IL POSTERO
Quello uno scrittore? Si vedrà fra cent'anni.
Giorgio Manganelli Oggi è stata una giornata speciale per me: nel pomeriggio ho fatto la conoscenza di un mio postero, fra i tanti che avrei potuto incontrare. Devo dire che è stato un incontro emozionante e allo stesso tempo istruttivo, e però, in un certo senso, anche distruttivo. Ad ogni modo mi ha profondamente segnato. Mentre arrivo al luogo pattuito, intravedo il mio postero seduto a un tavolino sotto il gazebo del caffè Paszkowski in piazza della Repubblica a Firenze. Sta leggendo il giornale e sopra il tavolino ha alcuni libri messi uno sopra l’altro, a formare una piccola pila, e poi un mazzo di chiavi, una penna e dei fogli dattiloscritti. Si capisce dall’aspetto (occhialini tondi, barba, papillon e giacca di velluto nero) che è un intellettuale, modello architetto o critico d’arte di quelli che vanno tanto di moda oggi in televisione. Come l’ho scelto? Non è stato facile. Avevo una gamma di opzioni molto vasta, articolata. Poi mi sono detto: un postero vale l’altro, è sufficiente che sia una persona istruita, con una certa preparazione culturale, un grande lettore. Quest’ultimo connotato, da solo, mi ha dato un margine sufficiente di garanzia. Mi avvicino al suo tavolino per presentarmi: − Buonasera, è il signor Campolungo? − Sì − risponde lui guardandomi appena. − Sono Paolo Albani. Grazie per essere venuto. − Nessun problema, si figuri. Prego, si accomodi − fa lui spostando una sedia alla sua destra. − Prende qualcosa? − mi chiede. − Un caffè, grazie. Campolungo alza un braccio per richiamare l’attenzione del cameriere. Prima che arrivi il mio caffè iniziamo la conversazione. − Allora, caro Albani, cosa vuol sapere da me? − Ecco, lo dico con un certo ritegno, sono sinceramente imbarazzato, mi creda, non vorrei mi giudicasse un presuntuoso… − Sarebbe in buona compagnia, non si preoccupi − m’interrompe Campolungo sorridendo, come per volermi incoraggiare e mettermi a mio agio. − Insomma, il punto è questo: sarei curioso di sapere se lei ha letto qualcuno dei miei libri; non è per vantarmi, ma ne ho scritti diversi, e tutti ben recensiti finora, e con un buon numero di copie vendute. − E perché mai le interessa sapere se ho letto qualche suo libro? − Come le dicevo nella mia e-mail, lei è un mio postero e allora, sa, per uno scrittore è una cosa che riveste una certa importanza appurare in qualche modo se sarà letto anche dopo la sua scomparsa, se i suoi libri continueranno a essere consultati anche quando lui non c’è più. − Vede, caro Albani, voglio essere sincero con lei. Quando mi ha mandato la sua e-mail con quella bizzarra richiesta, al principio il suo nome non mi ha detto nulla, ho cercato velocemente nella mia memoria un qualche indizio, un aggancio, un riferimento che mi potesse aiutare… Mi sono detto: Albani, Albani, Paolo Albani, ma non mi è venuto in mente nulla. È la verità. − Ah, bene, bene − balbetto io che in realtà avrei voluto esclamare (come esclamo dentro di me) “Oh, cazzo!”; dopo di che mi limito a fare un sorrisetto ebete, di convenienza, incassando il bruciante responso del mio postero che, mentre parla, non mi guarda mai negli occhi. − Dunque non le sarà difficile dedurre da tutto questo − continua Campolungo, togliendosi gli occhialini tondi che pulisce con un tovagliolino di carta − che, essendomi completamente sconosciuto il suo nome, non ho neppure mai avuto l’opportunità di leggere i suoi libri, nemmeno uno, sono spiacente. − Capisco − dico io visibilmente amareggiato. Di fronte alla sua affermazione, rimango male, come se mi avessero pugnalato alle spalle, sono ferito nell’orgoglio, è chiaro, non potrebbe essere altrimenti. La cosa è desolante: per il mio postero sono un emerito sconosciuto, uno scrittore inesistente. Finisco di sorseggiare il caffè. − Ma che tipo di libri scriveva, sono curioso – chiede Campolungo, inforcando di nuovo gli occhialini tondi, sempre senza guardarmi. − Magari adesso potrei… − No adesso, mi scusi, non vale più − dico io un po’ brutalmente, deciso a tagliar corto. Mi rendo conto che mi sto comportando in maniera scortese, però non ho più voglia di restare lì, seduto al tavolino del caffè Paszkowski con il mio postero che candidamente mi dice che non ha letto nessuno dei miei libri. È imbarazzante. A questo punto mi alzo e, di nuovo scusandomi, farfuglio: − Si è fatto tardi, devo andare, è stato davvero gentile, la ringrazio molto per la disponibilità. Campolungo mi saluta, senza scomporsi; uscendo dal gazebo del caffè Paszkowski, passo davanti al tavolino dove si è svolta la nostra conversazione e vedo attraverso la vetrata che circonda il gazebo che lui ha aperto uno dei suoi libri e si è messo a leggere. Quando sono arrivato, scorgendo quei libri, da lontano, avevo pensato per un attimo, ingenuamente, che fossero i miei. marzo 2014 Questo racconto è apparso sull'Almanacco 2017. Mappe del tempo. Memoria, archivi e futuro, curato da Ermanno Cavazzoni per Quodlibet Compagnia Extra, pp.
29-32. Scrive Nikolaj Gogol': "Un vero poeta aspira alla gloria dei
posteri - e io, ahimè, non ho ancora fatto niente per meritarla. La
gloria dei contemporanei non vale un soldo" (Nikolaj Gogol' nei ricordi di chi l'ha conosciuto, a cura di Giovanni Maccari, Quodlibet Compagnia Extra, Macerata 2022, p. 279).
____________________________________ In omaggio a Dino Buzzati ho letto questo racconto durante la presentazione della mostra Voci visibili nel granaio: 42 poeti visivi per Dino Buzzati, a cura di Alfonso Lentini, nel granaio della Villa di Dino Buzzati a Belluno (via Visome n. 18), sabato 30 settembre 2017. Al mio fianco Alfonso Lentini.
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