PAOLO ALBANI PRONTUARIO
DI OGGETTI
DA USARE CON GLI OCCHI La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie. Hugo von Hofmannsthal, Il libro degli amici. Premessa
A Paolo Albani, si sa, piace raccontare le cose con piglio divertito. Gioca con la lingua, si definisce semi-semiologo e falsario. A questo fine sceglie sempre con cura aggettivi, verbi e avverbi. Non dimentica mai che anche la punteggiatura ha un valore semantico indispensabile. Non gioca solo con le parole ma con i significati stessi. Parla in generale e poi si sofferma su particolari secondari. Poi riparte da un fatto che possa evocare una qualche memoria e creare così analogie con altri fatti e altre memorie. La sua scrittura è tutto un gioco di rimandi, un prendere e lasciare, sempre alla ricerca di geometrie nascoste, di secondi, terzi e se possibile, quarti livelli di lettura. E di regole da nascondere nelle pieghe dei suoi discorsi che amano le situazioni bizzarre, curiose, stuzzicanti. Tutto è però improntato alla massima semplicità che possibilmente contribuisca a creare un qualche equivoco. Il terreno di coltura preferito è l'ambiguità, una sorta di confusione regolamentata tra reale e fantastico, tra oggettivo e relativo, da cui nasce, appunto, l'equivoco, ingrediente fondamentale della sua operazione di scrittura e di creazione verbo visiva, che è poi, in fondo, la stessa cosa. Scrittore che trasfigura il linguaggio, a Albani piace parlare per immagini, creare figure, intrecci decorativi, paesaggi della mente dove tutti gli elementi, pur occupando il posto che normalmente viene loro assegnato, pensano a altro, si distraggono un po' dal loro compito e si ritrovano a dire cose che non volevano dire. Ma mai per caso, è lui che comanda il gioco. Succede anche che le parole scritte assumano un carattere visivo, le stesse parole diventano oggetti. E gli oggetti diventano parole. Dopotutto egli ama il doppio e lo scambio delle parti, gli spostamenti minimi che sbriciolano il senso del sapere comune. Albani è un essere onnivoro, una spugna, un filtro. E, da cacciatore, quando individua la sua preda, diventa implacabile, deve trovare assolutamente l'accesso al significato altro, allo slittamento che apre a prospettive diverse il già visto e il già detto. Attento osservatore, gli piace vedere il linguaggio (scritto e parlato) dalla prospettiva del luogo comune, del modo di dire e dell'uso che ne facciamo tutti i giorni. E quando deve scegliere materiali per le sue opere di poesia visiva, sceglie sempre oggetti comuni. Comuni perché li conosciamo bene (noi con lui), li usiamo personalmente tutti giorni o almeno sappiamo che qualcuno, da qualche parte, li usa. Per i suoi lavori egli cerca oggetti in casa (monitor usato), o nei negozi dove vendono un po' di tutto (cartellini, carta, colla, trappole), o ancora nei magazzini (segnali stradali), nelle ferramenta (maniglie, tondini, corda), nei laboratori degli artigiani (molle, legno). Non esclude le librerie (libri, spartiti musicali) e i giornalai (riviste di enigmistica). Usa gli oggetti con la stessa semplicità con cui usa le parole, dando vita a un micro-cosmo che non pretende di riflettere mondi superiori, tutto rimane nella dimensione terrestre, e forse non è un caso che egli preferisca così tanto le forme ortogonali e piuttosto regolari. Invece che scrutare le profondità della terra, le complicate stratificazioni geologiche, Albani preferisce la scorza del mondo, soprattutto quello fatto dagli uomini, costellato di oggetti e definito da parole. Registra la forma delle cose, apprezza il loro colore, contestualizza il loro uso. Il tutto passa sotto il suo sguardo attento e arguto non per essere analizzato, sezionato, capito, ma per essere messo in relazione con altro: gesti, comportamenti, abitudini. Pensieri. Ma dalla sua indagine leggera sopra le cose, riesce a far intuire abissi di senso, pericolosi slittamenti nella percezione, inganni dovuti alla presentazione ostentata di pezzi di realtà in trompe l'œil. A Albani piace fare con le cose quello che fa con le parole, le prende, le manipola per stravolgerle, non con l'intento di distruggerle e trasformarle in altro. Anzi, la manualità che gli dedica è volta a conservare il più possibile le qualità intrinseche di ogni singolo oggetto, quasi esaltandolo (la molla continua a potersi estendere e contrarre, le trappole a funzionare, la corda a avvolgere, lo spartito a contenere musica). Ma, in questa operazione, le blocca in una dimensione a-temporale e a-spaziale, infatti chiude tutto in una teca trasparente per dare evidenza alla sua operazione ma anche per creare una distanza. Per questo il suo lavoro ha una componente concettuale avvertita da chi guarda (e da lui coltivata). La distanza è dunque un fattore importante. È fisica ma soprattutto mentale perché la semplicità spiazzante delle sue operazioni possano prendere corpo. L'impossibilità al contatto con le cose che sono poste dentro uno spazio chiuso le mette nella condizione di essere semplicemente osservate e dunque non usate. Gli oggetti vengono usati con gli occhi. È lo sguardo che collega in un attimo la cosa e la sua funzione, ma il corto circuito si crea proprio nel momento della negazione all'uso pratico. Le cose non vengono semplicemente esposte o accumulate, vengono modificate in modo a prima vista impercettibile. È il titolo che ci aiuta a illuminare la logica nascosta, che ci fa arrivare al calore della comprensione, a sorridere, a poter capire in un lampo il calembour, l'analogia, l'assonanza, la metafora, la metatesi, lo spostamento sotteso al suo lavoro. L'equivoco. La distanza iniziale serve a preparare l'atmosfera di sospensione: cosa ci fanno due maniglie attaccate in senso inverso su un pezzo di legno? Perché un libro ha un angolo tagliato di netto? O ancora: cosa sono tutti quei cartellini attaccati a lettere dell'alfabeto? La percezione ha bisogno di un tempo più o meno lungo e Albani sembra saperlo misurare, prendendoci per mano e accompagnandoci nella sua logica che non lascia scampo, come nel movimento preciso di una molla. Con un cartello stradale ci dice che è qui la P-oesia, o la sua parodia. Prontuario Potenziale. L'opera di Albani gioca molto con la virtualità. I suoi lavori si impongono per la presenza di oggetti, ma sembrano sempre smaterializzarsi attraverso l'astrazione linguistica. La dimensione è dopotutto sempre quella del linguaggio governato da regole, rigide regole che prendono in giro se stesse in un continuo rimando a ipotetici significati che negano un senso unico e definitivo. Tutte le opere di Albani nascondono o mostrano la loro potenzialità. Con la semplicità dell'operazione si mette in evidenza la possibilità di giocare all'infinito con elementi eterogenei. Per ognuna è necessario dare una regola, che diventa punto di partenza e di arrivo. La scintilla che “libera” la mente dall'abitudine, sfruttandola. A voce. Il suono delle parole, anche in forma di nonsense, è importante nel lavoro di Albani. I titoli delle sue opere si devono pronunciare a alta voce e così il nome degli oggetti che ci propone. Anche noi spesso siamo come costretti a parlare, quanto meno a esclamare: “Ah, ora ho capito!”, dopo un momento di sconcerto. In Manierismo le due maniglie inutilizzabili, che aprono/chiudono, si disturbano a vicenda, ricordano la famosa Porta di Rue Larrey 11 di Duchamp e la sua ambigua funzione, ma l'opera si “rivela” attraverso la pronuncia del nome degli oggetti e delle nostre mani che virtualmente le muovono. In Cruciverba Crucivolant la locuzione latina verba volant prende voce nel pasticcio tra lingua e gioco enigmistico. Le parole evadono dalla griglia in cui il linguaggio vuole ingabbiarle e iniziano allegre a sciamare per il foglio, diventando parole in libertà. Albani gioca con l'enigmistica senza essere un esperto (anche se gli piace creare opere-rebus). Senza dimenticare che la sua prima opera “letteraria” è composta da alcune note al manifesto del Neo-Futurismo, e che ha fatto anche una parodia affettuosa del movimento di Marinetti con L'immaginazione / L'immaginazione senza fili [1988]. Per un libro edito da Tam Tam, Parole in difficoltà, ha fatto confondere lo stesso Spatola che nel frontespizio ha scritto erroneamente Parole in libertà... Questo lavoro potrebbe essere dunque visto come un omaggio alla libertà tipografica delle composizioni futuriste da cui dipendono buona parte delle sperimentazioni novecentesche. Ordine/disordine. In queste opere convivono ordine e disordine, forma e caos, apollineo e dionisiaco. Se nel quadrato magico di Alighiero Boetti che