TENTATIVO DI
CLASSIFICAZIONE Premessa Definisco biblioteca, afferma
Georges Perec (di cui quest’anno, 2012, ricorre il trentennale dalla morte), un
insieme di libri raccolto da un lettore non di professione per il proprio
piacere e uso quotidiano. La definizione perecchiana esclude le collezioni dei
bibliofili e le rilegature a metraggio, ma anche la maggior parte delle
biblioteche specializzate (quelle dei professori, per esempio), poiché i loro
problemi particolari sono affini a quelli delle biblioteche pubbliche (Perec
1989, p. 27, nota 1). Il problema delle biblioteche (quelle
reali), osserva sempre Perec, è duplice e riguarda prima di tutto lo spazio
fisico e poi quello, decisamente arduo, di come ordinare i libri che vanno a
formare una biblioteca, specie quando il loro (dei libri) numero raggiunge
cifre ragguardevoli. I modi di sistemare i libri sono vari, si può seguire ad
esempio, come suggerisce lo stesso Perec, l’ordine alfabetico (il più ovvio)
oppure un ordine per continenti o paesi, per colore, in base alla data di
acquisto, secondo la data di pubblicazione, per formati, per generi, seguendo i
grandi periodi letterari, per lingua, per priorità di lettura, per rilegature,
per collane, e altro criterio ancora, a seconda dei propri gusti e delle
proprie esigenze. Nel nostro caso, occupandoci di biblioteche immaginarie o pseudobiblia o, per dirla con Max Beerbohm, di abiblia, cioè di raccolte di libri mai scritti, inesistenti, inventati dalla fantasia di scrittori o di bibliofili burloni, il problema dello spazio in senso stretto non si pone. Nel nostro caso i libri non esistono sulla carta, o meglio in carta, sono solo delle proiezioni fantasiose, dei reperti potenziali. Il che per altro non sminuisce il loro fascino bibliografico. Solo che per sistemarli non abbiamo bisogno di scaffalature in legno o in metallo, di locali specifici adibiti alla conservazione e alla lettura. Trattandosi di biblioteche costituite solo da inventari o cataloghi, ma che non collezionano libri veri, tangibili, concreti, e che perciò non ricevono finanziamenti ministeriali, di cui non hanno bisogno, possiamo immaginare con Ermanno Cavazzoni che queste singolari biblioteche siano luoghi accoglienti muniti di panchine, alberelli ben tosati, la vista su un lago, merli che razzolano e così via dicendo (Cavazzoni 2004, p. 261). Resta invece, anche nel caso delle biblioteche che non esistono, il problema di come classificarle, di come sistemarle in un ordinamento esaustivo e convincente. Impresa su cui si sono cimentati in molti; fra i più attrezzati in questo campo Roberto Palazzi che, a proposito di «libri inesistenti e immaginari», distingue fra: a) libri stampati, ma non pubblicati; b) libri citati in bibliografia, ma in realtà mai esistiti; c) libri cassati dai cataloghi storici delle case editrici; d) libri annunciati, ma non pubblicati; e) libri che risultano stampati, ma di cui a tutt’oggi non sono stati trovati esemplari; f) libri inventati, e infine g) libri che l’autore non si rende conto di avere scritto (a quest’ultimo genere appartengono quelle opere pubblicate, generalmente postume, cui l’autore aveva però rinunciato) (Palazzi 2002). Per parte nostra, ribadendo che ci occupiamo di biblioteche, sia pure immaginarie, ovvero di collezioni di libri inventati (dunque non prendiamo in considerazione l’autore che in un suo libro ha inventato uno, due o comunque pochi libri sparsi qua e là nel testo, non strutturati in biblioteca), adotteremo questo tipo di suddivisione:
Biblioteche immaginarie contenute in opere letterarie Biblioteche immaginarie comprese in repertori appositamente creati Biblioteche immaginarie allestite da falsari Biblioteche immaginarie formate da libri mai scritti
Biblioteche
