Paolo
Albani
L'UOMO CHE LEGGEVA
I
LIBRI
SENZA APRIRLI
Qualche anno fa presso la
biblioteca comunale di Kladno, una cittadina
non lontana da Praga, era impiegato un giovane bibliotecario, Josef
Erben,
che si vantava di riuscire a leggere i libri senza aprirli; gli bastava
guardarli, benché chiusi, per riprodurre ad alta voce il loro
contenuto,
parola per parola, dalla prima all'ultima pagina. Era un dono di
natura,
diceva Erben, manifestatosi presto, fin dall'adolescenza.
Come facesse a leggere i libri senza aprirli resta tuttora un
mistero.
Di solito, quando si esibiva davanti a un gruppetto di curiosi
venuto lì nella biblioteca di Kladno per verificare le sue doti
di «lettore particolare», Erben si avvaleva quasi sempre di
un libro di Kafka o di Čapek o di Hrabal, ma anche di altri scrittori
cechi,
comunque dichiarando in anticipo, per correttezza, l'edizione su cui
avrebbe
basato la sua «lettura».
Il giorno della dimostrazione, in una saletta concessagli dal
direttore, il giovane bibliotecario poneva il libro, naturalmente
chiuso,
su un vecchio leggio di legno; poi, per richiamare l'attenzione degli
spettatori
e invitarli al silenzio, si schiariva la voce passandosi allo stesso
tempo
una mano fra i capelli biondi folti, lentamente, con un gesto
calcolato,
da teatrante, perché gli piaceva fare un po' di scena. A questo
punto cominciava a «leggere».
Il libro (qualche volta ancora intonso) lo leggeva partendo
dall'inizio,
in modo enfatico, senza distogliere lo sguardo dalla copertina, proprio
come se avesse avuto la capacità di afferrarne il contenuto
dall'esterno,
di penetrarlo con gli occhi seguendo, sul recto e sul rovescio di ogni
foglio, la morfologia esatta dell'impaginazione.
Ogni tanto Erben faceva delle pause e allora, come stabilito,
qualcuno ne approfittava per chiedergli di cominciare a
«leggere»
da una certa pagina, per esempio da pagina 27 di quella tale edizione
de
Il
processo o dei Treni strettamente sorvegliati; a volte,
nell'intento
di mettere Erben in difficoltà, lo spettatore gli indicava anche
il numero del capoverso: «Il terzo dall'alto».
Alla richiesta il giovane bibliotecario, che in quei momenti
si sentiva come un attore sul palcoscenico, muoveva leggermente la
testa
all'indietro e chiudeva gli occhi, concentrandosi; dopo di che,
fissando
la copertina, attaccava a «leggere» proprio dal punto
suggeritogli,
senza sbagliarsi mai né dimenticandosi una sola parola del testo
che aveva davanti, sebbene il libro fosse materialmente chiuso sul
leggio.
L'unica spiegazione plausibile del fenomeno, quella di buon
senso,
è che Erben avesse imparato a memoria tutte le opere di Kafka,
di
Čapek e di Hrabal, e di chissà quanti altri autori cechi,
visualizzando
nella sua mente attraverso una sofisticata tecnica mnemonica la
struttura
dei libri scelti, e dunque che fosse diventato una specie di
«biblioteca
vivente», come quel vecchio studioso - ne parla Alberto Manguel
in
Una
storia della lettura - che, in un campo di concentramento tedesco,
si offrì, sapendo a memoria parecchi classici, di fare da biblioteca
ai suoi compagni di prigionia affinché potessero leggere.
«Immaginavo» - scrive Manguel - «il vecchio in quel
luogo
implacabile, opprimente, disperato, mentre qualcuno gli si avvicinava
per
chiedergli Virgilio o Euripide, aprire se stesso a una certa pagina e
recitare
le antiche parole per i suoi lettori senza libri».
"il Caffè illustrato", 37-38, luglio/ottobre 2007,
p. 6.
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