Paolo Albani
TROMPE-L’ŒIL


Da quando Eleonora mi ha lasciato e se n’è andata a vivere a Buones Aires con il suo nuovo compagno (saranno passati ormai quasi cinque mesi) io vivo da solo in casa. Oddio, non è proprio esatto dire che vivo da solo perché in qualche modo Eleonora è rimasta da me, la vedo tutti i giorni, mangiamo insieme, ci facciamo lunghe chiacchierate.

            Non vorrei essere frainteso, però. Ora mi spiego.

         Sembra che Max Weber, il grande sociologo tedesco, l’autore di L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, quand’era a Parigi, da giovane, avesse l’abitudine, passeggiando per i parchi, di dialogare con le statue sui problemi e i drammi della vita sociale. A un certo punto s’era anche messo in testa di scrivere un libro e di intitolarlo Conversazioni con le statue.

          Perché dico questo?

          Perché l’altro giorno ho incontrato un mio vecchio amico, Filiberto Norini, che non vedevo da anni, ci siamo incrociati all’inaugurazione di una collettiva dedicata ai libri d’artista in una galleria di Firenze gestita dal fratello di un amico comune. Ma tu guarda un po’ il caso. Filiberto è pittore e mi dice, quando c’incontriamo in quella galleria, che in questo periodo si è innamorato dei trompe-l’œil che, com’è noto, è una parola francese che significa letteralmente «inganna l'occhio»; infatti il trompe-l’œil, come si legge su Wikipedia, è un genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell'osservatore l'illusione di stare guardando oggetti reali e tridimensionali, in realtà dipinti su una superficie bidimensionale.

            Ecco, Filiberto mi dice che da qualche tempo a questa parte sta facendo un sacco di trompe-l’œil, li sta facendo su commissione; ormai si è guadagnata una certa buona reputazione e la gente lo chiama per fare, che ne so, una finestra finta sulla facciata di un edificio oppure delle figure umane su una parete, tipo quel bambino con gli occhi sbarrati che esce da una cornice.

            − L’hai mai visto questo trompe-l’œil? – mi chiede Filiberto.

            − No – rispondo io.

         − È un trompe-l’œil dipinto da un certo Pere Borrell del Caso, un pittore catalano del secolo XIX, e s’intitola In fuga dalla critica. È famoso, sai, questo dipinto eseguito nel 1874. L’hanno esposto di recente in una bella mostra a Palazzo Strozzi dedicata alle «Meraviglie del trompe-l’œil dall’antichità al contemporaneo» –

            Mentre Filiberto mi parla delle «meraviglie del trompe-l’œil», d’improvviso dentro di me scatta qualcosa, sento affiorare un pensiero, una di quelle idee che non ti sarebbero mai venute in mente se qualcuno, involontariamente, non te l’avesse suggerita.

            L’occasione è troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire, perciò ne parlo subito con Filiberto, lì in galleria. Lui, all’inizio, sembra non capire, rimane perplesso, mi dice che l’operazione, nel modo in cui gliel’ho prospettata, ha un che di perverso, di ossessivo.

            − Sei sicuro che sia una buona idea? Non pensi che potrebbe farti del male? – mi chiede quasi imbarazzato, guardandomi ora in maniera strana, come se avesse davanti a sé un’altra persona, diciamo uno sconosciuto un po’ fuori di testa.

            Ma io insisto, sicurissimo sulla cosa da farsi, anzi sono già un po’ eccitato al solo pensiero di vederla realizzata quell’idea che mi è frullata in testa e alla fine, forse anche valutando il compenso non proprio indifferente che ne avrebbe ricavato, Filiberto accetta; del resto questo è il suo lavoro, lui da sempre fa il pittore.

            − Se proprio insisti… – mi dice.

        In poco tempo prendiamo gli accordi del caso, orari, parcella, tempo previsto di esecuzione, ecc., gli lascio il mio indirizzo e dopo qualche giorno Filiberto si presenta a casa mia con tutto il necessario, matite, pennelli e colori, e si mette al lavoro.

 

            Oggi se venite a casa mia, entrando, sulla parete del corridoio esattamente di fronte alla porta d’ingresso, vi accoglie l’immagine iperrealista di una sorridente Eleonora, a dimensione reale, vestita con una blusa color amaranto (la sua preferita) leggermente sbottonata sul seno, i bluejeans e le scarpe da ginnastica che poggiano sul pavimento. L’espressione di Eleonora è fermata nell’attimo di allungare la mano destra in segno di saluto. Ho notato che qualcuno, non appena apro la porta, rimane interdetto e quasi si spaventa, sapendo che vivo da solo, davanti alla vista improvvisa del trompe-l’œil di Eleonora, disegnato così bene, nei minimi particolari (le manca solo il respiro), che all’inizio scambiano Eleonora per una persona vera, in carne e ossa.

