PAOLO ALBANI
di
Siliano Simoncini

Albani è un funambolo con le parole e le immagini. Ci gioca ironicamente riuscendo a trovare connessioni impensabili e a creare assonanze generative di sorprendente intelligenza. Il suo iter formativo risale agli anni Settanta del secolo scorso quando, a Firenze, personaggi come Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti e altri, dopo aver dato vita nel 1963 al noto gruppo 70, erano ormai artisti affermati e la Poesia visiva - da loro inventata - un episodio singolare assai diffuso e conosciuto. Sappiamo che per poesia visiva si intende una modalità poetica del tutto nuova nel panorama della ricerca artistica; infatti il poeta visivo si serve di immagini prelevate dal mondo dei media che integra con frasi/verso fortemente allusive. Ne scaturisce un episodio estetico e concettuale nel quale la "poesia" si connota come un "messaggio pubblicitario", uno slogan dalla sfrontata e arguta immediatezza. Al contempo l'insieme e, a buon diritto, fruibile come il riscontro di una "pagina" decisamente risolta sotto forma di collage, per meglio dire, di quadro. Dunque Albani costruisce la propria, esperienza creativa sperimentando entro tale ambito culturale e dedicandosi, in particolare, alla scrittura di ricerca e alla sperimentalità linguistica, sulla scorta delle esperienze di Raymond Qneneau, capostipite dei nuovi scrittori appartenenti alla nota "congrega" dell'OuLiPo - fondato nel 1960, che trova il suo corrispettivo italiano nel gruppo aderente all'OpLePo (Opificio di Letteratura Potenziale) - movimento di ricerca linguistica, nato a Capri nel 1990 - del quale Albani è uno dei più significativi interpreti. A titolo di esempio basterà citare quanto affermava lo stesso Qneneau: "l'adozione di regole fisse non soffoca la libertà, bensì la stimola”. Dunque, per la poesia e la prosa, non tanto le regole convenzionali, ma piuttosto regole nuove elaborate su quelle del passato, o meglio, del tutto inventate dagli stessi scrittori. La poesia e la narrativa che ne scaturisce è un episodio ormai conosciuto anche se molto di settore; di fatto però la "meccanicità liberatoria" - mi si consenta la contraddizione - del procedimento adottato, conduce a riscontri del tutto sorprendenti e a un genere letterario indubbiamente innovativo.
Delineato questo panorama culturale del quale Albani si nutre, passiamo a individuare la ricchezza della sua personalità e il senso autentico della sua ricerca. Dunque, da un lato un'esperienza come quella della poesia visiva, priva di ogni vincolo, se non quello della sperimentazione tout-court che lavora sull'associazione fra testo e immagine dando vita a metafore contemporanee, nelle quali il tempo presente, l’attualizzazione, sono la matrice primaria del fenomeno che si presenta ora assertivo, ora allusivo. Dall'altro, la genesi letteraria scaturita nella "cella di una prigione" entro la quale, dato l'elevato numero di vincoli, fondamentale è l'arguzia del recluso/scrittore che deve essere capace, tramite spunti creativi del tutto anomali, di trovare l'espediente giusto "perché la fuga riesca". Ovvero, riesca la realizzazione di testi letterari privi di convenzionalità e di paludamenti, quanto di scontata seriosità, per un riscontro fatto di ironia, di humour e di complessità risolta. Ecco Albani, postosi in mezzo a questi due confini, attua il proprio divenire creativo facendo ricorso a una sensibilità estetica raffinata e colta - di fatto i suoi lavori sono impeccabili - e a un'intuizione vivace e indipendente, che gli consente di creare una molteplicità di varianti tematiche veramente impensabili. In tal modo egli riesce a svincolarsi dalla voce monocorde dell'accademia, quanto dall'invadente e incontrollata visceralità espressiva. E ciò non è cosa di poco conto. Il risultato? teatrini, spettacoli circensi sotto forma di quadro; denominazioni linguistiche corredare del riscontro oggettivo la cui connotazione risulta quasi sempre fortemente pedagogica. Infatti Albani sembra voler guidare il fruitore delle proprie opere, non in un meandro incomprensibile e angoscioso, bensì desidera porlo in una condizione direi "scolastica"; così a chi osservi l'opera, quasi fosse uno studente attento e interessato, sarà consentito seguire il maestro passo passo e di scoprire, volta volta, le meraviglie dell'immaginazione e dell'altrove. Un benefico bagno nella pura intelligenza sono i quadri di Albani, un luogo aperto sull'evasione dallo scontato. Anche quando la sua opera è fortemente tautologica, autoreferenziale, egli riesce sempre, vuoi con i materiali di uso comune, vuoi con il titolo, a offrire spiragli alla fantasia e al sorriso.
