Paolo Albani
IL VENETO 
COME LINGUA UNIVERSALE



Il sogno di una lingua universale (LU), cioè di una lingua ausiliaria parlata da tutti gli uomini della terra, non è mai svanito. Periodicamente ricompare, nelle forme più strane, vagheggiato spesso da paladini di utopie in pensione o da linguisti della domenica.
Alcuni anni fa questo sogno ha attraversato la vita di Angelo Faccioli (1888-?).
Di Faccioli non sappiamo nulla, se non che all’inizio del secolo, verso il 1931, sotto il cielo di Volpare, un sobborgo di Villafranca di Verona, ha elaborato un progetto di LU basato sul dialetto veneto, il «dialeto più simile al latin, più breve di esto e d’on’i lingua sorela».
 Secondo la “teoria scientifica della parola” del Faccioli la parola vera è quella che meglio ritrae l’armonia imitativa e il senso interno delle cose e la lingua "milior" è quella più in armonia con le leggi dell’arte e del pensiero. Una lingua non è un’invenzione arbitraria, ma una creazione dello spirito umano che apprende con facilità quello che è vero secondo la logica o la filosofia del linguaggio. La LU dev’essere la lingua più logicamente vera, la più adatta all’arte oratoria e letteraria; dev’essere semplice e viva, nata dalla lingua morta migliore, cioè il latino, corretta secondo i princìpi fondamentali dell’idioma naturale, abbellita, sostenuta dal pensiero forte degli scrittori abili. Il dialetto veneto - ben parlato, pulito, ingentilito, senza doppie, con troncamento delle parole che rende poetico, vivace e robusto un idioma, oltre che telegrafico per la soppressione quasi completa dell’articolo - si presta perfettamente al compito di LU. All’inizio degli anni cinquanta Faccioli stampa una serie di periodici, intitolati Lingua de Nazioni e La Lingua Universale, per propangandare l’Italiano moderno, cioè il suo “italiano-veneto”. In un opuscolo stampato il 25 gennaio 1950 dall’Editrice “Estremo Oriente” di Villafranca di Verona e conservato con il numero 7255 nel Fondo Bruno Migliorini presso l’Accademia della Crusca a Firenze, Faccioli annuncia «il più grande avvenimento letterario del secolo» ovvero la nascita della vera LU, la cui culla è il Veneto, e propriamente Villafranca dove si parla il più musicale e semplice dialetto italiano.



  I fondamenti dell’Italiano moderno sono: 1. «quante unità di suono, tante unità di segno»; 2. «per solo suono, solo segno»; 3. «a suono eguale, segno eguale». L’alfabeto della LU è costituito da 22 lettere:

a b(e) che de e fe ge ce i le me ne (gne) o pe ghe re se te u ve ze

Il suono, sempre invariato, si ottiene levando la “e”. Faccioli sottolinea che il dialetto veneto non ha “alcun suono aspirato come in Toscana e altrove, né la doppia”, ma solo suoni “chiari, precisi, ben definiti, inconfondibili”. È breve e armonioso come si deduce da questo piccolo esempio: la frase “Sono andato al mercato e ò comperato un paio di buoi” (lettere 42) assume la forma abbreviata di "Son andà al mercà e ò conprà un par de bo" (lettere 31).
Il dialetto veneto ha una grafia perfetta, degna di essere imitata: troppe ascendenti o discendenti, segni diacritici, o disarmonici come “j”, “k”, “x”, “y”, deformano la grafia “ch’è scienza e arte pedagogica a servizio della vita”. Faccioli è molto sensibile all’estetica grafica perché essa si risolve in igiene visiva. In caso di omonimi l’Italiano moderno adopera l’accento grave per la voce più forte (fatto fato; fato fàto; mese meze; mezze mèze); sono omesse la “i” atona in "cia, cie, cio, ciu, gia, gie, gio, giu" (società socetà; igiene igene) e la “i” e la “d” eufoniche; è naturale poi che non si scriva la “g” di "gli" se muta (figlio filio). 
Il dialetto veneto non usa “passato e trapassato remoto, il più irregolare e difficile tempo dei verbi italiani”; questi due tempi si traducono col passato e trapassato prossimo o con una locuzione equivalente, così “nacque” è "nato" oppure “quando ebbe ricordato” diventa "cuando aveva ricordato". La parte morfologica -remmo del condizionale è sostituita dal veneto -ésimo: saremmo, avremmo si trasformano in saresimo, avresimo.
Ancora: ogni vocale forma sillaba (questo cu-e-sto); l’accento circonflesso, non esistendo nel Veneto vocale lunga, è abolito; le preposizioni articolate con “ll” e “gli” conviene smembrarle (dello de lo; degli de li). Per non dare luogo a errore o incertezza di pronuncia, nel vocabolario della LU portano l’accento tutte le sdrucciole e bisdrucciole e le vocali “e” “o” quando sono aperte. Le parole di altre lingue si scrivono come suonano: Bordeaux Bordò, Shakespeare Sèspir.
 Nella nuova LU da lui inventata Faccioli scrive lettere, poesie, traduzioni di passi biblici. Ecco un breve testo in Italiano moderno: "La vera LU è la baze de la nòva hiviltà. Le invenzioni e le scoperte atuali non consentono più oltre la sciavitù de la parola. Le comunicasioni fra nasione e nasione, ogi ance istantànee mediante la radio, riciedono una linqua comune, per non dovere ignorare o aver bizogno di traduzioni".
Frequentissima nel Veneto è la terminazione in “l”, “n”, “r”, pregio che - fa notare Faccioli - conferisce musicalità e robustezza al linguaggio, così da renderlo adatto alla migliore poesia.
 In conclusione Faccioli dichiara che il dialetto veneto, non come lo parla il popolo, ma come lo deve parlare l’erudito, lo scienziato della parola, nella sua chiara semplicità e vigorosa bellezza, si presta “a essere tornito per farne uscire il capolavoro della LU”. Quest’ultima, una volta affermatasi come lingua ufficiale delle nazioni, cioè fra 400-500 anni, diffonderà nel mondo dei dotti una nuova filosofia denominata Universalismo, dalla quale discenderà il governo universale dell’avvenire.
Perciò si raccomanda di conservare accuratamente tutti gli “incunaboli” della vera LU perché nei secoli lontani “saranno ricercati come preziosi cimeli”.
Al termine del “primo documento storico” dell’Italiano moderno Faccioli annuncia che «nel luogo [presumibilmente Villafranca, n.d.r.], donde è uscita la prima voce in LU, sarà costruita "la prima sede della LU". I nomi di coloro che, per la sua costruzione, liberamente doneranno da 1.000 a 10.000 Lire, saranno tramandati alla storia a mezzo delle pubblicazioni documentarie. Quelli che elargiranno somme maggiori, avranno inoltre l’onore del marmo nella Sede stessa, destinata certo a divenire “monumento e ricordo presso le età future”».


«il Caffè illustrato», 4, gennaio/febbraio 2002, pp. 8-9.



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