            Ma non basta. In cucina ho spostato il tavolo dove mangio (e dove alcuni mesi fa mangiavamo insieme, io e Eleonora), l’ho accostato più verso il muro e sul muro, nella posizione che guarda diritta al posto in cui sto seduto io, ho fatto disegnare Eleonora, anche lei seduta su una sedia (uguale alle altre tre che stanno intorno al tavolo) mentre sorseggia del vino e mi guarda con un’aria tenera, molto dolce, gli occhi di un verde penetrante. Filiberto ha superato se stesso, è stato bravissimo. Anche qui, in cucina, Eleonora non sembra dipinta, è talmente credibile nelle sue fattezze, magicamente proporzionate, che mi aspetto da un momento all’altro che poggi il bicchiere sul tavolo e risponda alle mie domande o faccia dei commenti critici (com’è nel suo stile: Eleonora è molto esigente, anche nel quotidiano) alle mie riflessioni esistenziali.

            In camera da letto ho cambiato posizione al mio lettone matrimoniale; prima stava al centro della stanza, ora invece l’ho appoggiato a una parete e sulla parete si vede Eleonora in camicia da notte, di profilo, con le gambe sollevate a vu appena nascoste dalle lenzuola marroni (ho comprato cinque paia di lenzuola e federe marroni in modo da restare sempre in sintonia con il trompe-l’œil disegnato da Filiberto in questa stanza). A letto Eleonora legge un libro e il libro, si vede perfettamente dalla copertina, è Cent’anni di solitudine di García Marquez (quando ci siamo conosciuti all’università, Eleonora stava leggendo quel libro). A dire il vero, a proposito della camera da letto, io avevo proposto a Filiberto di disegnarmi Eleonora intenta a leggere Marquez, ma senza nulla addosso, completamente nuda, con le sue tettine belle dritte, sdraiata vicino a me, ma lui si è rifiutato. È di cattivo gusto, ha detto. E poi pensa se viene a trovarti tua madre…

            Nel mio studio, sulla parete di fronte allo scrittoio, ho fatto disegnare la classica finestra finta, accanto a quella vera. La finestra simulata è aperta, di modo che s’intravedono, come pure dalla visuale della finestra vera, le punte degli alberi del giardino condominiale. Eleonora è in piedi, di schiena, affacciata alla finestra, di nuovo indossando la solita blusa amaranto e i bluejeans che le mettono in risalto il suo bel culo rotondo che ogni tanto, quando mi prende la nostalgia, accarezzo delicatamente (un gesto, nell’intimità, che a Eleonora è sempre piaciuto), cercando di far evaporare mentalmente la freddezza dell’intonaco che il contatto della mia mano non può fare a meno di registrare.

 Filiberto è stato più di tre mesi a lavorare a casa mia. Non mi soffermo però su tutti i trompe-l’œil che ha eseguito in modo straordinario, ci vorrebbe troppo tempo; aggiungo solo che in terrazza c’è un trompe-l’œil che raffigura Eleonora mentre annaffia le piante, e l’acqua che esce dall’annaffiatoio è così nitida che sembra vera; nel ripostiglio, in fondo al corridoio, si vede Eleonora impegnata a stirare una camicia da uomo su un asse da stiro, altrettanto fittizio e piatto come lei − una scenetta domestica superbamente realistica, grazie alla bravura di Filiberto: mentre stira Eleonora ha lo sguardo rivolto verso l’osservatore del trompe-l’œil e fa un bel sorriso; in bagno, sulla tendina della doccia, si vede bene il profilo del suo corpo, come se lei fosse davvero dentro la doccia, con una mano alzata che si friziona i capelli.

            Adesso sarà chiaro, spero, perché all’inizio ho detto che non vivo da solo. In ogni angolo della mia casa c’è un trompe-l’œil di Eleonora, una sua immagine, perfettamente realistica, che mi guarda, mi sorride e mi tiene compagnia. Ci parlo spesso con Eleonora, come faceva il giovane Weber con le statue dei parchi di Parigi, e se devo essere sincero ho l'impressione che, da quando ci troviamo a vivere questa nuova forma di convivenza, lei sia diventata più conciliante, più giudiziosa, al limite della premura. Adesso non si perde una sola parola di quello che le dico.


gennaio 2015

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Questo racconto è stato inserito in Convivenze, antologia di racconti "contro il logorio dell'amore", con testi di Paolo Morelli, Paolo Pergola e altri, e-book edito da walkabout agenzia letteraria (che poi è la mia agenzia).




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