immaginarie contenute in opere letterarie L’invenzione di biblioteche di libri inesistenti all’interno di opere letterarie è ormai da ritenersi un vero e proprio genere letterario (Albani 2007). Il caposcuola di questo genere è senza alcun dubbio François Rabelais. Durante i suoi studi all’Università di Parigi, prima del 1528, Rabelais frequenta la biblioteca dell’abbazia di San Vittore, importante centro di studi religiosi, ricca di libri di teologia, di scolastica, di giurisprudenza, di polemica religiosa. Ispirandosi a questa celebre biblioteca, essendo «un buon bibliografo e anche un sincero bibliofilo», Rabelais redige un catalogo burlesco dove si fa beffa di quella scienza scolastica e teologica e lo riporta nel capitolo VII del Libro secondo del Gargantua et Pantagruel (1532-1564). Un buon numero dei titoli elencati in quel catalogo sono puramente scherzosi e immaginari, altri si riferiscono ad autori e opere realmente esistenti. Sulle identificazioni proposte dagli studiosi sussistono divergenze. Uno degli studi più approfonditi e interessanti sul Catalogue de la Bibliothèque de Saint-Victor di Rabelais è stato condotto da Paul Lacroix (1806-1884) in un libro a firma «Le Bibliophile Jacob» (Lacroix 1862). All’analisi dei libri inventati da Rabelais Lacroix fa precedere un capitolo intitolato «Notice sur la bibliothèque de l’abbaye de Saint-Victor». La tesi di fondo di Lacroix è che «Rabelais, inventando, o piuttosto travisando un titolo di libro, ha sempre avuto sotto gli occhi o nella sua mente un libro stampato o un manoscritto, se non di più, come punto di partenza. È questo che distingue il catalogo della biblioteca di San Vittore da tutti i cataloghi di libri immaginari che sono stati fatti dopo a imitazione di Rabelais». Ecco alcuni titoli, nella bella traduzione di Augusto Frassineti, tratti dalla biblioteca inventata da Rabelais: Ars honeste petandi in societate, di mastro Ortuino Cariola salutis De modo
cacandi Sui piselli al prosciutto (cum commento) Il coglionatico dei Promotori ecclesiastici Lo spetazzamento
dei copisti Almanacco
perpetuo per gottosi e impestati Anti-peri-cata-meta-perlamadosca-amfi-cribationes
fratrum merdicantium Il
friggiculo dei poetastri Il tric
trac dei monaci puttanieri De vita et
honestate bellimbustorum, di mastro Buzzurro Le palle-pendule
dei viaggiatori La
martingala dei cacatori De origine
gattemortuarum et torticollorum ritibus (libri septem) Cacatorium
medicorum Il tirapeti degli speziali Il
secolo XVI è ricco di emuli di Rabelais in materia di biblioteche inventate;
naturalmente il fenomeno prosegue anche nei secoli successivi; in questo
paragrafo ne diamo conto riportando alcuni esempi significativi (Albani e della
Bella 2003). Nel
1551 esce a Venezia La seconda libraria dello scrittore e poligrafo
fiorentino Anton Francesco Doni (1513-1594), secondo di due cataloghi ragionati
di opere a stampa e di manoscritti (la prima Libraria è del 1550),
«opera utile a ciascuno che si diletta della lingua volgare». Dedicata «a
coloro che non leggono», La seconda libraria è un catalogo di libri
rari, che l’autore ha «veduto a penna» perché composti non per «venire a
stampa», e di cui fornisce in numerosi casi delle schede riassuntive. Una
particolarità de La seconda libraria è che molti degli autori e delle
opere segnalati da questo bizzarro scrittore sono inventati. La seconda
libraria si chiude con un «Discorso sopra l’Academie d’Italia, titoli,
cognomi, e opere, scritte vulgarmente. Però di coloro che se n’è potuto haver
cognitione», dove sono descritte in modo sintetico le opere di Accademici con
nomi stravaganti, come ad esempio «Il Fogna», «Il Moscione», «Il Lunatico», «Lo
Svogliato», «Il Rapito», e via di questo passo. Nel
1590 a Strasburgo viene stampato un libro che mette in burla e si prende gioco
dei cataloghi di libri. Ne è autore il poeta tedesco Johann Fischart
(1546-1590), soprannominato Mentzer. L’edizione autonoma è stampata da Bernhard
Jobin, che ha sposato la sorella di Fischart, Anna, nel 1567. Notevole come
inventore e manipolatore di parole e quale creatore di giochi e di combinazioni
linguistiche, Fischart traduce in tedesco, effettuando numerose aggiunte, il
Primo Libro del Gargantua e Pantagruele di Rabelais. Fra
gli esempi migliori di
cataloghi fantastici - per altro sfuggiti all’occhio attento di Gustave Brunet,
uno degli studiosi più autorevoli nel campo delle «biblioteche immaginarie» -
sono da un lato il Catalogus librorum aulicorum incomparabilium et non
vendibilium, elaborato negli anni 1603-1611 dal poeta e predicatore inglese
John Donne (1572-1631) e pubblicato postumo a Londra nel 1650 da John Marriot e
dall’altro il Musaeum Clausum, or Bibliotheca Abscondita containing some
remarkable Books, Antiquities, Pictures and Rarities of several kinds, scarce
or never seen by any man now living del medico e scrittore inglese Thomas
Browne (1605-1682), uscito nel 1684 a Londra presso l’editore Charles Mearne.