Per la mostra "Immagina" Albani ha realizzato due opere significative: Metagramma imperfetto e Stati d'animo. I1 primo lavoro è frutto di una modalità linguistica particolare, come ci dice lo stesso autore: "II metagramma è un gioco inventato da Lewis Carroll, si parte da una parola, ad esempio, pesce e si arriva a un'altra, gatto, cambiando una sola lettera per volta. I1 mio è un metagramma imperfetto perché alla fine cambio più di una lettera, ma mi piaceva dare l'idea di un'Italia cadente...". Il riscontro oggettivo? Su fondo rosso un lettering maiuscolo posto in sequenza verticale comunica: MADE IN ITALY - MODE IN ITALY - CODE IN ITALY - CADE L'ITALY e quest'ultima parola si distacca dal fondo comune alle altre e decisamente sembra precipitare. L'aderenza al tema da parte dell'artista è rispettata; gli era stato chiesto, per realizzare la sua proposta, di pensare al riferimento Immagine Italia e lui ha preso alla lettera l'invito e ci ha fornito di un gioco di parole che alludono sì, ma anche constatano e giudicano. L'altra opera, Stati d'animo, pone il riferimento Immagine Italia nel contesto mondiale; infatti l'artista, utilizzando una carta geografica rappresentante i cinque continenti, ha posto su ognuno di essi e quindi su ogni nazione, in sostituzione del nome degli stati, il nome di sentimenti. Il risultato visivo ha a che fare con l'arguzia, l'inventiva, l'humor, l'intento morale, il caso? Tutto questo e altro. Albani ci affascina e ci trascina in una dialettica civile, politica e ideologica? Lui si schermisce se gli dico questo, ma si sa all'artista non piace dare tante giustificazioni del proprio operato; di fatto il quadro è uno "spettacolo" in divenire, tocca al fruitore interpretarlo e attribuirgli un senso. Certamente la guida occulta dell'autore è sempre presente e come l'araba fenice, di fronte a un nuovo spettatore, essa rinasce dalle proprie ceneri.
Curioso il fatto che Albani abbia deciso di attribuire all'Italia il nome del sentimento Incuria. Dunque al fruitore il compito di cimentarsi nell'analisi meticolosa dei termini e pensare alla natura dell'associazione che ne può scaturire. Il gioco è la fonte comune della poetica dell'artista, ma come sappiamo, giocando si apprende in modo spensierato e meglio si accede alla retorica della vita. Albani sa bene tutto questo e la sua creatività invita a non prendersi troppo sul serio; piuttosto ci esorta a fare dello svago una forma di elevato acculturamento, un sostegno per accedere "al di là dello specchio" insieme all'Alice di Carroll.
Nel catalogo, per ogni artista, si e pensato di presentare un certo numero di opere, come integrazione di quelle visibili in mostra; lo scopo è quello di ampliare la conoscenza su ciascun autore e di rendere un minimo riscontro della qualità e della natura dei diversi percorsi creativi. Albani, in questa occasione, ci presenta un gruppo di sei opere molto omogenee fra di loro, infatti la tipicità del suo linguaggio è proprio la coerenza stilistica, ma che si caratterizzano singolarmente per l'idea, per l'esplicita concettualità, entrambi così rimarchevoli da rendere i quadri episodi di una rivelazione a scoppio ritardato, assai simile alla resa di uno spettacolo condotto da un abile prestigiatore. L'effetto finale è, appunto, scoppiettante; proprio come lo sono le conseguenze indotte dall'interpretazione di ogni opera di Albani.
