L'ARTE DELLA SCRITTURA Di
consigli a giovani aspiranti scrittori è costellata la storia della letteratura,
consigli elargiti da grandi maestri nell’arte dello scrivere, autori
straordinari. L’elenco sarebbe lungo, qui ne ricordo solo alcuni alla rinfusa: Edgar
Allan Poe (La filosofia della
composizione), Robert L. Stevenson (L’arte
della scrittura), Charles Baudelaire (Consigli
ai giovani scrittori), Jack London (Pronto
soccorso per scrittori esordienti), Henry James (L’arte di scrivere), Francis Scott Fitzgerald (Nuotare sott'acqua e trattenere
il fiato. Consigli a scrittori, lettori, editori); Anton Čechov è stato magnanimo al riguardo,
ne ha dati 99 di consigli per cercare di scrivere al meglio (Senza trama e senza finale. 99 consigli di scrittura).
Ultimo, ma non per
qualità, in questa eccezionale schiera di suggeritori dello scrivere in modo
efficace e incisivo è l’ascetico Erri De Luca che, prima di cimentarsi nella
scrittura, ha fatto numerosi e dignitosi mestieri, l’operaio qualificato, il
camionista, il magazziniere, il muratore, nonché il responsabile del servizio
d’ordine di un gruppo rivoluzionario. Tanto per inquadrarlo, così un po’ alla
buona, De Luca è uno (lo ha confessato in una
sua poesia) che considera «valore ogni forma di vita, la neve, la fragola,
la mosca..., il regno minerale, l'assemblea delle stelle... il vino finché dura
il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato,
due vecchi che si amano»; è uno che, a sentir lui, scrive sempre appoggiato
sulle ginocchia, prima che faccia giorno e su quaderni a righe, perché quelli a
quadretti gli ricordano le vite recluse. Di recente De Luca ha pubblicato un
articolo memorabile su un quotidiano nazionale italiano affrontando il tema de L’arte della scrittura, rispondendo
alla richiesta di una persona giovane che gli ha chiesto notizie circa la sua
(della persona giovane) spinta a scrivere per il desiderio di vedere in stampa
le sue pagine (si veda la Repubblica,
3 giugno 2012, p. 52; lo so, il testo è un po’ vecchiotto, ma resta di grande
attualità e sarebbe stato un peccato lasciarsi sfuggire un commento). Ho
detto memorabile, e non a caso, perché l’articolo è ricco di consigli che si spalmano
sulla pagina come vere e proprie perle di sagacia e di buon senso. A chi si è
dato il compito di scrivere, afferma De Luca stupendoci subito, «serve una casa
editrice [ma pensa tu!]: se la tua spedizione viene respinta, ignorata,
perduta, non ricorrere alla lusinga di chi ti offre di pubblicarla ma a tue
vive spese», e qui a sorpresa viene sfoderato il primo arguto consiglio: «meglio
se ti procuri una tipografia o se stampi da solo, oggi si può». L’idea di
comprarsi una tipografia per stamparsi il proprio libro la trovo geniale nella
sua profonda semplicità, in sintonia con i tempi di crisi che corrono, che
certo permettono a chiunque di rilevare con pochi soldi una tipografia
sull’orlo del fallimento. Dopo di ciò De Luca mette in guardia il nostro
giovane aspirante scrittore poiché: «Chi scrive ha davanti a sé la modica
vastità di un vuoto. Non lo deve riempire, lo deve abitare. Non avere
capomastri. Puoi ammirare un'altra scrittura, ma poi devi scrollartela di dosso».
Scrivere, sentenzia ancora De Luca, «è un modesto sbaraglio da accettare senza
condizioni. Per mare non ci stanno taverne», saggia e inoppugnabile constatazione
quest’ultima che certo De Luca ha appreso dalla nonna o da un amico alpinista
durante un’escursione in alta montagna. Ma
il bello deve ancora venire. Dopo
aver esortato giustamente il nostro giovane a imparare altre lingue (lui ne ha
studiate alcune - come l’yiddish e l’ebraico antico - «per inseguire i poeti
dentro la loro tana»), De Luca lo invita caldamente a aprire il dizionario,
straordinario deposito di storie contenute in ogni vocabolo. «Se ne leggi una
pagina vedrai spuntare pensieri, storie, ricordi. Le parole di un dizionario
sono conchiglie, sembrano vuote ma dentro ci puoi sentire il mare». Stupenda
metafora questa della conchiglia perché ci arricchisce di un’informazione preziosa,
strabiliante, e cioè che dentro la conchiglia si può sentire il mare, e non,
come qualche sprovveduto potrebbe immaginare, le previsioni del tempo o le
notizie sulla viabilità autostradale. «Considera
la tua pagina», ammonisce severo l’alpinista-scrittore De Luca, «una sequenza
di passi in montagna, dove è rischioso a morte il margine di errore. Le sillabe
sono passi su piccoli appoggi, devi posarci il peso della frase, della voce». E
qui De Luca prende il volo e supera se stesso in quanto a generosità dando
quest’ulteriore formidabile consiglio: «Usa la virgola, il punto, l'accapo». Che
uno dopo una frase del genere − «usa la virgola, il punto, l'accapo» − si
aspetterebbe di trovare, magari come negli scritti di Manganelli, la
specificazione: usa tutta quella roba là, ma in modo irriverente, non
convenzionale, vizioso, spregiudicato. E invece no, De Luca si limita a dire soltanto
«usa la virgola, il punto, l'accapo» e basta, stop, tutto finisce lì, che è un
po’ come suggerire a un giovane in procinto di prendere la patente: mi
raccomando usa il volante quando ti metti alla guida di una macchina. Grande
l’Erri De Luca!
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