Se
qualcuno, incontrandomi, mi chiedesse: «Scusa, c’è qualcosa di nuovo
oggi, per te?», risponderei senza un attimo di esitazione: «No, nulla».
Anche se, riflettendoci, rispetto a tre mesi fa, forse qualcosina ci
sarebbe, ma niente di che. Non proprio una novità in senso stretto, di
quelle che ti fanno esclamare: «Ehilà, che botta di nuovo!».
Il poeta dice: C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico.
«Nuovo» e «antico» spesso convivono. Si sovrappongono. Combaciano.
Mi spiego. Il nuovo – in parole semplici – è qualcosa
che prima non esisteva, altrimenti, se già esisteva, è ovvio che non si
potrebbe parlare di «nuovo». Fin qui non ci piove, innegabile. Qualcuno
sostiene che c’è anche la possibilità che si dia qualcosa di
«semi-nuovo», dove il «semi» sta per «quasi-nuovo», un nuovo che non si
presenta nuovo del tutto, ma è solo parzialmente nuovo.
Faccio un esempio. Un nuovo modello di auto non è una
novità assoluta, perché le auto esistono da tanto tempo, almeno da
quando fu prodotta la Patent Motorwagen (soprannominata Velociped),
un’autovettura fabbricata dal 1886 al 1894 dalla Casa automobilistica
tedesca Benz & Cie, in pratica la prima nella storia con motore a
scoppio.
Dal momento dell’invenzione della Velociped, i
modelli di auto che si sono susseguiti vanno considerati varianti di un
oggetto preesistente, l’auto, e dunque delle semi-novità, non proprie
delle novità in assoluto.
Patent Motorwagen (soprannominata Velociped)
Chiarito questo punto, la novità, o presunta tale, che mi è successa
tre mesi fa, e che mi ha spinto a questa riflessione da condividere con
te, caro lettore, riguarda la conoscenza di una ragazza. Lei si chiama
Edmea, la prima volta che la incontro indossa un camice bianco, è un
tipetto con i capelli neri corti corti, le labbra segnate da un filo
viola di rossetto, sensuale, e davanti è piatta, che per me è quasi un
pregio, non mi hanno mai fatto impazzire le donne felliniane. Edmea (il
nome, mai sentito prima di allora, è appuntato sul cartellino del suo
camice) lavora in una copisteria, dove si effettuano stampe digitali,
self-service bianco & nero, biglietti da visita, buste, manifesti,
tesi, partecipazioni per matrimoni, rilegature, stampa libri
personalizzati, taglio laser, t-shirt, gadget personalizzati.
È evidente che l’incontro con una ragazza non è una
novità nella storia delle mie relazioni sociali, prima di quello con
Edmea ce ne sono stati altri d’incontri al femminile (non molti per la
verità). Resta il fatto che prima di conoscerla, Edmea non esisteva.
Dunque, per me, lei è una novità, o, volendo sottilizzare e dar seguito
al filo del mio ragionamento, una «semi-novità», nel senso che, come ho
ricordato a proposito delle auto, le ragazze non sono novità totali, per
me. Pre-esistono alla comparsa di Edmea.
Con ciò voglio dire, qualora ce ne fosse bisogno, che
lei, Edmea, non è la prima ragazza sulla faccia della terra che
subentra nel mio orizzonte conoscitivo, la prima con cui ho intrapreso
una relazione.
Al momento, Edmea rappresenta il mio «nuovo». Ecco,
mettiamola così. Non posso ritenerla una novità a tutto tondo, ma oggi
come oggi è la mia novità sul piano affettivo; non sbaglierei se la
chiamassi il mio nuovo amore, per usare un’espressione abusata. Sì, il mio nuovo amore. È corretto. Al momento soltanto platonico.
Non che lei potrebbe dire la stessa cosa. Nel senso
che, a giudicare dai fatti, nessuno, con un minimo di discernimento,
potrebbe affermare che sono il suo (di Edmea) nuovo amore.
E questo perché Edmea non mi si fila per niente. Forse non sa nemmeno
che esisto. Quando entro nella copisteria dove lavora non mi vede,
m’ignora, quasi fossi trasparente, l’«uomo invisibile», e non credo si
comporti così per calcolo, come fanno spesso le donne che fingono di non
vederti solo perché tu ti accorga di loro, un trucco per sedurti, fanno
le preziose, ma sotto sotto vogliono attirare la tua attenzione.
Per Edmea sono un cliente come un altro. Nessuna novità.
Forse dovrei dirle che mi piace, farmi avanti,
inventarmi una scusa, chiederle un appuntamento, metterla con le spalle
al muro. O sì o no.
Tanto per mettere le cose in chiaro, Edmea è un fiore
di ragazza che mi accende una nuvola di insane torbidezze, emozioni
forti. La vedo e il cuore comincia a battermi all’impazzata, come se
avessi bevuto un caffè doppio, che a me il caffè, se lo prendo da solo,
senza latte, mi provoca le palpitazioni e non riesco a dormire.