Rispondere picche è un lavoro che si basa su un noto modo di dire: ovvero evadere in modo esplicito qualsiasi domanda. L’artista, ingegnosamente, in luogo della possibile risposta usa il seme delle carte da gioco, un linguaggio figurato, appunto, per 'picche'. Ma il fatto curioso è che Albani propone un potenziale interrogatorio che il fruitore è soggetto ad assumere come se gli venisse posto direttamente e, di conseguenza dovesse, in prima persona, fornire le risposte andando a sostituire il ben visibile cifrario. Che scherzi giocano certi artisti! Albani è un vero maestro nel realizzare questi effetti e i suoi testi narrativi, o le sue performance, vivono essenzialmente di queste intelligenti "battute", quasi il fine fosse quello di un personaggio da cabaret che intrattiene gli spettatori, catturando la loro capacità interpretativa tramite il sorriso e il sarcasmo. Dunque una modalità di fare arte del tutto anomala che Albani, inserendosi nel filone del paradosso e dell'assurdo, riesce ad agganciare alla toscanità, a quel motteggiare furbo e scanzonato che caratterizza, per l'appunto, la cultura popolare toscana.
Linguaggio evasivo è il titolo di un'altra opera molto curiosa; si tratta di un fondo grigio - colore "carcerario" - sul quale sono collocate, alla rinfusa e in eccesso per lo spazio disponibile, una serie di lettere coperte a loro volta da una fitta rete di metallo. Su quest'ultima è praticata una piccola apertura dalla quale penzola una "corda" fatta di diverse strisce in tessuto, annodate fra di loro. Molto esplicito, come sempre del resto, il riscontro: è il linguaggio che "se la batte", esce dal sistema "carcerario" imposto e affronta, spavaldo, la libertà. Ma non va dimenticato che evasivo, derivato di evadere, e dunque evaso - vedi appunto l'evasione esplicita propostaci dall'artista - e un aggettivo che significa letteralmente: "che evita di precisare intenzioni od opinioni". Stupefacente! Albani, dunque, sembra volerci far riflettere che viviamo in un mondo di qualunquisti? Di persone, che pur di "evadere", preferiscono non impegnarsi a qualsiasi livello? Doppi sensi, allusioni, intrattenimenti, giochi verbali, fanno parte della grammatica che caratterizza tutto il lavoro di Albani, grammatica la cui orditura necessita di talento e intelligenza che al nostro artista certo non mancano.
Accordo in be molle è un quadro composto da un pentagramma fatto di regoli di legno, sul quale sono presenti la chiave di violino in metallo e una serie di note, appunto in be molle realizzate con elementi, sempre metallici, acquistabili nei negozi di ferramenta. L'espediente usato dall'artista, questa volta, è decisamente analogico: infatti sono presenti delle vere e proprie molle meccaniche, messe in trazione perché fissate e poi tese, partendo da rondelle in grado di mimare la tipica "goccia" della forma apicale di una nota musicale e, successivamente, fissate poco più in basso in modo da imitarne la grafia. L'opera, di fatto, offre un altro spunto aderente al tipico modo di fare di Albani che, come in questo caso, pur rinunciando all'ambiguità della metafora, riesce ugualmente a intrattenere il fruitore e a interessarlo per l'uso di una 'forma povera' che richiama alla mente le esperienze dell'Arre povera, termine coniato nel 1966 dal critico Germano Celant, nell'ambito del quale, gli artisti facevano largo uso di materiali, appunto, "poveri". Questa volta non è il rapporto dialettico che Albani intende attivare con chi osservi la sua opera, piuttosto preferisce operare nell'ambito percettivo/formale e presentare un ordine sistematico afferente al concetto di composizione, ai termini di referenzialità estetica - e in questo il nostro artista sa veramente eccellere - così da incentivare la più semplice comunicazione analogica.
Rompere i regoli è un quadro che si presenta come la parafrasi di "Rompere le regole". Con la solita e proverbiale flemma ironica l'artista spezza dei regoli centimetrati e li incolla successivamente, secondo un caotico flusso di frammenti ora minuti, ora grandi, sopra un supporto di compensato dalla tonalità paglierino tenue; colore che ben si accorda con la tinta chiara degli stessi regoli, quanto con il resto dell'insieme, fino a rapportarsi con la "periferica" cornice: un listello, anch'esso, di legno naturale. Nuova dimostrazione che Albani sa lavorare su un registro armonico di natura estetica dall'indubbia e raffinata efficacia. Com'è che si rompono le regole? nel nostro caso, con veemenza, senza particolari strategie: si rompono e basta! Quanto accadrà di esse poco importa, sono una sorta di "spazzatura" che andrà a sparire. Sta di fatto che una volta "rotte" e, compiuto il loro azzeramento, si tratterà di stabilirne delle nuove. Ecco la parabola artistica proposta dal nostro Albani: un ciclo di genesi e morte affatto malinconico o drammatico; sta nella rigida finalità della ricerca e della sperimentazione, di creare e di distruggere, per poi ricreare di nuovo. È così! Non ci sono altre spiegazioni, e il nostro artista lo sa bene.
