Franca Rovigatti

TRA GIOCO E SOGNO
PAROLE E FIGURE
ALL’OMBRA DELLA LUNA



A suggerire che siamo entrati in terra di lunatici, il percorso della mostra Ah, che rebus! inizia proprio con due lune: la falce di Lorenzo Lotto, che al centro contiene la sillaba CI di Lu-ci-na (ritratto di Lucina Brembate, 1518) e la ineffabile luna-C gravida di lettere del Personaggio in grigio (1944) di Osvaldo Licini, che negli anni della seconda guerra mondiale si isolò a Monte Vidon Corrado («landa dell'originario forse») entrando, oltre l'astrattismo, nel suo personalissimo mondo pittorico pieno di «alfabeti e scritture enigmatiche».
Lunatico, da dizionario, è «Colui il cui cervello di tempo in tempo patisce alterazione, a somiglianza delle innovazioni della luna; e quindi Bisbetico, Fantastico, Capriccioso». E come, sotto queste due lune, non pensare subito al Poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni, che dello scrivere tra l'altro dice che «è un po' come sognare»? (E proprio al sogno avvicina il rebus la co-curatrice della mostra Antonella Sbrilli, nel ricco saggio introduttivo al catalogo, citando l'Interpretazione dei sogni: nei sogni, dice Freud, le immagini esplicite nascondono un significato latente, precisamente come nei rebus). E come non pensare al Tristam Shandy in cui Sterne gioca in modo stupefacente con il testo, introducendovi segni grafici, capitoli di una sola frase, pagine tutte bianche o tutte nere o marmo rizzate? O a Lewis Carroll, alla storia della povera coda del topo di Alice, in cui i caratteri tipografici vengono composti nella precisa forma di una tremolante codina, rimpicciolendosi in fondo fino a non essere più leggibili? O alle meravigliose lettere, ancora di Carroll, alle sue amiche bambine, costellate di immagini-al-posto-di-parole?
Le parole in questi casi non evocano figure, ma alle figure aderiscono. Come nel Libro d'arme e d'amore, nomato Philogyne di Andrea Baiardo (1530), o nel Libro nuovo d'imparare a scrivere di Giovan Battista Palatino (1540), di cui in mostra si possono ammirare le pagine, gremite di piccoli disegni a raffigurare parole come cose. Del resto, «rebus» significa precisamente «con le cose».
In modo simile, sia pure con diversa intenzione e consapevolezza, la poesia visiva della seconda metà del Novecento concepisce e sviluppa i propri rebus ed enigmi. La mostra ben rappresenta il versante visivo-letterario attraverso i grandi rebus politici di Eugenio Miccini e le minuscole paginette multilingue del Mondo di Lamberto Pignotti: sono i co-fondatori del Gruppo '70, che dal 1963, componendo in audaci collages frammenti di immagini e di testi, e poi oggetti, ha lavorato sulla decodifica e destrutturazione del linguaggio mass-mediatico. Il percorso prosegue con il dittico Sono... lo, Sono... Me di Tomaso Binga, attivissima poeta, artista visiva e performer; con le opere verbo-visive di Mirella Bentivoglio, artista, poetessa e teorica; con le Parole ai quattro venti di Arrigo Lora Totino, poeta sperimentale e grande performer di poesia sonora.
Negli anni Ottanta, Edoardo Sanguineti scrive una serie di poesie dal titolo Rebus; si tratta, come dice Sanguineti stesso, «di rebus descritti. Non ci sono immagini...»: in mostra, due edizioni di artista.
In omaggio ai rebus sanguinetiani, Una notte d'amore, collage dell'amico e sodale Nanni Balestrini, poeta, scrittore, artista visivo che da decenni lavora a un universo di immagini verbali. Rebus delle cinque di pomeriggio, infine, è il titolo di un'opera che alle immagini sostituisce oggetti e lettere tridimensionali: di Paolo Albani, scrittore, poeta visivo e performer, legato all'OpLePo, l'Opificio di Letteratura Potenziale, che, al pari dell'OuLiPo, promuove una letteratura che scelga - e stia all'interno di - costrizioni: una sorta di letteratura con enigma.
    Dell'OuLiPo faceva parte Italo Calvino, autore di sommi enigmi. Nel sorprendente percorso di questa mostra, alla fine neanche stupisce scoprire una curiosa coincidenza: lo storico dell'arte Maurizio Calvesi, in adolescenza - parliamo dei primi anni Quaranta - fu autore di giochi enigmistici, e si scelse come pseudonimo, tra tutti i possibili, «Calvino»!

il manifesto, martedì 21 dicembre 2010, p. 11.



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