Il primo testo è un’«immaginaria biblioteca per cortigiani», ricca di 34 titoli
inventati attribuiti ad autori veri, una satira di libri politici, religiosi e
letterari. Il titolo n. 8, The Judaeo-Christian Pythagoras di John
Picus, alias Pico della Mirandola, riguarda la dimostrazione che i numeri 99 e
66 sono uguali se si tiene rovesciato il foglio; il n. 13, On shortening the
Lord's Prayer, ovvero Sull’abbreviazione del Paternostro, è attribuito a
Martin Lutero, mentre il n. 18, assegnato da Donne a san Bonaventura, è il De
Particula ‘Non’ a decalogo adimenda, et symbolo Apostolorum adjicenda, un
libro dove s’invita a sopprimere il «non» dai Comandamenti. Nel secondo
catalogo Browne elenca 20 titoli in tutto: il n. 1 è un poema di Ovidio Nasone,
Ab pudet & scripsi Getico sermone Libellum, scritto in lingua getica
durante il suo esilio a Tomi; il n. 9 un erbario sottomarino, A Sub Marine
Herbal, dove sono descritte molte piante trovate nelle rocce, colline,
valli, prati sul fondo del mare; il n. 14 l’Oneirocritica del re
Mitridate. Nella terza sezione, dedicata alle «Antiquities and Rarities of
several sorts», Browne registra una serie di curiosa naturalia e artificialia,
tipici dei gabinetti di curiosità, come la miniatarizzazione della battaglia di
Alcazar incisa su un uovo di struzzo o quella della Batracomyomachia
raffigurata sulla mascella di un luccio. L’INDICE
UNIVERSALE DELLA LIBRARIA O STVDIO DEL CELEBRATISS. Arcidottore GRATIAN Furbson Da Fraculin, scritto da
Giulio Cesare Croce (1550-1609), poeta e cantastorie ferocemente comico, autore
dei celebri libretti di Bertoldo e Bertoldino, è «Opera curiosa, per i
Professori delle Sie. Matematiche, e studiosi dell’opere bizzarre e capricciose
Rac. per M. Aquedoto dalle Sanguetole riformatore dell’Hosteria del Chiu». Si
tratta di un fascicoletto in-4° piccolo, di rozza e scorrettissima stampa su
carta poco pregiata, di otto pagine non numerate, stampato a Bologna nel 1623,
«presso l’erede del Cochi, Con Licenza de Superioi., e Prii». Il libretto
contiene 47 opere dai titoli di sapore burchiellesco, fantastici o solo
deformati su quelli di libri e di autori effettivamente esistenti. Nella prima parte del decimo
racconto Del
cane di Diogene
(1687-1689) di padre Francesco Fulvio Frugoni
(1620ca-1686ca), una grande allegoria
satirico-autobiografica in sette volumi o «latrati»
(come ama definirli il suo autore per non uscire dalla metafora canina), compare
uno straordinario capitolo intitolato La
Libreria de’ Gastrimargi. In una postilla Frugoni
annota che il termine «gastrimargi» è
voce dotta d’origine greca, che sta per «golosi», «ingordi», precisando che lo
stesso termine si dice «Gastrimargia, Magnoneria, Gotoneria in ispagnuolo,
Soupleria in francese: quando si mangia a non poter più». Ne La Libreria de’ Gastrimargi, Frugoni narra con la consueta ironia le gesta di Mercurio
imbarcato su una Galea che naviga nel mare della Broda, così chiamato perché
«niun vento soffiava d’ordinario in quel mare». In questo mare si trova l’isola
di Gastrimargia, un’isola così grande che sembra terra ferma, opposta all’isola
della Sapienza, piccola di recinto, e quasi disabitata, nelle acque vicine a
Creta. Una volta sull’isola, Mercurio è invitato a visitare la stravagante
libreria piena di volumi (vengono citati 177 titoli) «d’alta grassa» che
trattano soltanto de «esculentis et poculentis» ovvero delle cose da mangiare e
delle cose da bere. Volumi che a leggerli, ma anche solo ad ammirarli,
ingenerano «una pigra lentezza, poiché s’apprendea da loro la scienza del
poltroneggiare con tutto lo spirito». Nel
1720 a Francoforte e Lipsia il libraio e mercante d’oggetti d’arte a
Norimberga, J. Wolrab pubblica un Catalogus von den raresten Büchern und
Manuscriptis, welche bishero in der Historia Litteraria noch nicht zum
Vorschein nommen: nun aber nebst einem ziemplichen Vorrath, von allerhand
fürtrefflichen Machinen und andern unvergleichlichen Kunst-Sachen, and die
meist-bietende verlaufft werden sollen [Catalogo di libri molto rari e di
manoscritti che non sono mai stati menzionati ancora nella storia letteraria;
di tavole, medaglie, statue, antichità, macchine e oggetti d’arte di ogni
genere, che saranno aggiudicati al migliore offerente]. Il catalogo, contenente
i titoli di circa 200 volumi, 50 manoscritti, e quasi 200 oggetti d’arte,
antichità, ecc., fu proibito e soppresso con gran cura dalle autorità per le