Omaggio a Ravel. A proposito di quest'opera lo stesso Albani commenta: "Ravel scrisse una composizione per pianoforte per la mano sinistra del fratello del filosofo Ludwig Wittgenstein, che aveva perso un braccio in guerra". Allora l'artista cosa fa, in conseguenza di questa notizia che lo ha incuriosito? Predispone due copertine di spartito sulle quali rispettivamente, da sinistra a destra, si legge: "Concerto per l'orecchio sinistro - in re maggiore per pianoforte e orchestra” e "Concerto per l'orecchio destro - in re maggiore per pianoforte e orchestra". Una boutade un po' cattiva? Uno scherzo? Una riflessione intelligente? Albani sa di correre sul filo del rasoio applicando la sua poetica, ma sa anche che tale rischio, come si dice: "vale la candela". Infatti il risultato è intrigante, perché la sobrietà dell'insieme porta il fruitore a subire l'inganno di una finzione presa come realtà. Esiste davvero questo spartito? È stato veramente anche solo pensato? Oppure è un bluff? Albani di nuovo gioca con l'interlocutore, lo spiazza, lo coinvolge, lo ammalia! Questo è il riscontro del gran finale di partita, il succedersi di un vicendevole scambio tanto caro a chi tenti di realizzare delle opere appartenenti al mondo dell'arte. Il nostro artista si compiace sì di saper giocare d'azzardo, ma la sua personalità è così temeraria da non ricadere nel gigionismo, piuttosto egli è consapevole delle proprie facoltà, e quindi anche dei propri limiti. Tutto sommato egli ha l'umiltà delle persone consapevoli che riescono a guardarsi nello specchio senza sentirsi dei narcisi.
Piccolo campionario di tecniche per impedire il volo alle parole un'opera impeccabile, la concreta trasposizione di un'alta manualità, di un sapiente e colto artigianato. Questo sa fare Albani e ogni volta riesce sempre a sorprenderci per l'elevato livello delle sue soluzioni formali a prescindere, per l'appunto, dall'intelligente humus concettuale tipico del suo stile e della sua poetica. Cosa comunica questo quadro? dodici modi per "trattenere" le parole, per non farle "volare" come ci suggerisce l'artista. Quindi in sequenza: il termine 'parola' è trattenuto da alcune cuciture di cotone, è "bendato" con una garza, è fissato con punti metallici, incerottato, coperto da piccole foglioline in metallo, appeso a mollette di plastica, fissato e nascosto da puntine da disegno, "incarcerato" da una rete metallica, trattenuto da piccoli frammenti incollati di pietra, per l'unica parola che è veramente "volata", l'artista ha inciso il termine 'parola' su cartoncino e poi lo ha tolto, imprigionata da catene e, per ultimo, l'esempio in cui è un piccolo morsetto a trattenere la parola. Il campionario proposto da Albani è una sorta di cadenzata armonia inventiva, di registro semiotico ricco di varianti fortemente allusive. Campionario che riesce a incuriosire il fruitore e, di nuovo, a esortarlo nel dare soluzioni interpretative sempre più feconde. Volano dunque le parole? Scaturiscono senza che la misura del controllo le trattenga? Offendono? Irridono? Feriscono? Nel qual caso, allora, ci suggerisce l'artista, è meglio impedirgli di volare, di fuggire in maniera istintiva. Troviamo il modo, formuliamo anche noi un "campionario" di tecniche difensive che ci consenta di trattenerle, certe parole. E se una volta una di esse ci sfugge? Ebbene pazienza! Nessuno è perfetto.
Dunque Paolo Albani, a mio avviso, può essere considerato a pieno titolo fra gli artisti che parlano e interpretano un linguaggio attuale del tutto made in Italy: i precedenti fiorentini della Poesia visiva e l'italianizzazione in OpLePo dell'esperienza francese dell'OuLiPo, garantiscono tale natalità e quindi nessun infingimento intellettuale e capzioso potrà convincermi del contrario.

Intervento nel catalogo IMMAGINA E MADE IN ITALY. ARTE | POESIA, a cura di Siliano Simoncini, Gli Ori, Pistoia, 2009, pp. 17-27.

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