UNA PASSEGGIATA CHE FA INNAMORARE
Il 16 giugno 1904 James Joyce vede Nora Barnacle, quella che sarà la
sua compagna per tutta la vita, camminare lungo Nassau Street a Dublino
in un modo che suggerisce che sia avvicinabile. Lei girovaga (“sauntering”),
afferma in seguito Joyce. I due si danno il primo appuntamento, una
passeggiata verso il villaggio di Ringsend, sulla riva sud del fiume
Liffey (non a caso l’Ulisse si svolge in un solo giorno, il 16 giugno 1904).
James Joyce e Nora Barnacle Del camminare, come tema dominante, sono piene le pagine della letteratura. Camminare (1971) s’intitola un romanzo breve di Thomas Bernhard che inizia: «Mentre io, prima che Karrer impazzisse, camminavo con Oehler solo il mercoledì, ora, dopo che Karrer è impazzito, cammino con Oehler anche di lunedì». Anche i giorni in cui si cammina sono snodi non indifferenti per il camminatore. I personaggi di Bernhard camminano sempre e solo in una direzione, cioè verso est, il mercoledì, mentre il lunedì camminano verso ovest, e lo fanno più in fretta di lunedì che di mercoledì. Ancora Camminare si chiama una raccolta di scritti buttati giù tra il 1904 e il 1914 sulla poesia del viaggio di Hermann Hesse, come pure Walking (1851), un libro di uno degli esponenti del cosiddetto «rinascimento americano», Henry David Thoreau, e Marcer. Éloge des chemins et de la lenteur (2012) del sociologo e antropologo francese David Le Breton. E qui mi fermo, l’elenco sarebbe lungo, senza però non aver prima ricordato il bellissimo racconto La passeggiata (1919) di Robert Walser, durante la quale si avvicendano incontri sorprendenti, casuali, testimonianza di come passeggiare/camminare trasformi il passeggiatore nell’animo, lo turbi e lo affascini allo stesso tempo, gli procuri profonde emozioni, come accadde a Nora e Joyce che s’innamorarono passeggiando. Così come s’innamorarono durante una passeggiata notturna (galeotta fu la passeggiata!) Jorge L. Borges e la scrittrice Estela Canto (1915-1994), cui lo scrittore argentino dedicò L’Aleph (1949). Di questo grande amore (dirà la Canto che Borges la riempiva di «baci goffi e improvvisi, sempre nel momento sbagliato») accenna Edgardo Scott, scrittore argentino che vive in Francia, traduttore fra gli altri di Joyce e Thoreau, in Viandanti (Caminantes). Il libro di Scott, che ha in esergo la frase di Kafka: «La storia degli uomini è un attimo tra due passi di un viandante», è un mosaico di brevi passaggi letterari (uso non a caso questo termine) di scrittori, e non solo, che hanno parlato del camminare, molti dei quali di area latino-americana. Il libro nasce, come dice l’autore, da un desiderio insoddisfatto di raccogliere, classificare, distinguere i pretesti e le ragioni che ci spingono a camminare. La faccenda non è così semplice come può sembrare. Ci sono vari tipi di passeggiatori, cui Scott dedica altrettanti capitoli. Si va dal flâneur, associato al dandismo, che prorompe a inizio Ottocento nella scena parigina, figura incarnata da Baudelaire, al passeggiatore, in genere un solitario, uno che medita mentre passeggia, esplora, sogna. Poi ci sono gli walkmans che camminano ascoltando musica, e i vagabondi il cui cammino, incerto e confuso, sembra non avere senso, barboni, questuanti, che vogliono solo vagare. Infine, ci sono i pellegrini, crociati li definisce Scott, uomini retti dalla fede, che vedono nella passeggiata qualcosa di sacro. Fra i pellegrini, Scott include Van Gogh, che cammina nei dintorni di Auvers-sur-Oise per dipingere, produce ottanta dipinti in settanta giorni, è un pellegrino allucinato che dipinge fino allo sfinimento. Il libro si chiude con una nota personale: Scott è sugli Champs-Élysées, li percorre in mezzo a una folla di turisti che si sposta, si muove, ma non passeggia, è un gruppo di opas, parola rioplatense che significa «cretino, fesso», che non va da nessuna parte. Edgardo Scott Viandanti traduzione di Alessandro Gianetti, Italo Svevo, pagg. 135, € 16
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