satire violente e soprattutto per le facezie libertine delle quali era pieno. Quand’era
intendente a Limoges (1761), l’economista, filosofo e politico francese
Anne-Robert-Jacques Turgot (1727-1781) aveva decorato il suo studio di scaffali
finti con finti libri ai quali aveva messo dei titoli satirici come Apologie
de l’esclavage des nègres [Apologia della schiavitù dei negri]; Art de
compliquer les questions simples [L’arte di complicare le cose semplici]
dell’abate Galiani; Art de faire les glaces, par un buvetier de
l’Inquisition [L’arte di fare i gelati, da parte del gestore di un piccola
mescita dell’Inquisizione]; Choix des friponneries les plus ingénieuses,
pubblié en faveur des dupes [Raccolta delle più ingegnose mariolerie,
pubblicata in favore delle vittime], due volumi in-folio; Histoire naturelle
et morale des araignées, avec la description de leurs amours [Storia
naturale e morale dei ragni, con la descrizione dei loro amori]. Il mercante di caffè Batavus
Droogstoppel (Stoppiasecca), personaggio del romanzo Max Havelaar (1860) di Multatuli (dal latino multa tuli, cioè «molto soffersi»), pseudonimo dello
scrittore olandese Eduard Douwes Dekker (1820-1887), incontra ad
Amsterdam Max Havelaar, poeta, scrittore e suo antico compagno di scuola, che,
invece di un regolare cappotto, porta semplicemente uno scialle al collo.
Sperando in un aiuto pecuniario, Havelaar manda a Droogstoppel un pacco di
manoscritti. «Da essi», dice Havelaar nella lettera indirizzata all’amico,
«vedrà che io ho molto pensato, lavorato e partecipato». Segue un lunghissimo
elenco dei trattati e dei saggi (145) di Havelaar, con alcuni commenti, fra
parentesi tonde, di Droogstoppel. Nell’elenco figurano titoli come Delle
pene per i rei d'infanticidio, Sul
«perpetuum mobile», la quadratura del cerchio e la radice dei numeri non
radicali, Delle formiche bianche, Del carattere contronaturale
delle scuole, Della prostituzione nel matrimonio (Un pezzo
scandaloso), Della castità come
invenzione (Non capisco), Della forza dei pregiudizi quale
traspare dalle malattie provocate da correnti d'aria (Non vi avevo detto
che era una lista curiosa?) (Multatuli 1982, p. 37-42). Un
altro esempio di biblioteca inventata si trova in Mœurs des Diurnales.
Traité de journalisme (1903) dello
scrittore francese Marcel Schwob (1867-1905), pseudonimo di André Mayer, dove
sono riportate le riflessioni del giornalista Loyson-Bridet sulle modificazioni
apportate dal giornalismo allo stile, alla storia, al buon gusto e alla
scienza. Uno dei primi capitoli del libro, inserito nella sezione Nozioni generali, è dedicato al catalogo dei Cent
bons livres du journaliste,
divertente e spaventoso come quello di Rabelais (Schwob 1985, p. 71-77).
Nel racconto «Pierre Menard, autore
del Chisciotte» (1939), Jorge Luis
Borges esamina l’archivio personale di Pierre Menard, straordinario poeta,
autore di un’opera, forse la più significativa del nostro tempo, intitolata Chisciotte
che consta dei capitoli IX e XXXVIII della prima parte e di un frammento del
capitolo XXII del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes. L’archivio di
Menard comprende molti scritti fra cui: una monografia sulla possibilità di
compilare un dizionario poetico di concetti che non siano sinonimi o perifrasi
di quelli che informano il linguaggio comune, «ma oggetti ideali creati secondo
una convenzione, e destinati essenzialmente alle necessità poetiche» (Nîmes
1901); un articolo tecnico sulla possibilità di arricchire il gioco degli
scacchi eliminando uno dei pedoni di torre; Menard propone, raccomanda,
discute, e finisce per rigettare questa innovazione; l’opera Les problèmes d’un problème (Paris
1917), che discute nell’ordine cronologico le soluzioni dell’illustre problema
di Achille e la tartaruga; di questo libro sono state pubblicate finora due
edizioni, la seconda porta in epigrafe il consiglio di Leibniz: «Ne craignez
point, monsieur, la tortue», e i capitoli dedicati a Russell e a Descartes vi
appaiono sostanzialmente rimaneggiati; una lista manoscritta di versi che
debbono la loro efficacia alla punteggiatura (Madame
Henri Bachelier cita anche una traduzione letterale della traduzione letterale
che fece Quevedo della Introduction à la
vie dévote di san Francesco di Sales; nella biblioteca di Menard non v’è
traccia di quest’opera) (Borges 1995).
