Paolo Albani

ESTRAZIONE DEI DENTI E FOLLIA

 



 

   Nella storia moderna dell’alienazione mentale il caso dello psichiatra statunitense Henry Andrews Cotton (1876-1933) getta - nella sua tragicità, non disgiunta, come spesso accade in episodi drammatici, da un risvolto tristemente comico - una luce sinistra sul rapporto medico-paziente.

   Formatosi in Europa studiando con due luminari della psichiatria, Emil Kraeplin e Alois Alzheimer (quello che ha dato il nome all’omonima malattia senile), Cotton è uno dei migliori allievi di Adolf Meyer alla John Hopkins University. Dal 1907 al 1930 Cotton, le cui credenziali scientifiche sono inappuntabili, dirige un importante ospedale psichiatrico a Trenton, capitale dello stato del New Jersey, il Trenton Psychiatric Hospital, in origine chiamato New Jersey State Lunatic Asylum (lo segnalo perché la parola «lunatico» mi piace molto).

  In quel periodo lo psichiatra statunitense elabora una teoria da molti ritenuta rivoluzionaria: Cotton è convinto che la schizofrenia sia dovuta all’azione di batteri, ovvero che essa scaturisca da infezioni croniche nascoste in qualche parte del corpo, specie nelle gengive dei denti. Cotton bolla come «pseudoscienze» le teorie che attribuiscono la malattia mentale a tare ereditarie o a traumi infantili come suggerisce Freud (la foto qui sopra risale al 1917 e riproduce un'ispezione dentale nel manicomio di Trenton).

    Così intorno al 1915 Cotton comincia a sottoporre i suoi pazienti del manicomio a indagini con raggi X, microscopi e altri macchinari allo scopo d’individuare i focolai infettivi della follia. Non esistendo a quei tempi gli antibiotici, l’unico rimedio che Cotton escogita è l’asportazione della parte infetta, convinto che ciò possa indurre la guarigione dell’«85% dei casi di follia». Ben presto nei corridoi del suo ospedale si vedono circolare pazienti completamente sdentati, il che per altro crea loro, com’è facile intuire, problemi nella masticazione.

     Se la follia permane anche dopo l’asportazione dei denti, Cotton non desiste e si prodiga a togliere chirurgicamente vari organi come le tonsille, le ovaie, la milza e soprattutto il colon ritenuto fonte di infezioni per il ristagno fecale, senza con questo disdegnare i piedi, le mani e le gambe.

      Nel 1921 Cotton tiene una serie di letture a Princeton che hanno per oggetto i suoi «innovativi esperimenti» in materia di malattia mentale. Una volta pubblicate, le letture di Cotton vengono recensite nel giugno 1922 dal New York Time in modo entusiastico: «All’ospedale statale di Trenton, New Jersey, sotto la brillante guida del direttore sanitario, il dottor Henry Cotton, sta avanzando la più penetrante, aggressiva e profonda investigazione scientifica che sia mai stata condotta nell’intero campo dei disordini mentali e nervosi». Le malattie mentali stanno crescendo a un tasso quattro volte più rapido della popolazione, conclude l’articolo, ma grazie a Cotton: «C’è speranza, grande speranza per il futuro».

     Contrariamente alle aspettative di Cotton la situazione nel manicomio di Trenton precipita. Il 45% dei pazienti mutilati muore per peritonite post-operatoria. Lo accerta un’indagine voluta dallo stesso Meyer, inizialmente paladino delle «idee rivoluzionarie» di Cotton e suo protettore. Fra le vittime del metodo cottoniano c’è Margaret Fisher, figlia del famoso economista Irving Fisher, docente a Yale, il quale, anche dopo il trattamento sciagurato patito dalla figlia, continua a credere nei famigerati espedienti messi in atto da Cotton per sconfiggere «il germe della follia».

     La storia, magistralmente raccontata da Andrew Scull in Madhouse: A Tragic Tale of Megalomania and Modern Medicine (Yale University Press, 2005), ha un epilogo tragicomico: indagato per le morti dei suoi pazienti, Cotton cade in uno stato di profonda depressione che imputa, non al fallimento della sua teoria, bensì all’insorgere di un’infezione nascosta per guarire dalla quale non esita a togliersi da solo alcuni denti.



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Testo uscito su "Psicologia cacopedica", blog di Matteo Prati, il 21 dicembre 2012. Con lo stesso titolo Prati ha pubblicato una rivista cartacea, cui ho collaborato con alcuni testi, per leggerli cliccate qui.
Martedì 1 gennaio 2013 a Pagina 3 di RaiRadio3, programma radiofonico di approfondimento delle pagine culturali e dello spettacolo, Edoardo Camurri ha parlato di questo testo sul medico Henry Cotton, per ascoltarlo cliccate qui.


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