimentale la donna che, sicura del fatto suo, non si sottrasse alla prova. Anzi fu proprio lei a caldeggiarla scodellando davanti ai medici che la osservavano scettici un paio di uova a distanza ravvicinata l'uno dall'altro. La spiegazione offerta dai medici è che Annamaria Rovigatti ingoiasse uova di gallina intere, per quanto sottodimensionate, e che poi, grazie alla particolare durezza del loro guscio, da un lato, e alla speciale conformazione dell'apparato digerente della donna e all'elasticità del suo muscolo anale, dall'altro, riuscisse a espellerle intatte. Il fenomeno delle «uova umane», come lo chiamarono i giornali, fu chiarito definitivamente dal marito di Annamaria Rovigatti che, dopo la morte della donna, confermò la tesi dei medici. Aggiunse solo che la moglie, prima d'ingoiare le uova intere, le ungeva con un piccolo strato di margarina. * * * Ci sono persone che non sognano mai, o meglio che non si ricordano dei sogni che fanno, e vivono questo vuoto onirico come una ferita, una menomazione, una disgrazia. Periodicamente Anna Bachmann riceveva a casa sua, nel tardo pomeriggio, alcuni sfortunati «non sognatori» che le raccontavano storie fantastiche, astruse, a volte anche piccanti, con risvolti morbosi al limite della perversione, storie che avrebbero voluto sognare, ma che erano incapaci di mettere in sogno. La donna li ascoltava seduta in poltrona davanti a una tazza di tè e qualche pasticcino, memorizzandosi bene ogni particolare delle loro fantasie, anche il più piccolo. La notte stessa, poi, faceva il sogno che le avevano raccomandato. * * * Da quelle stalattiti si staccano a un ritmo regolare delle gocce che infrangendosi sulla superficie piatta del laghetto rilasciano un suono strano, leggermente amplificato da un effetto eco. Il suono, assolutamente naturale, non è il monotono e prevedibile «plin» che in genere fanno le gocce quando si annullano precipitando su una massa d'acqua. In realtà, a ogni caduta di goccia, in quel punto della grotta di San Lorenzo si sente come un bisbiglio, un sussurro che, all'inizio, appare confuso, indistinto. Ma se uno ci fa caso, il rumore creato dall'impatto delle gocce ha un che di familiare. Ascoltando attentamente si può distinguere in modo chiaro il suono di una conta, l'espressione di una vocina flebile che, dietro quel ticchettio martellante, snocciola in inglese i primi dieci numeri, one, two, three, four fino a ten. A ten il conteggio si arresta per riprendere subito dopo, incalzante, dall'inizio, one, two, three, four di nuovo fino a ten. E via di seguito, senza interrompersi mai. In alcuni periodi dell'anno, forse a causa del cambiamento di direzione delle correnti d'aria sotterranee, la conta che si sente è in francese. "L'accalappiacani", settemestrale di letteratura comparata al nulla, DeriveApprodi, 1, gennaio 2008, pp. 73-77. HOME PAGE TèCHNE RACCONTI POESIA VISIVA |