In
una bizzarra biblioteca, situata in un edificio non molto vasto in 3150
Sacramento Street, San Francisco di California, cap 94115, descritta in modo
dettagliato da Richard
Brautigan in The Abortion. An Historical Romance (1966), non vengono lettori a
chiedere libri, ma solo autori a portarne, a qualsiasi ora. Manoscritti che
nessun editore accetterebbe. Il personale in pianta stabile di questa
biblioteca è di un solo bibliotecario il cui compito è «accogliere» gli
scartafacci, registrarne titolo e argomenti su un catalogo, aggiungendovi
qualche rigo di commento, ma soprattutto egli deve far sentire all’autore che
il suo libro (questo «parto» della sua mente e «parte» di se stesso) è ben
accetto, anzi desiderato, anche se non lo leggerà mai nessuno e finirà stivato,
insieme a mille e mille altri, in certe umide caverne del nord della California
(Brautigan 1976, p. 23-30). Ne La bibliothèque d’un amateur lo scrittore Jean-Benoît Puech racconta di aver conosciuto l’autore di alcune recensioni a romanzi immaginari durante il soggiorno nella clinica di La Chesnaie, vicino Blois, nel 1972. Lui stesso ha consigliato all’anonimo recensore, impiegato nel 1977, dopo alcuni anni d’insegnamento, presso la Camera di Commercio d’Orléans, di dare al giornale della clinica i suoi primi articoli. I romanzi recensiti, di cui si riporta nome dell’autore, titolo e un breve riassunto, sono tutti attraversati dal tema del silenzio, rappresentato in uno stile narrativo di tipo simbolista (Puech 1979).
Biblioteche immaginarie comprese in
repertori appositamente creati Esistono
dei libri che sono stati progettati e nascono specificatamente come repertori bibliografici
di opere inventate. Il caso forse più noto e interessante è La letteratura
nazista in America (1996) dello scrittore cileno Roberto Bolaño, un falso
manuale di letteratura, compilato per descrivere una letteratura che non
esiste. Il libro è composto da capitoli dedicati a scrittori tutti regolarmente
inesistenti e al termine contiene un apparato bibliografico (208 volumi) che
raccoglie nomi di personaggi marginali, intitolazioni di riviste, marchi
editoriali e titoli di libri: tutti scrupolosamente inventati. A rendere apertamente
inverosimile il libro, edito nel 1996, vi sono biografie di scrittori che
sarebbero morti nel 2004 o nel 2016. Tuttavia, al di là del suo connotato
parodistico, La letteratura nazista in America ritrae quella realtà
pervasa di follia che ha segnato col sangue tante vicende americane del
Novecento (Bolaño 1998). Nel
2009 esce a Napoli, a firma di un autore chiamato Homo Scrivens (pseudonimo dietro
il quale si cela un laboratorio di scrittura), un’Enciclopedia degli scrittori inesistenti, oltre 250 schede (che
diventano circa 500 in un aggiornamento del libro uscito nel 2012) riguardanti
scrittori, con tanto di data e luogo di nascita e di morte, movimenti, generi,
riviste e premi letterari (Homo Scrivens 2009). Nella prefazione Aldo Putignano,
uno dei curatori del libro, avverte il lettore (caso mai ve ne fosse bisogno)
che sta per sfogliare un’enciclopedia in cui tutto ciò che è scritto è falso:
falsi gli scrittori come pure le opere, in omaggio alla nobile causa della
Scrittura Inesistente che in un certo qual modo richiama l’auspicio formulato da
Giorgio Manganelli di elaborare una Teoria
del non-scrivere o di mettere a punto un libro sui Princìpi finali della letteratura inesistente (Manganelli 1994, p. 26-30). Ne
Il libro dei libri (2011) Luca Giorgi,
pubblicitario di professione, ha recensito ottanta libri “introvabili”,
definiti «emblematici capolavori ancora sconosciuti», presentandoli con
copertina, rassegna stampa, note biografiche e foto dell’autore. I titoli sono
volutamente ironici: Sado-maso per timidi;
Zozzo, un romanzo grammaticalmente
scorretto; Curarsi con il letame; Venti posti nel mondo dove andare a soffrire
(Giorgi 2011). Copiosi repertori di libri inventati
compaiono in diversi numeri monotematici dell’Almanacco del Bibliofilo, rassegna
annuale dell’Associazione Internazionale di bibliofilia «Aldus Club»,
presieduta da Umberto Eco e diretta da Mario Scognamiglio, responsabile quest’ultimo
delle Edizioni Rovello di Milano che editano l’Almanacco. Si vedano in
particolare i numeri dedicati alle «Bibliocorrispondenze dai nostri inviati
