Paolo Albani
MANGANELLI E
LA TANATOCOMUNICAZIONE


     La mia breve comunicazione riguarda il Manganelli scienziato.
    In numerosi scritti Manganelli si è occupato di problemi scientifici, o contigui a un approccio scientifico, ad esempio quando ha affrontato il problema dei marziani o quando si è posto la domanda, davvero nodale, se sogna più l’uomo o il coccodrillo. Del resto è a Manganelli che si deve, a mio avviso, una delle definizioni più belle del sogno, attività scientifizzata da Freud. Il sogno, dice Manganelli, è «lo zio matto che si tiene chiuso in solaio quando vengono gli ospiti».

Fra le altre cose Manganelli è autore di uno studio elaborato “con compiutezza scientifica” (è lui che usa questa espressione) sul problema della “tanatocomunicazione” ovvero della comunicazione coi morti, su cui mi concentrerò.
    L’argomento è trattato in modo da rispondere alle seguenti domande: in via preliminare 1) è lecito comunicare coi morti?; e poi 2) dove stanno i morti?; 3) che forma hanno?; 4) che lingua parlano?
  Sulla prima questione Manganelli nota come le religioni siano in genere ostili a questa sorta di comunicazione poiché temono le ricerche in regioni che “sarebbe arduo intender per conferma o approvazione” oppure paventano “un’alleanza di vivi e morti che insidierebbe il loro inveterato imperio sulle anime terrestri”.
    Alcuni obiettano che chiamare i morti implica scomporli e disturbarli mentre dormono nei loro bozzoli di tenebra; altri sconsigliano l’impresa per “amor di decenza”; taluno invece dubita sia scorretto violare la partizione tra vivi e morti. Per i dotti moderni, umanisti devoti alla sorte dell’uomo, i morti sono fuori della storia e dunque appaiono “dispersivi, diseducanti, anche corruttori”; per giudicarne la attendibilità e il livello culturale si suggerisce un interrogatorio preliminare, un test da sottoporre al defunto invitato al colloquio.
    Ci sono poi coloro, come i membri della setta degli antimorti, che ritengono si debba rinunciare alla comunicazione col sopramondo per il contegno insolente e altezzoso dei morti. La dottrina della setta degli antimorti, fondata da un monaco apostata che durante la sua vita tenta in vari modi di mettersi in contatto coi morti, può essere riassunta così:

1) morire è immorale: chi muore “si fa bandito, transfuga da ogni umana ubbidienza”;

2) dunque il morto è un irregolare, un teppista come mostrano le malefatte dei fantasmi;

3) il morto tace e vaneggia perché si diverte delle nostre smanie;

4) in conclusione bisogna ripagare i morti con insolenze e affronti di ogni sorta.

Altri studiosi avanzano la tesi che i morti non siano tracotanti e villani, ma niente più che idioti e che tale istupidimento sia dovuto al decesso, al furto delle membra, alla cessazione degli amori, alla solitudine e al contatto con nuove e ignote folle. Per altri ancora i morti non sono stolti o ostili, ma soltanto sordi essendo la morte una fragorosa, inaudita esplosione dalla quale si esce irreparabilmente mutilati dell’udito.
    Quanto al luogo dove stanno i morti le ipotesi sono numerose: c’è chi propende per alloggi bizzarri e imprevedibili come lucchetti, orologi rotti, cassetti, solai; chi sostiene che i morti si nascondano nelle maiuscole miniate o dentro i suoni, ecc. e chi reputa invece che i morti stiano sparsi nell’intero universo, a caso, come loro aggrada.
    Anche sulle forme assunte dai morti si fronteggiano dottrine diverse secondo le quali i morti sono estremamente piccoli come batteri dimezzati, sottilissimi e lunghi fino a tre o quattro chilometri oppure sferici.
    A conclusione del suo discorso sulla comunicazione coi morti Manganelli si sofferma sul tema della lingua parlata dai morti che per alcuni è quella da loro usata nella vita terrena, mentre per altri si tratta di una lingua nuova – tanatoglossa o avernese – una sorta di esperanto e volapük per morti trasmissibile attraverso uno strumento di agevole maneggio, chiamato “defuntofono”, capace di ampliare i suoni della lingua dei defunti.
   A me piace pensare, ma la cosa è discutibile e controversa, che il “defuntofono” abbia un suono simile a questo [cliccate qui per l’ascolto] che, per essere un richiamo, è un richiamo e infatti richiama, ma che serva a richiamare anche i morti, oltre che le allodole, non so, non ci giurerei...


***

Testo della mia piccola conferenza fiume tenuta alla libreria Les Bouquinistes di Pistoia sabato 10 giugno 2017 in occasione dell'evento dedicato alla figura di Giorgio Manganelli Un bicchiere di succo fermentato. Cento piccole conferenze fiume. Corso di riabilitazione per lettori non manganelliani. La frase "un bicchiere di succo fermentato" è contenuta nella prima delle centurie scritte da Manganelli in Centuria. Cento piccoli romanzi fiume (Rizzoli 1979).


Attestato rilasciatomi dalle librerie
Les Bouquinistes di Pistoia e Ghibellina di Pisa,
controfirmato da Lietta Manganelli,
che certifica la mia partecipazione con profitto
al Corso di riabilitazione per lettori non manganelliani.



La mia lettura, alla mia destra Lietta Manganelli
foto Les Bouquinistes





Qui sono con Giuseppe Dino Baldi (a sinistra nella foto)
e Jacopo Narros, prima delle letture manganelliane
foto Stefano Di Cecio



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