Paolo Albani
LE ULTIME PAROLE
Negli ultimi tormentati mesi
della sua vita, colpito da un ictus che
gli procurò un’afasia senza speranza, Baudelaire conservò
la facoltà di pronunciare una sola parola: «Crénom!
(Diamine!)», che resisterà ossessivamente sulle sue labbra
fino alle undici del mattino di quel triste sabato 31 agosto 1867.
A dire il vero, in una nota del Journal des Médecins
del 27 dicembre 1890, il dottor Cabanès afferma di aver saputo
dal
fotografo Nadar che Baudelaire «col dito puntato verso il sole
abbagliante
si lasciò sfuggire tre parole: “guarda!, Bello, Dio”» e
che
«queste furono le sue ultime parole». Cabanès
aggiunge
inoltre di aver sentito bene, pronunciata da Nadar, che l’avrebbe colta
sulle labbra di Baudelaire, anche la B maiuscola di
«Bello».
Il sospetto che una buona dose d’«invenzione letteraria»
si annidi nel suggestivo resoconto di Cabanès è forte.
Comunque
sia, al di là dei riscontri storici, e del loro prestigio, ci
piace
credere che, nel caso del poeta francese che amava così tanto il
nettare di Bacco, oltre ai profumi e ai fumi di altre sostanze
eccitanti,
resti proprio «Crénom!» l’espressione più
adeguata
a suggellarne il distacco dalla vita.
Alle ultime parole degli uomini illustri, cioè a quelle
pronunciate da alcuni di essi in punto di morte, e dunque circondate da
un’aureola di solennità, ha dedicato un interessante studio
David
Brackett, professore di Antropologia culturale all’Università di
Manchester, ora pubblicato con il titolo At the point of death
(London,
Wieser & Wieser, £ 12,00), che va ad aggiungersi ad una ricca
collezione di libri tanatologici fra cui spiccano per accuratezza e
vastità
tre dizionari: Dictionary of Last Words di Edward Le Comte (New
York, Philosophical Library, 1955), Dictionnaire de la mort di
Robert
Sabatier (Paris, Albin Michel, 1967) e Dictionnaire de la mort des
grandes
hommes di Isabelle Bricard (Paris, Le Cherche Midi éditeur,
1995).
Nel saggio di Brackett sono riproposte, con un breve commento che serve
più che altro ad inquadrare storicamente il personaggio in
questione,
le frasi - molte delle quali famose, passate alla storia - che
letterati,
uomini di scienza, artisti, politici hanno (o più correttamente avrebbero)
detto un attimo prima di abbandonare questo mondo.
Sono frasi che rispecchiano, a volte in modo drammatico, la
personalità
del morente, frasi singolari, emblematiche, come quelle riportate in
questa
piccola silloge:
Lope de Vega:
«Dante mi ha sempre annoiato».
Johann Wolfgang Goethe: «Luce... Più
luce!»
Napoleone: «Mio figlio... Testa...
Armata...».
Gertrude Stein: «Qual è la domanda?
Qual
è la domanda? Se non c’è la domanda, non c’è
risposta».
Auguste Rodin: «E dicono che Puvis de
Chavannes
non è bello!»
François de Malherbe: «Non mi
parlate più,
il vostro pessimo stile mi disgusta!»
Jean-Antoine Watteau: «Toglietemi quel
crocefisso!
Come ha potuto un artista riprodurre così male i tratti di
Dio!»
Georges Bernanos: «A noi due!»
Victor Hugo: «Vedo una luce nera».
In certi casi Brackett ha
lavorato su documenti inediti, elemento che
ha contribuito non poco a dare un’impronta originale alla sua ricerca.
Ad esempio, grazie ad una lettera rinvenuta nell’archivio di Lord
William
Oglander, spedita in data 19 settembre 1724 dalla tenuta di campagna
nel
Lancashire del gentiluomo inglese, Brackett ha potuto accertare che il
fisico Samuel Richard Charrington, professore emerito
dell’Università
di Cambridge e amico di Oglander, con il quale condivise la passione
per
le stelle e i cavalli, si spense all’età di novantadue anni
emettendo
un prolungato: «Ahhhhhh!», e che la causa di quel grido fu
il nipotino di Charrington, Thomas, un tredicenne che pesava circa 112
chili. Sedutosi ai bordi del letto del nonno morente, per vederne da
vicino
la sofferenza sul volto, il ragazzone non si accorse che era
sprofondato
con tutto il suo peso sopra un ginocchio del vegliardo.
Nel pomeriggio del 7 aprile 1848 il pittore ungherese István
Vörösmarty, famoso in tutto il mondo per i suoi quadri che
raffigurano
scorci di paesaggi visti dai ponti sul Danubio e sul Tibisco,
morì
in una stanza d’albergo a Kecskemét inveendo contro la sorella
minore
che da mesi lo accudiva, perché la poveretta, come al solito,
gli
aveva zuccherato troppo il tè. Prima di chiudere gli occhi per
sempre,
lasciando cadere sul pavimento la tazzina di porcellana,
Vörösmarty
ebbe il tempo di dire: «Maledizione a te, Stéfania,
è
troppo dolce, dannatamente dolce!»
Brackett racconta che il cuore di Alfred von Eschenbach, noto esponente
del partito liberale-nazionale ai tempi di Bismarck, non resse quando,
il 23 gennaio 1882, l’anziano uomo politico di Dresda, febbricitante
per
via di una polmonite, dopo aver vagabondato per casa completamente
nudo,
s’immerse nella vasca da bagno piena d’acqua gelata. Un attimo prima
aveva
confidato al segretario (e furono quelle con ogni probabilità le
sue ultime parole): «Ho caldo».
Nel diario tenuto dal marito di Anna Celakovský, per un decennio
prima ballerina del Teatro Nazionale di Praga, sono descritte le ultime
ore della grande artista ceca che un giorno (per l’esattezza il 14
aprile
1901), drizzandosi a fatica sul letto, protese le braccia in avanti e,
rivolta al medico di famiglia che la visitava, prima di spegnersi,
disse
con una voce rauca: «Fatemi scendere!», come «se
qualcuno»
- scrive il marito Karel Biebl - «l’avesse presa per i fianchi e
sollevata da terra, tenuta lì, sospesa per aria, in un ultimo,
vibrante
passo di danza».
dicembre 2002
HOME
PAGE TèCHNE
RACCONTI
POESIA
VISIVA
ENCICLOPEDIE
BIZZARRE ESERCIZI
RICREATIVI NEWS
|