speciali nel ventunesimo secolo» (10, 1 gennaio 2000), a «I libri dei prossimi
venti anni. Segnalazione di alcune interessanti opere pubblicate dal 2002 al
2021 selezionate e descritte da arguti bibliografi» (12, 1 gennaio 2002) e alle
«Bibliofantasie di una estrosa équipe di scanzonati favolatori» (13, 1 gennaio
2003). A conclusione di questo paragrafo mette conto citare alcuni libri che raccolgono recensioni a testi completamente inventati, una sorta di sotto-genere del genere letterario delle biblioteche immaginarie. Un classico di questa tipologia di libri è Vuoto assoluto (1974) di Stanisław Lem dove sono esibite quattordici recensioni di libri inesistenti. Ironicamente il libro si apre con un’autorecensione, cioè con una recensione allo stesso Vuoto assoluto in cui Lem precisa che l’idea di recensire libri inesistenti non è da ascriversi a lui, ma è un esperimento rintracciabile in autori del passato («con tutta probabilità neppure Rabelais fu il primo a utilizzarlo») e anche in autori contemporanei come Borges (Lem 1990). All’inizio del secolo scorso l’orientalista Virginia de Bosis Vacca (1891-?) si divertì a scrivere delle «recensioni artificiali» a libri inesistenti, fra cui un manuale di eloquenza privata e familiare, una raccolta di leggende cinesi e un romanzo su quattro frati a Fiumetto, ispirato al centenario francescano (Bosis Vacca 2001). Al
sotto-genere delle recensioni fittizie appartiene anche il mio (scusandomi,
come si fa opportunisticamente in questi casi, per l’auto-citazione) Il sosia laterale e altre recensioni, 21
recensioni ad altrettanti libri inesistenti, libro corredato di copertine e di precise
indicazioni editoriali (editore, città di stampa, anno di edizione, numero di
pagine, prezzo). «Scrivere recensioni», sostenevo nella Premessa,
«è un’attività ostica, laboriosa. In parte ciò dipende dal fatto che al
recensore serio, quello che assolve il ruolo di "lettore di
professione" con distaccato senso critico, cioè senza fini nascosti o
venali, stanno più a cuore i libri che non ha letto o ancora da scrivere di
quelli realmente esaminati» (Albani 2003).
Biblioteche immaginarie allestite da falsari Il falso risponde a un bisogno intellettuale e pratico: mira a colmare un vuoto, a completare quanto la tradizione avara o l’ingiuria del tempo ci hanno sottratto, scrive Luciano Canfora aggiungendo che le ragioni per cui lo si crea sono innumerevoli, il guadagno è solo una di esse, e forse la meno importante, in realtà il falso è innanzi tutto opera d’arte (Canfora 2011). La
storia dei falsi cataloghi a stampa di libri immaginari, cataloghi realmente editi
e spacciati per veri, in molti casi persino messi in vendita, è ricca di casi affascinanti
nonché istruttivi. Qui ci limiteremo a ricordare solo alcune di queste «opere
d’arte» in campo librario (per un’analisi più dettagliata del fenomeno dei
falsi cataloghi di libri rimandiamo a Albani 2001). Nel
luglio 1840 i principali bibliografi e bibliofili e le maggiori librerie del
Belgio e della Francia ricevettero uno strano libello in 8° di 12 pagine
intitolato Catologue d’une très-riche
mais peu nombreuse collection de livres provenant de la bibliothèque de feu M.r
le Comte J.-N.-A. de Fortsas, dont la vente se fera à Binche, le 10 août 1840,
à onze heures du matin en l’étude et par le ministère de M.e
Mourlon, Notaire, rue de l’Église n.° 9, tirato in 60 copie nell’operosa cittadina di Mons presso lo
stampatore-librario Emmanuel Henri Hoyois, rue de Mimy, al prezzo di 50
centesimi. L'asta, si precisava
nel libretto, si farà in contanti, con un aumento del 10% in aggiunta al prezzo
d'aggiudicazione; si potrà vedere e collazionare i libri il giorno prima
dell'asta, dalle tre alle sei, mentre dopo l'aggiudicazione i libri non saranno
resi per nessuna ragione. Presso Hoyois, informava una nota conclusiva, si
trova anche, al prezzo di 1 franco, il Catalogo dei quadri, medaglie e oggetti
diversi antichi e curiosi, abbandonati dal conte di Fortsas, la cui vendita
avrà luogo il 15 settembre 1840. Con l'eccezione di 3 titoli, su 52, tutti gli unica, numerati da 3 a 215, contenuti
nel Catologo dei libri del conte di
Fortsas sono immaginari, come lo è del resto lo stesso conte di Fortsas,
provvisto tuttavia di una credibile e onorevole nota biografica. Si leggeva
infatti nel catalogo: «Jean-Népomucène-Auguste Pichauld, conte di Fortsas, nato
