LE VOCI Da alcune settimane Gerolamo G.
si era trasferito in campagna. Aveva
comprato un fienile ristrutturato in una tenuta non lontana dalla
città.
Dalla finestra del suo studio si vedevano le colline disseminate di
ulivi,
una redola dritta che spariva dietro un bosco, fiancheggiata da un
muretto
a secco. In lontananza, fra l'orlo verde di una collina e il cielo, si
scorgeva il profilo di una torre che svettava imbronciata. Un tempo il
fienile era utilizzato dai contadini che vivevano nella casa colonica
attigua,
abitata poi dalla famiglia Beneforti, che aveva venduto a Gerolamo G.
il
fienile ristrutturato. Due notti dopo il fenomeno si
ripeté. Le voci ritornarono. Questa
volta erano voci incolori, un blablà uniforme, piatto, senza
alti
né bassi. Gerolamo G. stava lavorando al computer nel suo
studio.
Correggeva un articolo per il suo giornale, un pezzo sulle
biotecnologie.
Indispettito da quelle voci andò alla finestra e sporgendosi in
avanti guardò sulla sinistra, verso la colonica dei Beneforti. «Portate
notizie di mio figlio oppure, che sarebbe
meglio, dei soldi?» Poi, non appena la brezza
svanì, le battute del dialogo si trasformarono
di nuovo in un fraseggio oscuro, in un ronzio di parole
incomprensibili. «Tu non sei
soltanto la locandiera che pretendi
di essere.» o come quest’altro, breve, decifrato mentre si faceva una tisana: «Vado qui
all’angolo, torno tra un minuto. Vuoi
niente per colazione?» Gerolamo G. era un maniaco del
silenzio. Quando scriveva o leggeva non
doveva essere disturbato dal minimo rumore. Anche la musica, compresa
quella
classica, gli faceva perdere la concentrazione. Per trovare un po’ di
silenzio
era andato a vivere in campagna. «No! Lei non è felice, vicino a lei dovrebbe esserci un'anima capace di comprenderla», cui seguì, dopo una breve pausa, la replica di una voce maschile: «Io sono molto vecchio, signorina, e temo davvero che il suo consiglio mi giunga troppo tardi. Comunque ci penserò».
A questo punto, imprecando contro
tutte le televisioni del mondo e contro
i beoti che le stanno a guardare, Gerolamo G. si precipitò
minaccioso
dai Beneforti. Fece di corsa il praticello all’inglese che lo divideva
dalla proprietà dei vicini, ma si bloccò davanti
all’ingresso.
Le luci interne della colonica erano spente e non c’era neppure una
macchina
nello spiazzo laterale adibito a garage.
Quando scoprì, fiutandone il nascondiglio come un segugio di tracce acustiche, che le voci venivano dagli scaffali della sua libreria, in particolare dalle costole di alcuni vecchi libri, che aveva letto e riletto più di una volta, Gerolamo G. rimase turbato e si fece prescrive dal medico una visita neurologica. Qualche mese dopo trovò nella buca delle lettere il volantino di un comitato di zona (fra i firmatari vide che c’era anche Marco Beneforti) che denunciava gli effetti dannosi di alcuni tralicci dell’alta tensione, non lontani dal suo fienile. Nel volantino si parlava di fenomeni strani imputabili alle onde elettromagnetiche. Una signora denunciava di aver sentito della musica provenire dall’oblò della lavatrice ed un’altra di aver visto ballare la sua camicia da notte sopra il letto. Fu allora che Gerolamo G. si ricordò che dietro la libreria del suo studio passavano dei fili elettrici aggrovigliati, in certi punti anche scoperti, la cui sistemazione rimandava sempre, con la scusa di non avere estranei in giro per la casa, almeno fino alla stesura dell’articolo sulle biotecnologie, e che forse le voci che aveva sentito, e che ancora continuava a sentire, uscivano da quei fili bruciacchiati. O forse no. marzo 2002
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