Paolo Albani
LA VOCE DELLE SIRENE:
CANTO E INCANTO. 

UN APPROCCIO ANTROPOLOGICO.


 

    Le sirene, creature favolose della mitologia classica, seducono con la voce. Nell’immagine omerica quello delle sirene è un "suono di miele", una melodia che incanta. Ma nulla di più ci dice il poeta greco sulla natura di questo fascinoso richiamo musicale. Sappiamo solo che il suono delle sirene si musicalizza in morbidi respiri, in gemiti attraenti, e che dunque è strettamente legato al loro magnetismo seduttivo, è una musica che stordisce, che fa perdere la testa a chi ha l’impudenza di ascoltarla. 
    Se prendiamo in esame le sirene intese come apparecchi che generano segnali acustici continui e intensi, la seduzione in un certo senso non viene meno, solo si sposta dal piano, diciamo così, ipnotico, ammaliatore a quello puramente emotivo.
    Non so se succede anche a voi, ma a me ogni volta che sento per strada il suono assordante di una sirena - una sirena dei pompieri o di un’ambulanza - vengono i brividi nella schiena, provo una forte emozione, e non so bene perché, ma mi metterei a urlare, cosa che naturalmente non faccio per ovvi motivi di convenienza, soprattutto per non passare da persona labile di mente.
    Ora, a differenza di quanto accade nella sfera mitologica dove il canto delle sirene resta avvolto nel mistero, affrontando le sirene in quanto strumenti meccanici, è possibile invece, grazie a alcuni studi antropologici, rintracciare in modo abbastanza attendibile l’origine del loro suono.
    Partiamo da questa premessa: i suoni sono dei segni particolari; in quanto tali hanno una valenza culturale che, al pari dei segni linguistici, è soggetta a trasformarsi, a modificarsi storicamente. Che la musica «significhi qualcosa» è un’asserzione ormai condivisa dalla gran parte degli studiosi di «semiotica musicale». Certi segnali acustici, prendiamo ad esempio quelli militari, hanno una denotazione ben precisa che significa secondo i casi: attenti, riposo, alza bandiera, rancio, silenzio, svegli, ecc. Esistono musiche stereotipate che hanno delle connotazioni istituzionalizzate come la musica thrilling o quella “pastorale”, quest’ultima, per il suo carattere dolce e idilliaco, evocativa di scene campestri; altre musiche sono legate a ideologie facilmente identificabili: si pensi alla Marsigliese o all’Internazionale. In base al loro stile le musiche hanno altresì connotazioni immediatamente riconoscibili: una musica rock, ad esempio, connota “modernità”. 
    Sul versante delle sirene meccaniche, com’è noto, sono ravvisabili varie tipologie che corrispondono ormai convenzionalmente a diversi contesti: così abbiamo la classica sirena dei pompieri [suono della sirena dei pompieri], quella della polizia: in questo caso, come in altre tipologie, esistono varie sfumature legate alla nazionalità: ad esempio la sirena della polizia italiana ha questo suono [suono della polizia italiana], mentre quella della polizia americana ha quest’altro suono [suono della polizia americana]; abbiamo poi la sirena delle ambulanze [suono di ambulanza], dei sottomarini [suono di sottomarino], delle fabbriche [suono di sirena di fabbrica], la sirena degli antifurti delle auto [suono antifurto auto], d’allarme dei bombardamenti aerei [suono d'allarme dei bombardamenti aerei], delle navi [suono sirena di nave], ecc. 
    In un saggio del 1989 sui sistemi di conversazione dei popoli primitivi basati su strumenti musicali (flauti, corni, tamburi, archetti, nacchere, piatti, campanelli, gong, sonagli, ecc.) l’antropologo statunitense George Taylor dell’Università dell’Indiana, allievo di Weston La Barre di cui si ricordano gli studi sull’uso del flauto pentatonale nella conversazione fra gli aborigeni dell’America del sud, muove dalla considerazione che i testi musicali siano in genere fondati su coppie contrastanti come languido/energico, forte/piano oppure sensazione di affondare/sensazione di sollevarsi, eccetera. 