il 24 ottobre 1770 nel suo castello di Fortsas, vicino a Binche nell'Hainaut, è
deceduto, il 1º settembre 1839, nello stesso luogo della sua nascita e nella
stanza dove aveva compiuto 69 anni il giorno prima. Insieme ai suoi libri,
aveva visto (o piuttosto non aveva visto) passare trenta anni di rivoluzioni e
di guerre senza muoversi un istante dalla sua occupazione preferita, senza
uscire in qualche modo dal suo santuario. È per lui che avremmo dovuto creare
il motto: Vitam impendere libris». «Il conte di Fortsas», precisava
ancora l’anonimo curatore del catalogo, «non accettava sui suoi ripiani che
opere sconosciute a tutti i bibliografi e cataloghisti. Era la sua regola
invariabile, regola dalla quale non si è mai allontanato». L’autore di questa beffa esilarante fu Renier-Hubert-Ghislain
Chalon (1802-1889), maggiore dell’esercito in pensione, presidente della
«Società dei Bibliofili belgi» e autore di saggi sulla numismatica. Al di fuori
di pochi eruditi, tutti i destinatari del Catologo
dei libri del conte di Fortsas presero seriamente l'affare, e Chalon fu il
primo a stupirsene. Nel 1910
Edmond Cuénoud, amministratore d’immobili a Montparnasse e bibliofilo fornito
di humour, fa stampare un CATALOGUE DES LIVRES DE LA BIBLIOTHÈQUE DE M.
ED. C., qui seront vendus le 1er
avril prochain à la Salle des Bons-Enfants, illustrato da Carlègle,
pseudonimo di Charles Émile Egli (1877-1937). Ogni titolo è accompagnato dalle
«indicazioni strettamente necessarie», del tipo: Abelardo, scompleto, tagliato
(riferimento al fatto che Pietro Abelardo fu evirato per aver sposato in
segreto l’allieva Eloisa); F. Cooper, L’ultimo dei Mohicani, pelle
rossa; A. Dumas figlio, L’Ami des femmes, completamente esaurito;
Witowski, I seni, due affascinanti volumi. I titoli del catalogo di
Cuénoud sono citati nel racconto Le flaneur des deux rives (1918) di
Guillaume Apollinaire. Il bibliofilo
e collezionista Herman Warwell Liebert (1911-1994), autore di numerosi lavori
sullo scrittore inglese Samuel Johnson (1709-1784) e Primo Bibliotecario alla
«Beinecke Rare Book and Manuscript Library» di New Haven (Connecticut, Usa),
pubblicò nel febbraio 1955 nella stessa città statunitense un Catalogue.
No. 1, per i tipi della St. Ronan Bookshoppe. Si tratta di 8 pagine
spillate in cui sono messe in vendita rarità librarie, ovviamente false. Forse uno dei più grandi falsari di testi (antichi) è stato Costantino Simonidis (1820 o 1824-1890?), un avventuriero greco che studiò a Costantinopoli presso la Scuola patriarcale e conseguì il titolo di dottore in filosofia presso l’Università di Mosca dopo un lungo periodo trascorso in Russia. Riuscì a vendere i suoi falsi a grandi istituzioni come l’Accademia delle scienze berlinese e la British Library. Per la sua attività di falsario venne arrestato a Lipsia il 1 febbraio 1856. Clamorosi falsi fabbricati da Simonidis sono una Geografia di Cefalonia, un'opera geografica di Androstene, una Storia egizia di Uranio, di cui si erano perse le tracce, un fantomatico antico esemplare del Vangelo di Matteo e addirittura un frammento di Eschilo. Ancora opera di Simonidis, secondo Luciano Canfora, sarebbe il Papiro di Artemidoro, un frammento del secondo libro della Geografia del geografo di Efeso, venduto alla Fondazione per l’Arte della Compagnia di San Paolo per 2 milioni e 750 mila euro. Simonidis fu un grande costruttore di liste di opere inesistenti attribuite ad autori noti od inventati, liste riguardanti in prevalenza opere geografiche e storiche, anche se il falsario greco non esitò ad avventurarsi nel campo dei manoscritti figurati e della trattatistica sulla figura (s’inventò un certo Panselinos, maestro di pittura di Dionigi di Furna, ideandone anche un ritratto). Una delle tecniche più diffuse messa in atto da Simonidis era di presentare il testo scoperto, pergamena o papiro, non come l’opera di un determinato autore, da Eforo a Duride, da Eratostene a Posidonio, ma come la sua epitome (compendio di un’opera di notevole vastità). È difficile trovare nella storia moderna degli studi greci, afferma Canfora, qualcuno che con maggiore abilità abbia dominato e messo a frutto, per fini scherzosamente definibili come creativi, una così approfondita conoscenza della erudizione antica (Simonidis 2012, p. 49).