contiene questa dicotomia noi dobbiamo mettere ordine per leggere le parole, cercando la regola creata dall'artista, nell'ordine/disordine di Albani dobbiamo superare la compostezza anche un po' leziosa della disposizione degli oggetti per cogliere la vera essenza dell'operazione, la confusione generata dall'interazione tra oggetto spaesato e lingua spaesante. Tropo è un'opera emblematica. Il tropo non è un animaletto che può essere intrappolato e l'autore lo sa bene. Egli lavora costantemente su “tropi” (traslati, metafore) e gli intrappolati siamo noi quando ce ne accorgiamo. Libro. Albani ama i libri perché ama leggere, ma li ama anche come oggetti, li apprezza dal punto di vista tattile, visivo e forse anche olfattivo. Spesso i suoi libri diventano libri-oggetto, una parodia della forma libro, a cui stravolge forma, materiali e soprattutto funzione. Se i libri veicolano normalmente prosa, poesia, saggistica e altro, quelli creati da Albani diventano dispositivi che mettono in atto piccole messe in scena, a volte anche drammatiche come con Distacco potenziale del 2002. Non a caso sceglie un libro per fare un omaggio a Van Gogh che realmente fece violenza sul suo corpo. Il libro, se ci pensiamo, si può intendere anche come un piccolo organismo, con le sue fragilità. Al libro, potenzialmente, si può fare violenza staccandone di netto un pezzo, rendendolo inutilizzabile. Un sacrificio laico che, con sublime ironia, vuole essere un atto di vicinanza al gesto autolesionista del grande artista olandese. Libro+segnalibro da prendere con cautela è uno dei libri d'artista che Albani costruisce con materiali eterogenei, non disdegnando quelli freddi come il plexiglas e il metallo lavorato industrialmente. Qui c'è il libro, mancano solo le parole. Al loro posto segni di infinito e molle ci mettono in guardia, il pericolo si annida là, dove meno te lo aspetti, nello scrigno di un sapere che può nutrirti ma anche ingannarti. Oggetti. Con Accordo in be molle Albani riesce a rendere oggettuale anche lo spostamento di un semitono e dare la concretezza del metallo e del ferro a segni che di consueto sono tracciati con gesto lieve sul foglio di carta. Si può parlare ancora di «Poetica dell'oggetto», di ready made e di Pop Art. Ma qui siamo altrove, in un mondo dove tutto è reificato, assume un peso specifico, si fissa per sempre in materiali solidi. Anche la pancia molle del suono. Questo è soprattutto uno dei tanti omaggi alla musica. Albani era molto amico di Giuseppe Chiari, scomparso nel 2007, che gli aveva dedicato un acrostico: Ancora La Bellezza Aiuta Novità Immediate (a cui Albani rispose con: Certo Ha Immaginato Altri Rumori Insoliti). Da non-musicologo è amico di musicisti. Ama molto, d'altro canto, la sua attività di poeta sonoro. A mano. In tutte le opere avvertiamo un atteggiamento fabbrile. Le mani si muovono sicure e condizionano i materiali seguendo i dettami del percorso logico. Tutto deve essere preciso, senza sbavature. Potremmo definire Albani nelle sue opere di poesia verbo-visiva un poeta-carpentiere, e poi -fabbro, -falegname, -imbianchino, -saldatore. Senza avere il mito della manualità, non disdegna infatti il prodotto bell’-e-fatto come per P-oesia: un comune cartello stradale, su cui fare un intervento minimale, quanto basta per trasformarlo in altro, lontano dalla nostra consuetudine che lo rende totalmente banale e anonimo, sempre uguale. Con la lettera P, viene da pensare, avrebbe potuto scrivere altro, invece sceglie il modo meno poetico per dire la sua intenzione, è questo il mio modo, è questa la mia poesia. Leggerezza. Tra le due vocazioni opposte, alla leggerezza e alla pesantezza, Albani ha con decisone scelto la prima, quella che «tende a fare del linguaggio un elemento senza peso, che aleggia sopra le cose come una nube, o meglio un pulviscolo sottile, o meglio ancora come un campo di impulsi magnetici». «La leggerezza per me», dice Calvino, «si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l'abbandono al caso». Piccolo campionario di tecniche per impedire il volo delle parole è un'opera di poesia. È l'ingenuità del tentativo di esprimere la leggerezza che ricorda la stessa determinazione del bambino che tenta di trasportare l'acqua del mare con la conchiglia. Bucce di banana. «Attenzione! Slittamenti