Il mio primo pensiero, sui cinque anni,
fu quello di diventare imperatore.
Antonio Delfini, Lo scrittore e le donne
La vocazione è un trasporto interiore,
una tendenza innata che ti conduce a seguire certe attività invece di altre. Ognuno,
nella vita, coltiva la propria vocazione, anche se non sempre ne è cosciente. «Quello
lì – dice la gente – si vede lontano un miglio che è nato per fare il baritono
o l’avvocato o il cercatore d’oro».
La mia vocazione, fin da piccolo, è sempre stata una e una
soltanto: fare il capo, il capo assoluto, incontrastato, ovvero, per dirla in
modo più diretto e non lasciare margini di dubbio, fare il DITTATORE. Sì, non
ho alcun ritegno a confessarlo: mi piacerebbe essere un dittatore, comandare su
tutti, avere sempre l’ultima parola, non essere mai contraddetto o contestato.
Decido io, e basta! Gli altri devono adeguarsi alla mia volontà, altrimenti
peggio per loro, che stiano ben attenti, possono fare una brutta fine.
Quella della dittatura è una vocazione che ho sempre
sentito muoversi prepotentemente dentro di me, cui non posso sfuggire, tanto mi
risulta irrefrenabile. Non c’è nulla da fare: sono nato per ricoprire il ruolo
del dittatore.
Come si diventa dittatori? Non esiste una scuola dove
t’insegnano il mestiere del dittatore, un’università a cui uno s’iscrive per
seguire dei corsi, ad esempio, su «Scienza dell’abolizione progressiva delle
libertà individuali» o «Tecnica delle torture più efficaci per far parlare un
oppositore» o «Storia comparata dei colpi di stato più cruenti nelle società
moderne». Bisogna avere – prima di tutto – la vocazione, sentirsi all’altezza
di questo tipo di attività, che per un verso ha i suoi rischi, ma può riservare
grandi soddisfazioni e benefici non solo in termini economici; bisogna esserci
portato, avere le qualità giuste per esercitare la professione del dittatore. È
una scelta che va ponderata seriamente. Uno si deve allenare ogni giorno,
con impegno e regolarità, per diventare dittatore, seguire un metodo
prestabilito; non è una professione che s’improvvisa quella del tiranno, da
prendere sottogamba, è necessario esserci tagliato, avere l’attitudine al
comando, la lungimiranza dell’uomo forte, altrimenti il rischio è finire male, tragicamente.
La storia è piena di dittatori morti ammazzati, pugnalati, appesi a testa in
giù, fucilati o avvelenati, magari dai propri uomini di fiducia o da un congiunto
traditore. La prima cosa che devi avere per
fare il dittatore è il fisico, il phisique
du rôle, adatto alla parte da interpretare. In primo luogo un dittatore si
caratterizza per la testa quadrata, cioè con tutti i lati uguali, simbolo di
forza maschia, decisionismo, intransigenza. Per fortuna fin da bambino ho avuto
una certa predisposizione naturale alla forma quadrata della testa; per facilitarne
la realizzazione geometrica, a suo tempo, mi feci costruire da mio padre una
specie di imbracatura di ferro da applicarmi intorno alla testa, poggiante
sulle spalle, un telaio metallico in modo che la testa non avesse cedimenti
laterali e si sviluppasse secondo la conformazione desiderata, cioè la
quadratura.
All’inizio i miei compagni di classe, vedendomi con quello
strano arnese in testa, che mi comprimeva le tempie e gli zigomi, mi prendevano
in giro, li sentivo sghignazzare alle spalle; io, senza perdere la calma,
spiegai loro che quel telaio era come l’apparecchio ortodontico che si mette in
bocca a un bambino o a un adulto per far sì che i denti non crescano sbilanciati
in fuori, e loro, dopo un po’, ci fecero l’abitudine, e non mi presero più in
giro, anche perché, quando vennero a sapere che da grande volevo fare il
dittatore, si dettero delle occhiate fra lo stupito e il compassionevole e non
tornarono più sull’argomento.
Un’altra cosa che un dittatore deve avere, dal punto di
vista fisico, sono i capelli corti, cortissimi, quasi rapati a zero, e non lascarsi
allungare la barba, e nemmeno i baffi, che sono segni di decadenza e di
sciatteria. Un dittatore, almeno per l’idea che mi sono fatta io, dev’essere completamente
glabro, liscio come una patata pelata; una peluria eccessiva rimanda all’idea
dei primati, delle scimmie di cui si può dire tutto, ma non che siano degli esseri
viventi con un quoziente d’intelligenza elevato. Gli uomini ricoperti di peli
in tutto il corpo sono ripugnanti, hanno un che di primitivo, di zotico.