Biblioteche immaginarie formate da libri mai
scritti In ultimo un
cenno merita quel genere atipico di biblioteche immaginarie, che forse più
correttamente si dovrebbero chiamare «potenziali», formate da libri mai scritti
che pur sempre appartengono al mondo libresco dell’inesistente (me ne sono
occupato in Albani 2009).
Brevi conclusioni Al termine di questo tentativo di classificare le biblioteche che non esistono, per evidenziarne in sintesi l’essenza problematica, ci affidiamo di nuovo a Perec, autore da cui siamo partiti, facendo nostra questa sua riflessione: «Come i borgesiani bibliotecari di Babele alla ricerca del libro che darà loro la chiave di tutti gli altri, anche noi oscilliamo fra l’illusione della compiutezza e la vertigine dell’inafferrabile. In nome della compiutezza, vogliamo credere che esista un unico ordine che ci permetterebbe di accedere di colpo al sapere; in nome dell’inafferrabile, vogliamo pensare che l’ordine e il disordine siano due termini che si equivalgono nel designare il caso» (Perec 1989, p. 36). Bibliografia Paolo Albani, I cataloghi a stampa di libri immaginari, «L’oggetto libro», Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2001, p. 200-215. Paolo Albani, Il sosia laterale e altre recensioni. Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2003. Paolo Albani, Un curioso genere letterario, in: Giuseppe Fumagalli e Leo S. Olschki, Biblioteche immaginarie e roghi di libri. Campobasso, Palladino Editore, 2007, p. 7-31. Paolo Albani, Su alcuni libri progettati e mai scritti, «Culture del testo e del documento», 30, settembre-dicembre 2009, p. 5-10. Paolo Albani e Paolo della Bella , Mirabiblia. Catalogo ragionato di libri introvabili. Bologna, Zanichelli, 2003. Marcel Bénabou, Perché non ho scritto nessuno dei miei libri. Roma, Theoria 1991. Walter Benjamin, Lettere 1913-1940. Torino, Einaudi, 1978. Roberto Bolaño, La letteratura nazista in America. Palermo, Sellerio, 1998. Jorge Luis Borges, La biblioteca di Babele, in: Finzioni. Torino, Einaudi, 1995, p.
69-78. Virginia de Bosis Vacca, Recensioni artificiali. Roma, Edizioni Printandread.com, 2001. Richard Brautigan, L’aborto. Una storia romantica. Milano, Rizzoli, 1976. Luciano Canfora, La meravigliosa storia del falso Artemidoro. Palermo, Sellerio editore, 2011. Ermanno Cavazzoni, Biblioteche infiammabili, in: La biblioteca e l’immaginario. Percorsi e contesti di biblioteconomia letteraria, a cura di Rossana Morriello e Michele Santoro. Milano, Editrice Bibliografica, 2004, p. 256-261. Hans Magnus Enzensberger, I miei flop preferiti e altre idee a disposizione delle generazioni future. Torino, Einaudi, 2012. Luca Giorgi, Il libro dei libri. Fidenza (Parma), Mattioli 1885, 2011. Homo Scrivens, Enciclopedia degli scrittori inesistenti, a cura di Giancarlo Marino e Aldo Putignano. Napoli, Boopen LED, 2009. Paul Lacroix , Catalogue
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Rabelais. Paris, J. Techener, 1862. Stanisław
Lem, Vuoto
assoluto. Roma, Editori Riuniti, 1990. Giorgio Manganelli, La riga bianca, in: Il rumore sottile della prosa. Milano, Adelphi, 1994. Harry Mathews, Mutazioni. Milano, Rizzoli, 1964. Multatuli, Max Havelaar. Torino, Utet, 1982. Roberto Palazzi, Il labirinto dei libri falsi, inesistenti e immaginari. Alcune storie e qualche esempio, in: Collezionismo, restauro e antiquariato libraio, a cura di Maria Cristina Misiti. Milano, Sylvestre Bonnard, 2002, p. 331-358. Massimo Pandolfi, a cura di, I Rinogradi di Harald Stümpke e la zoologia fantastica. Padova, Franco Muzzio Editore, 1992. Georges Perec, Brevi note sull’arte e il modo di sistemare i propri libri, in: Pensare/Classificare. Milano, Rizzoli, 1989, p. 27-37. Georges Perec, Cantatrix sopranica L. e altri scritti scientifici. Torino, Bollati Boringhieri, 1996. Jean-Benoît Puech, La
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Cendres, 1985. Costantino Simonidis, Opere greche I, a cura di Luciano Canfora, Maria Rosaria
Acquafredda, Marco Caratozzolo, Valentina Cuomo. Bari, Edizioni di Pagina, 2012. George
Steiner, I libri che non ho scritto. Milano, Garzanti 2008.
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