    Nello specifico, quando si tratta di sistemi di allarme ovvero di avvistamento di un pericolo, Taylor ha notato - in ciò confermando i risultati di altri studi antropologici sull’argomento come quelli di Spark e di Lewis - che le popolazioni primitive sono propense e si attivano a costruire una gamma molto semplice di suoni che alternano toni alti e toni bassi; in altre parole, in caso di pericolo, gli aborigeni usano dei suoni discontinui dal punto di vista dell’altezza timbrica.
    La discontinuità sonora, cioè la presenza di un alto e di un basso musicali, rappresenta, come si è appena sentito, una delle proprietà specifiche delle moderne sirene meccaniche. A titolo esemplificativo risentiamo il suono di un’ambulanza [suono di ambulanza]. Ora, secondo Taylor, questa caratteristica dell’intermittenza sonora ha una spiegazione che muove da un fenomeno culturale abbastanza diffuso in certe tribù dell’Africa subequatoriale, dell’America del sud e di altre zone del mondo. 
    In breve il fenomeno è questo.
    Vivendo a stretto contatto con la fauna che popola il territorio in cui sono insediati i loro villaggi, gli indigeni delle tribù studiate da Taylor hanno concentrato per forza di cose la loro attenzione sul comportamento saltellante, oscillatorio tipico della maggior parte dei quadrupedi quando si spostano da un luogo a un altro, sul loro consueto procedere con movimenti alterni in alto e in basso che si accelerano in caso di fuga precipitosa. 
    Basterà pensare, tanto per fare degli esempi, alla verdissima e velenosissima rana brasiliana, animale sacro presso i Kayapo, in grado di effettuare lunghi salti fra un masso e l’altro nelle acque stagnanti dove vive o alle scimmie cui nell’isola di Bali è dedicato un tempio immerso nella vegetazione lussureggiante, o ancora alle gazzelle, considerate le messaggere del Signore del Vento presso le tribù africane dei Wadomo e dei Kalanga.
    Nel suo studio Taylor osserva che gli aborigeni australiani, come gli Awakabal che vivono nei pressi di Newcastle nel New South Wales, adoperano per avvertire di un pericolo il segnale prodotto dal didgeridoo, uno strumento a fiato costituito da un lungo pezzo di legno cavo che si suona facendo vibrare le labbra e impiegando la voce; il suono del didgeridoo è questo: [suono didgeridoo]. Come fa rilevare lo stesso Taylor, il suono del didgeridoo imita chiaramente l’andatura altalenante dei canguri (ascoltiamolo di nuovo: [suono didgeridoo]). 
    Anche per quanto riguarda l’intensità del suono usato per segnalare una situazione di minaccia che incombe sulla comunità, molte popolazioni indigene prendono spunto dalle grida, dai ruggiti, dai versi prodotti da alcuni animali. Naturalmente gli animali privilegiati sono quelli che hanno una “voce” potente, vigorosa. 
    Al riguardo Taylor riporta l’esempio dei Lunda, popolazione stanziata nell'Africa centrale, che per avvisare del pericolo hanno un particolare segnale acustico prodotto da un corno di bue; il segnale di pericolo usato dai Lunda è questo: [suono corno di bue]. Come si arguisce facilmente, il segnale dei Lunda  presenta una forte somiglianza con il barrito dell’elefante [suono barrito elefante].
    La conclusione cui giunge lo studio di Taylor è che esiste un’estrema vicinanza sonora, una contiguità musicale fra il suono prodotto da certi animali e quello delle moderne sirene meccaniche. A tale riguardo risentiamo per un attimo il barrito dell’elefante [suono barrito elefante] e confrontiamolo con il suono della sirena d’allarme dei bombardamenti aerei: [suono d'allarme dei bombardamenti aerei], oppure confrontiamo ancora il suono della sirena della polizia americana [suono della polizia americana] con quello tipico della cornacchia (o Corvus corone) [suono verso della cornacchia]. 
    Tutto ciò testimonia a sufficienza - ci pare - della plausibilità della tesi avanzata da Taylor, e sostenuta come si è ricordato anche da altri antropologi, riguardo l’origine “ancestrale”, primitiva delle moderne sirene meccaniche.



Relazione svolta al convegno Le sirene: Partenope e le altre tenutosi a Capri nei giorni 30 ottobre-2 novembre 2008 organizzato da caprienigma. Si veda anche il libro: Illusione e seduzione, a cura di Raffaele Aragiona, Edizioni Scientifiche italiani, Napoli, 2010, pp. 125-127.
La ricerca dei suoni è stata curata da Vanni Zani.



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