Non so cosa aspetto. Devo buttarmi. Me lo ripeto ogni volta che la incontro.
– Senti, a che ora smonti stasera? Potremmo andare a bere qualcosa, che ne dici? Ti va?
Uno di questi giorni voglio provarci. E se mi manda
al diavolo, pazienza. Ma almeno non si dirà che non ho fatto un
tentativo. Le storie d’amore sono piene di tentativi, nascono perché a
un certo punto si mettono in atto dei tentativi. Un individuo (uomo o
donna che sia) si sblocca. Azzarda, rompendo ogni indugio, e imbastisce
un tentativo.
Da circa tre mesi, vado in copisteria quasi ogni
giorno (se ho tempo, anche due, tre volte al giorno). «Si sarà
insospettita?». La guardo intensamente mentre lavora, mentre si sposta
da una fotocopiatrice all’altra, non le stacco gli occhi di dosso, fin
quando non è il mio turno e lei mi serve, mi rifiuto di farmi servire
dai suoi colleghi, mando avanti le persone in fila dietro di me, aspetto
di avere lei dall’altra parte del banco. Se posso, quando le porgo il
libro con le pagine da fotocopiare (ho fatto più di mille fotocopie
negli ultimi due giorni), cerco di sfiorarle la mano. Che brivido! La
sua mano!
Credo che Edmea non sospetti di nulla. Sono un estraneo per lei. Uno zero.
Non ha la minima idea di chi sia il fotocopiatore
seriale che la tallona e quali siano le sue intenzioni. In copisteria,
la osservo quando mi volta le spalle e poggia il ventre su un lato della
macchina fotocopiatrice. Il camice è largo, non le modella il corpo, le
gambe che escono da sotto il camice sono nude. Nonostante la copertura,
immagino cosa ci sia sotto il camice. Sono attimi di vera sublimazione.
Fra una pagina e l’altra, mentre stende il libro sul vetro della
fotocopiatrice che s’illumina a ogni scatto, Edmea muove leggermente i
fianchi, un ondeggiamento impercettibile che lascia intravedere le
rotondità dei glutei. Non capisco se quelle rotondità siano reali o
frutto di una mia costruzione mentale. Che importa? Finte o reali,
quelle rotondità mi sconquassano, sono una turbolenza.
Dopo tre mesi di pellegrinaggi, di appostamenti, per
la prima volta oggi è accaduto un fatto nuovo. Una svolta. Entro in
copisteria, do un’occhiata intorno e mi accorgo che Edmea non c’è. Sarà
in malattia, in ferie, avrà preso un permesso. Prendo coraggio, chiedo
di lei. Un collega mi dice che Edmea si è licenziata. Come licenziata?
Ho capito bene? Sì, licenziata, mi conferma il collega continuando a
caricare fogli nel cassetto di una fotocopiatrice.
«Ma lei chi è?».
Nessuno, non sono nessuno. «Un amico», balbetto, con un piede già fuori della copisteria.
Licenziata! Questo significa che non la vedrò più. Nonostante non abbia
scambiato una parola con lei, una sola parola, al di là della richiesta:
«Mi fai delle fotocopie, per favore». Sono triste.
Esco dalla copisteria, mi dirigo verso il centro e
improvvisamente la riconosco, seduta su una panchina, nel giardino di
fronte, dietro un gruppo di ragazzini che gioca a pallone. La metto a
fuoco. Non mi sbaglio, è lei. Ha una gonna corta che le lascia scoperte
le gambe fin sopra le ginocchia e un giubbotto di pelle marrone.
Non ho mai visto Edmea senza il camice. È davvero carina.
Mi fa un cenno con la mano, come a dire: «Vieni qui».
Esito. Il gesto sarà rivolto a me? Lei lo ripete. Per un attimo muove la
mano avanti e indietro. Dopo di che, assodato che sono io l’oggetto
dell’invito, oltrepasso il giardino rischiando di prendermi una
pallonata dai ragazzini e mi avvicino a Edmea, diffidente. Potrebbe
avermi scambiato per un altro. Quando le sono accanto, mi fermo e resto
in piedi. La guardo dall’alto in basso. Ha un’aria da tresca. Sorride
arricciando il naso. Con una vocina da educanda, quasi sospirando,
schiude le labbra, colorate di un rosso acceso, e mi dice:
– Ciao.
– Ciao – rispondo.
– Allora? Cosa vogliamo fare?
– In che senso? – farfuglio.
– Ho una camera all’Oro Blu, l’albergo qui dietro.
Una camera? Rimango impietrito. Aumentano le palpitazioni. A che
le serve una camera? Sono sul punto di svenire, il che non sarebbe
sconveniente, cadrei ai suoi piedi. Ma resisto.
L’affermazione di Edmea è blasfema, inaspettata, un
pugno allo stomaco come quello che uccise a tradimento Houdini. Si apre
davanti a me uno scenario insolito, «qualcosa di nuovo», che sul momento
non credo di essere capace di gestire.
gennaio 2024
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