Da anni, in paese, vivono due
«prototipi zoppicanti». Sono una coppia
ben assortita, di genere neutro. C’è voluto del tempo, ma ora tutti, in
paese, vogliono bene ai «prototipi zoppicanti», li guardano con
simpatia. Sono circondati dall’affetto della gente come la mascotte di
una squadra di calcio.
Il primo prototipo è un tizio con una gamba, la sinistra, più corta
della destra di almeno cinque centimetri, così quando cammina è
sbilanciato da una parte, sembra sempre sul punto di cadere, e qualche
volta in effetti cade, se non trova un appiglio a cui aggrapparsi. Non
capisco perché non usi un bastone o un treppiede ortopedico per restare
in equilibrio. Forse il progettista si è dimenticato di munirlo di un
attrezzo di sostegno o forse lo ha ritenuto non necessario, sbagliando i
calcoli.
Il secondo prototipo è l’opposto del primo, lui ha la gamba destra più
corta della sinistra, anche lui di cinque centimetri circa, quindi
arranca mentre cammina, dimena il tronco a sinistra e a destra, in un
movimento altalenante, che se uno lo guarda dopo un po’ gli viene il mal
di testa.
In paese sono chiamati i «prototipi zoppicanti». Li conoscono tutti con questo buffo appellativo.
Qualcuno non si trattiene e maligna, mette in giro la voce che, in
quanto zoppicanti, siano prove mal riuscite, scarti, modelli difettosi. E
allora? Se anche fosse? Di certo, la zoppia nulla toglie alla loro
umanità, non ne scalfisce di un millimetro l’armonia dei sentimenti.
Escono quasi sempre in coppia, i «prototipi zoppicanti», dato che vivono
nello stesso stabile dove ha sede il laboratorio che li ha progettati.
Stessa stanza, la numero 34, vicina al bagno.
Se per caso incontrano per strada un anziano che traballa, munito di un
bastone, mostrando una certa curvatura nel portamento, non si riguardano
e si fermano a parlare con lui. Vogliono condividere la loro zoppicante
condizione. Si sentono vicini a tutti coloro che sono portatori di una
claudicazione evidente, di una storpiatura. Ma non escludono il piacere
di soffermarsi anche con i cosiddetti «normodotati», parola bruttissima.
In
genere l’anziano, che non parla con nessuno durante la giornata, perché
è solo e ha perso la moglie da poco e i figli sono in un’altra città o
all’estero, s’intrattiene volentieri a fare due chiacchiere con i
«prototipi zoppicanti», non gli pare il vero, sono personcine a modo i
«prototipi zoppicanti», magari il terzetto ne approfitta e si siede su
una panchina, se è lì vicino, tanto per passare qualche ora in
compagnia, che uno, dopo, si sente meglio. Dimentica le tristezze. È una
boccata d’ossigeno.
Una volta, raccontano in paese (ma forse è una fandonia bella e buona), i
«prototipi zoppicanti», in corso Garibaldi, all’angolo con via
Ferruzzi, hanno incrociato un cestino dei rifiuti, infilato nel
marciapiede, vicino alla parete di un palazzo antico, di fianco al forno
Pane fresco di Oreste, e l’hanno scambiato per una persona con
una gamba sola, un’asta nera di ferro. Gli hanno chiesto, al cestino,
che stava ritto per miracolo, con un sacchetto di plastica abboccato
dentro, se avesse bisogno d’aiuto. Il cestino, naturalmente, non ha
risposto, è rimasto abbottonato, e i «prototipi zoppicanti» dopo qualche
minuto d’attesa, di fronte al silenzio del cestino, se ne sono andati,
dispiaciuti. Hanno scosso entrambi la testa, come a dire «Pazienza».
Forse non aveva voglia di parlare, quel signore con una gamba sola,
hanno pensato i «prototipi zoppicanti», che sono creaturine gentili e
ingenue, che, per quanto il loro cuore sia artificiale, e abbiano due
gambe asimmetriche, non li sfiora mai un pensiero cattivo, non sono mai
propensi a credere che ci sia dell’indifferenza o peggio ancora della
disumanità nell’atteggiamento del prossimo.
Qualche volta i «prototipi zoppicanti» vanno al cinema Lux. Ci vanno di
preferenza al mercoledì pomeriggio, perché il biglietto costa meno (il
loro sussidio statale è modesto) e comunque la sera non vogliono fare
tardi, devono rientrare presto a casa, prima che tramonti il sole, per
non preoccupare il progettista che ha garantito per la loro buona
condotta in questura. La maschera del Lux, che ha una gamba offesa, li
accompagna in sala illuminando il percorso fra le file delle seggioline
con una pila, e li fa accomodare non troppo vicino allo schermo. Sempre
al solito posto. I film che i «prototipi zoppicanti» prediligono sono
quelli di registi giapponesi, in versione originale.
Mio zio Goffredo Puccetti, fratello di mia madre, era un generale
dell’esercito in pensione. Aveva una gamba di legno, fin sopra il
ginocchio, perché gli era esplosa una bomba a due passi durante la Prima
guerra mondiale. Quando veniva a trovarci, si metteva seduto su una
poltrona rivestita da un tessuto a fiori verdi. Nell’attimo in cui
piegava la gamba di legno con un leggero tocco della mano, sentivo
distintamente il clic della gamba di legno che s’inarcava, prendendo una
posizione a L.
Tutte le volte che ci faceva visita, lo zio Goffredo si prodigava nello
stesso giochetto, cui abboccavo, credulone com’ero. Era bravo
nell’esecuzione. Si tirava su un lembo dei pantaloni della gamba destra,
quella di legno, fin quasi al ginocchio (la prima volta mi fece
impressione vedere la gamba di legno, ero piccolino, 5 o 6 anni), poi
diceva: «Attento, guarda bene la mia mano», io fissavo la sua mano, lui
strusciava il pugno chiuso sulla gamba di legno, velocemente, come se
volesse prendere qualcosa che era nascosto dentro le venature del legno,
poi apriva il pugno sotto i miei occhi. Sul palmo della mano, aveva una
monetina, dieci lire, che mi regalava. «Ohhhhhhhh!» sospiravo io,
sbalordito.
Per tanti anni ho creduto che la gamba di legno di mio zio Goffredo
fosse piena di monetine da dieci lire, che lui via via riempiva per
realizzare il suo giochetto.
Oggi mio zio Goffredo non c’è più, e però sono convinto che se avesse
conosciuto i «prototipi zoppicanti», gli sarebbero piaciuti, senza
troppi preamboli, avrebbe fatto amicizia con loro, per via della
complicità delle gambe fuori norma, sebbene diventate tali in contesti
diversi, ma anche per una certa affinità mentale, un modo leggero e
positivo di prendere la vita, che per quanto riguarda mio zio Goffredo
gli derivava dalla disgrazia patita in guerra, che lo aveva reso
invalido e allo stesso tempo meno intransigente con gli altri e con se
stesso, mentre per i «prototipi zoppicanti» nasceva dall’essere frutto
di un esperimento ingegneristico non del tutto felice, che forse, a
sentire alcuni in paese, spiegava il loro carattere bonario.
febbraio 2024
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