Altra peculiarità di un dittatore riguarda le donne, problema
delicato, ma importante. A parte una moglie ufficiale, quella che gli permette
di avere dei discendenti e lo accompagna durante le cerimonie istituzionali, stringendo
le mani dei capi di Stato ricevuti nel palazzo di rappresentanza o incontrati all’estero,
un dittatore deve avere molte amanti, giovani e carine, scelte da lui stesso in
segreto, senza che la prescelta possa rifiutarsi di soddisfare gli appetiti
(insaziabili) del dittatore, pena una condanna esemplare e un castigo terribile
eseguito dalla polizia segreta. Un dittatore, per mantenersi in forma e
rilassarsi dalla fatica che l’esercizio del potere implica (controllare
un’intera nazione in tutti i suoi flussi di comportamento e di smistamento
sociale è una responsabilità immensa), deve copulare spesso, a intervalli
regolari e ogni volta con una femmina diversa, perché cambiare partner mette di
buon umore il dittatore e sopisce, almeno in parte, lo stress che gli viene dalle
preoccupazioni politiche cui deve far fronte tutti i giorni, che non sto qui a
elencare tanto sono evidenti.
Insomma si sarà capito che la mia vocazione, coltivata fin
dall’infanzia, è riuscire con ogni mezzo a diventare un dittatore, un vero e
proprio tiranno a tutti gli effetti e con tutti i crismi, a ricoprire questa
funzione sociale, strategica e significativa, all’interno del mio paese per il
benessere della collettività.
Se riuscirò nell’intento, cioè se un giorno potrò coronare
il mio sogno e dare uno sbocco concreto alla mia vocazione, i primi due provvedimenti
che emetterò, com’è vero Iddio, seduta stante e con esecuzione immediata, saranno
questi:
1) la fucilazione, senza che sia celebrato alcun processo,
di quel mangiapane a tradimento di Remo Alberotti, il cuoco dell’istituto che
mi ospita, colpevole di propinarmi da anni le stesse schifosissime minestrine,
sciapide e con la pastina stracotta dentro il brodo, e tutte le pietanze
comprese nel menu, altrettanto schifose e immangiabili, a giudizio anche degli
altri commensali (stufati con carne dura come il marmo; foglie d’insalata
semimarce lavate male che fra una foglia e l’altra puoi trovarci di tutto, dai
vermi alle conchiglie marine; patate lesse galleggianti in olio da meccanico; affettati
color moribondo; frutta appassita; ecc.). Il provvedimento di fucilazione dell’Alberotti
sarà accompagnato da un’ordinanza suppletiva che impone al suddetto Alberotti,
prima di cadere sotto il fuoco del plotone di esecuzione, di mangiarsi, quale
ultimo pasto da condannato a morte, almeno dieci scodelle di minestrine in
brodo da lui stesso preparate; le scodelle dovranno essere colme fino all’orlo;
2) l’arresto e la deportazione dell’eminente (sic) dottor Fulgido Spinaccioli, gran
figlio di puttana, in una cella sotterranea della fortezza più buia, umida e scalcinata
del paese, fino alla fine dei suoi giorni, con interdizione alle visite di
qualsiasi persona, parente stretto o amico, in modo da porre termine alle
lunghissime, estenuanti sedute in cui Spinaccioli, senza un attimo di sosta, mi
rompeva i coglioni per sapere cosa pensavo di questo o quell’altro concetto
astruso, di questo o quell’altro problema di cui non afferravo un briciolo di senso.
L’unico a poter visitare lo Spinaccioli, grazie a una specifica ordinanza, sarò
io, il dittatore – supremo e insindacabile – e lo farò almeno una volta alla settimana,
non per interrogare quella merda di Spinaccioli e porgli, come disponeva lui durante
le nostre spossanti sedute, chissà quali assurdi rompicapo e frasi
inconcludenti, ma semplicemente per stargli di fronte, faccia a faccia, a un
centimetro dal quel suo naso a becco d’aquila e le sue ridicole sopracciglia
folte, e guardarlo negli occhi, in silenzio, e magari ogni tanto, in deroga allo
spirito dell’ordinanza da me medesimo firmata, sussurrargli scandendo bene le
parole: «Dottor Spinaccioli, lei è un coglione patentato!»
E ritornare a guardarlo, in silenzio.
luglio 2019
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