Paolo Albani
laddove non sia necessario. Fiödor M. Dostoevskij
Da una lettera a A.I. Gejbovič, suo diretto superiore a Semipalatinsk. Tver’, 23 ottobre 1859 Sono una persona rispettosa della sfera privata degli altri. Lo sono al tal punto che se incontrassi per strada un amico con un’accetta conficcata nel cranio, e l’amico non mi dicesse nulla, si mettesse a parlare tranquillamente – di calcio, del cibo mangiato a pranzo, dei film visti in tv, della madre anziana che soffre di pressione alta –, insomma se l’amico s’intrattenesse con me senza il minimo accenno all’accetta conficcata nel cranio, io non gli chiederei nulla, farei finta che nemmeno esiste l’accetta, eviterei di guardarla, sarei così discreto da guardare altrove, per non metterlo in imbarazzo, poserei gli occhi sul bordo consumato del colletto della sua camicia o sulla giacca di un colore sgargiante, ma non sull’accetta conficcata nel cranio. Mai.
Un altro si comporterebbe
diversamente, da cafoncello, domanderebbe subito, prim’ancora che l’amico
aprisse bocca: «Ehi, cazzo, hai un’accetta conficcata nel cranio? Che ti è
successo?». Io no. Sono fatto di un’altra pasta.
Ho rispetto per la vita privata degli altri. Non m’intrometto. Il rispetto è fondamentale perché
tutti abbiamo bisogno di tutti. Su questa dipendenza reciproca si fonda la
società. Non sono io a dirlo, sono parole del sociologo statunitense Richard
Sennett che condivido (*). Mi limiterei a farla accomodare e le porterei una tazzina
piena di sale grosso, come mi ha chiesto. «Ho anche del sale rosa dell’Himalaya,
se preferisce» le direi. «No? Okay, non insisto». Educatamente le chiederei del
marito, della scuola dei figli, del cane che ho visto un po’ dimagrito, insomma
quelle cose che si dicono fra vicini, ma senza abusare del suo tempo, perché
magari va di fretta, ha l’acqua che bolle sul gas e sta preparando il pranzo. «Nessun disturbo, si figuri, arrivederci» le direi, senza
indagare sul perché di quella plateale nudità, salvo non fosse lei a entrare
nell’argomento, e dopo che è uscita con la tazzina in mano, ondeggiando sui
fianchi come fa sempre, provocante, quando scende le scale, solo che ora è
nuda, chiuderei la porta e tornerei alle mie occupazioni. È una questione di rispetto, oserei dire di civiltà. Ognuno
esce di casa agghindato nel modo che preferisce, anche mettendosi sulle parti
intime delle penne di struzzo, perché no?, o delle banane dorate come Joséphine
Baker, la «Venere nera». Liberissimo di farlo. Non ho nulla da obiettare. Se
poi l’arrestano per oltraggio al pudore o viene picchiato di brutto da un
genitore bacchettone, un cattolico moralista, con figli piccoli, peggio per
lui. A me non crea alcun problema di accettazione. Continuerei a rispettarlo
qualunque fosse il suo look. Il rispetto per gli altri, se è vero rispetto, dev’essere
incondizionato. Nessuna discriminazione o censura. Un corollario importante di
questo discorso è il rispetto verso se stessi. Le due forme di rispetto, verso
gli altri e verso se stessi, sono inscindibili, l’una si nutre dell’altra. Se
non si ha rispetto per se stessi, se uno trascura la propria persona,
fisicamente e moralmente, e arriva in certi casi persino a detestarsi, sarà
difficile che rispetti il prossimo. Ho una propensione al rispetto così forte che se vedessi un
uomo ben vestito passeggiare in città, senza curarsi della gente, con un cane
in bocca, un cane di piccola taglia, e il cane non si lamentasse, anzi
manifestasse un certo compiacimento scodinzolando, il che dimostrerebbe che i
denti dell’uomo non gli provocano dolore, e la bestiola si lasciasse trasportare
in quella posizione senza ribellarsi (a prima vista uno potrebbe pensare a una
punizione inflitta al cagnolino per qualche disobbedienza), pur essendo io un
animalista che ha a cuore le sorti di tutti gli animali, e si batte contro ogni
forma di maltrattamento nei loro confronti, se vedessi – ripeto – un uomo con
un cane in bocca mi guarderei bene dall’intervenire, proseguirei dritto per la
mia strada nel rispetto della libertà che ognuno ha di mettersi in bocca quello
che vuole, che più gli aggrada, compreso un cane di piccola taglia finché,
senza fargli del male, riesce a sorreggerlo con la morsa dei denti. Va da sé che lo stesso comportamento
mi sentirei di tenere, in virtù del rispetto altrui, se le parti fossero
invertite, se fosse un cane di taglia grossa, ad esempio un mastino napoletano,
a tenere in bocca un uomo di piccola statura, esile, con un berretto irlandese
e le scarpe da ginnastica, che si lasciasse portare in giro infilato fra le
fauci del mastino, stretto per i fianchi, e la cosa non gli dispiacesse,
all’uomo azzannato, che ogni tanto si pulisce con un fazzoletto la bava del
cane che gli cola sul volto.
(*) Richard Sennett, Rispetto. La dignità umana in un mondo di diseguali, a cura di Gabriella Turnaturi, traduzione di Rinaldo Falcioni, il Mulino, Bologna, 2009.
gennaio 2021
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Una versione ridotta e modificata di questo racconto è entrata nella plaquette Dell'impassibilità (2023), scritta insieme a Antonio Castronuovo, cliccate qui.
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