Perché ci affacciamo alla
finestra? Cos’è che ci spinge a guardare fuori da una finestra che si affaccia su
una strada, un cortile, una piazza, sulla campagna aperta o in certi casi
sul mare? È un problema spinoso che mi sono posto tante volte
senza però
riuscirvi mai a dare una risposta persuasiva, soddisfacente.
Mi
rendo conto che, data la complessità del fenomeno (si sbagliano di grosso coloro
che pensano che l’«affacciarsi alla finestra» sia un evento banale, di routine e
dunque perfettamente spiegabile), non è facile rispondere a una simile domanda
perché implica una serie di connessioni, di rimandi, di intrecci fra elementi diversi
e aspettative, a volte contraddittorie, che non sempre si è in grado di
cogliere in tutte le sfumature, di far interagire fra loro. E si rifletta bene:
qui stiamo trattando non del problema legato alla pura e semplice apertura di
una finestra, gesto che di per sé potrebbe essere dettato da un elementare bisogno
di aereazione del locale cui appartiene la finestra che viene dischiusa; non è
il gesto meccanico, preso isolatamente a interessarci, bensì l’apertura della
finestra cui fa séguito lo sguardo di colui che la apre sullo spazio che gli si
offre davanti, è l’«affacciarsi» come mera esplorazione verso l’esterno, come
indagine di ciò che appare oltre la finestra aperta, che ci preme sviscerare e
comprendere.
Comunque
sia cercherò un po’ alla meglio di formulare una risposta sulla
base di una riflessione che ho fatto sull’argomento in questi ultimi
giorni.
In
sintesi io credo che siano due i motivi di fondo per cui ci affacciamo alla
finestra, uno di tipo pratico e l’altro di tipo esistenziale.
Il
primo motivo, quello pratico, è legato a circostanze conoscitive: suonano alla
porta e, stando al piano di uno stabile che si affaccia sul portone dove c’è la
pulsantiera e non avendo il citofono (sono numerosi gli stabili che non lo
hanno), uno si sporge dalla finestra per vedere chi è, prima di aprire la porta
che è un’operazione, quando non esiste uno spioncino, non sempre raccomandabile
di questi tempi; oppure si sente un gran rumore per strada, uno scoppio di
gomma, un grido o uno sferragliare di lamiere o un suono ripetuto e fastidioso
di clacson e allora ci si affaccia alla finestra per accertarsi dell’accaduto,
per vedere chi è lo stronzo maleducato che suona a quel modo, o se ci sono dei feriti,
se qualcuno si è fatto male in un ipotetico incidente e magari ha bisogno del nostro
aiuto. Un altro motivo pratico può essere legato all’arrivo di una persona che
stiamo aspettando con impazienza, il postino ad esempio o un amico, un
idraulico o un elettricista che devono farci una riparazione: in questo caso ci
affacciamo alla finestra per verificare che la persona attesa sia nei paraggi e
non sbagli indirizzo; dalla finestra possiamo segnalargli il portone giusto,
per non fargli perdere tempo. Naturalmente va tenuto conto che l’«affacciarsi
alla finestra» sarà tanto più attuabile quanto più intervengono determinati
fattori ambientali e fisici: voglio dire che l’apertura di una finestra dipende
anche dalla stagione in cui suonano alla porta, d’inverno come s’intuisce facilmente
la propensione a aprire una finestra sarà più contenuta, come pure sarà meno
frequente e più problematica, in giorni particolarmente gelidi, quando si
tratti di soggetti in età avanzata, più sensibili alle correnti d’aria fredda
per paura di prendersi un malanno. Già da questa prima
ricognizione si vede, a dispetto di coloro che sono portati a semplificare le
cose, quanto ampio e articolato sia il raggio delle motivazioni, pratiche in
questo caso, che ci spingono a mettere il naso fuori di una finestra, va da sé
dopo che l’abbiamo regolarmente aperta.
Il
secondo motivo, che abbiamo definito di tipo esistenziale, investe una
dimensione psicologica, e perciò stesso incerta e suscettibile di
interpretazioni discordanti, a seconda delle scuole di pensiero che si
approcciano al problema. Se non è una molla che nasce da esigenze pratiche, come
quelle descritte in precedenza, perché ci apprestiamo a aprire una finestra per
osservarne l’altrove che ci sta di fronte o sotto se abitiamo al primo piano di
uno stabile o ancora più in alto? Che cos’è che ci porta a questo gesto in
apparenza semplice che tuttavia può nascondere motivazioni inconsce e
inconfessabili? In questo caso dobbiamo ricordare che l’osservatore che apre la
finestra sa bene cosa lo aspetta davanti a sé, ovvero quello che vedrà oltre la
finestra, e cioè la solita strada, il solito giardino, il solito caseggiato con
i terrazzi tutti uguali, i soliti negozi, in breve il solito scenario: ciò che cambia
ogni volta che l’osservatore si affaccia alla finestra saranno le persone e le
macchine (se non è una strada chiusa al traffico) che transitano da lì nel preciso
istante in cui l’azione di aprire una finestra si compie (se ci affacciamo
nelle prime ore di un pomeriggio d’estate è probabile che ci saranno poche
persone e poche macchine), ma la cornice sarà sempre la stessa, il panorama che
la visuale della finestra spalancata mostrerà non cambierà per nulla, sarà in
tutto e per tutto identico a quello che ci appare ogni giorno. Questa è una premessa
importante, da non sottovalutare, se vogliamo cercare di capire il perché ci
prendiamo la briga di aprire una finestra, quando non siamo spinti da ragioni
pratiche, e ci affacciamo per guardare fuori.
Dopo aver riflettuto a lungo in questi giorni sono arrivato alla
conclusione che la stragrande maggioranza delle persone, salvo qualche rara
eccezione (una signora, quando può, mangia la frutta appena lavata,
specialmente l’uva, affacciandosi alla finestra per non sgocciolare sul
pavimento; un tale guarda i tramonti di un rosso-viola dalla finestra di casa
sua che dà sul mare; ecc.), la stragrande maggioranza delle persone, dicevo, sta
affacciata alla finestra perché si annoia e non sa cosa fare, e ciò dipende dal
fatto che le persone per lo più sono sole, ovvero, anche se convivono con
qualcuno, è come se lo fossero, e si sentono sole nell’appartamento da cui spiano
il mondo attraverso la finestra e ogni tanto nell’arco della giornata, per
ingannare il tempo e vincere la solitudine, si affacciano a una finestra, in
genere sempre la stessa (a volte c’è chi mette sul davanzale della finestra un
cuscino per stare più comodo), sperando di vedere qualcosa di nuovo, un evento
imprevisto, un fatto diverso dal solito come una persona che inciampa e cade
per terra e si rompe il femore, uno scippo, un incidente automobilistico o, Dio
lo volesse, un efferato omicidio, attesa che quasi sempre viene delusa perché,
dalla finestra che hanno aperto e da cui si affacciano, quelle persone vedono
più o meno sempre le stesse cose, tutti i giorni, salvo qualche trascurabile
dettaglio. È triste doverlo constatare, ma purtroppo la realtà di coloro che,
senza una finalità pratica, si affacciano alla finestra è questa, e lo dico,
non soltanto sulla base della riflessione che ho fatto sul fenomeno,
ma anche e soprattutto per esperienza personale.