di senso su cui si scivola spesso...». Le opere di Albani sono piene di insidie. Per esempio, quando ci accorgiamo che in Mi sono scordato di te, è la stessa corda che si scorda, forse è già tardi. Siamo già scivolati sul terreno infido dei doppi sensi, degli omografi che sono anche omofoni, oltre naturalmente a realizzare che le corde arrotolate diligentemente si possono stancare della loro posizione, arruffarsi e precipitare a terra pesantemente. Se la lingua italiana permette di giocare con il senso delle parole, Albani gli dà corpo attraverso la concretezza dei materiali: basta dare un nome alle cose per far tornare tutto nei termini del linguaggio e alla sua inquietante arbitrarietà [il testo sulla rivista s'interrompe qui]. Assenza. La fenomenologia “materialista” delle opere di Albani si scontra con un paradosso: l'assenza dell'opera stessa. Questa scoperta la facciamo, perché dichiarata, con Monoscopio che è in realtà un lavoro dedicato a celebrare, attraverso l'interruzione, il non-visibile ovvero l'assenza. Amante degli equivoci, Albani ci illude di farci vedere un oggetto (tecnologico), ci spinge a vedere impresso un monoscopio e poi a leggere che c'è una “interruzione” e che «riprenderemo questa poesia visiva non appena possibile». E allora, cosa stiamo guardando l'opera o la sua negazione? Nonsense. La letteratura del Novecento è nutrita di nonsense più o meno evidenti, un filo rosso che unisce opere anche lontane ma che condividono la disillusione di poter rappresentare la realtà attraverso la scrittura e l'opera d'arte. E per questo occulta una certa drammaticità, una sensazione di vuoto, un contatto ravvicinato con la negazione. Albani affronta il Nulla, ne scrive, ne parla, lo intrattiene. Ha imparato a aggirarlo, il nonsense è per lui un modo per non farsi intrappolare, per sfuggire all'abitudine proprio parlando o trattando di cose abituali, non straordinarie. Ha imparato a affrontarlo. Non ha molto senso infatti immaginare due pseudo-partiture musicali come quelle di Omaggio a Ravel, soprattutto se sono per «orecchio destro» e «orecchio sinistro». Per Meta-collage poi non si può più parlare di parodia, qui siamo allo sberleffo vero e proprio. È la tecnica storicizzata del collage a essere presa di mira. Il collage cambia statuto e diventa un assemblaggio nonsensico di tubetti di colla. D'altra parte Albani non sente sua la tecnica con cui si può dire sia nata la Poesia Visiva, perché è stata fin troppo utilizzata e così preferisce l'atto dell'in-colla-re. Si sente così di dare un proprio contributo alla storia delle tecniche scegliendo con cura i tubetti secondo regole visive fondamentali che possano rendere l'opera accattivante: morfologia, cromatismo, consistenza degli oggetti. Ironia. A me personalmente Albani fa pensare a un illuminista che esprime attraverso una salace ironia, o witz, la propria visione del mondo. Un artista e uno scrittore che con sguardo divertito vola sopra le cose (e le parole). Sembra indicarle, le cose e le parole, allontanandole un po', spiazzandole, per arrivare a spiazzare noi che assistiamo alle sue opere-performance. Con un colpo di scena Albani dichiara, da scrittore e da poeta visivo, di non essere poeta e ci presenta Le mie migliori poesie, poesie accartocciate dentro un cestino (ma tutto è collocato dentro un perfetto parallelepipedo di plexiglas). Lontano dalle accumulazioni di scarti fatte da Arman, il cestino di Albani sembra però essere un'altra parodia. Sono i suoi tentativi poetici a essere ammucchiati. Ancora una volta, con ironia, l'assenza dell'opera è l'opera. E forse anche la poesia. Post scriptum Nelle Lezioni americane, a proposito di “Esattezza”, Calvino esprime la sua ammirazione per l'opera di Francis Ponge, l'autore de Le parti pris de choses, che definisce: «il miglior esempio d'una battaglia col linguaggio per farlo diventare il linguaggio delle cose, che parte dalle cose e torna a noi carico di tutto l'umano che abbiamo investito nelle cose». Credo che il lavoro di Albani possa riconoscersi in questa definizione con la differenza che le cose non sono solo evocate dal linguaggio, ma giocano alla pari con esso. "Art in Italy", 35, 2012, pp. 2-7 (sulla rivista è uscito un testo leggermente ridotto).
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