Paolo Albani
IL POSSIBILE

 

           Vi siete mai chiesto cosa si annida nel possibile? La domanda non è oziosa.

         Il possibile si riferisce a ciò che si può realizzare o accadere, è un evento che rientra nei limiti di un’ipotesi, di una supposizione. Al di là del possibile (concetto affine al «potenziale») si apre un’immensa, sterminata gamma di attendibili occorrenze di cui tuttavia è difficile prevedere in anticipo l’effettiva realizzazione, perché se uno degli anelli dell’infinita catena delle possibilità si rendesse prevedibile, allora automaticamente non sarebbe più possibile, ma diventerebbe consequenziale, effetto inevitabile di una specifica causa (il tuono segue il bagliore del lampo non come possibilità, bensì come necessità stabilita in modo ferreo da una legge fisica).

     Tutto è ipoteticamente possibile, il che significa che fra le opzioni ammissibili c’è anche quella che alla fine non accada niente, dato che il tutto, onnicomprensivo di qualsiasi evenienza fattuale, include per statuto ontologico anche il niente, ma non vale il contrario. Ma qui, sul problematico rapporto tutto-niente, non voglio rischiare di avvitarmi in vuote disquisizioni orecchiate tanti anni fa a scuola e di allontanarmi dal nocciolo della questione che più mi sta a cuore.

          Ho fatto questa premessa non per sollevare una discussione filosofica (non m’intendo di filosofia, al liceo rosicchiavo appena la sufficienza in filosofia), ma perché mi sento un perseguitato del possibile, una sua vittima.

      In che senso? Prendiamo ad esempio il mio amico Luigi Manfredotti, detto Gigi. Nessuno mi toglie dalla testa che Gigi, scapolone impenitente, abbia intenzione di scoparsi mia moglie. Giudico la cosa altamente possibile sotto ogni punto di vista e questo, è naturale, mi turba e non mi fa dormire sonni tranquilli. Che le intenzioni di Gigi siano quelle di sedurre Luisa, mia moglie, lo deduco da una serie di discorsi che, da qualche tempo a questa parte, Gigi mi somministra spudoratamente. «Tua moglie è davvero una donna affascinante» mi dice ogni volta che ci vediamo, «Tu sei l’uomo più fortunato di questo mondo a avere una moglie stupenda come Luisa», «Se tu non fossi mio amico, io su Luisa ci avrei già fatto un pensierino» e altre fesserie di questo genere. Gigi telefona spesso a Luisa, stanno a chiacchierare al telefono per ore. «Non fare il geloso» mi dice Luisa quando la sorprendo a parlare al telefono con Gigi, «io e Gigi siamo solo buoni amici, l’ho conosciuto prima di te e con lui non c’è mai stato nulla». Però quando Luisa è al telefono con Gigi vedo che cambia espressione, gli occhi le brillano di una luce strana, fa la voce da gattina, cammina su e giù per la stanza, si passa di continuo una mano fra i capelli, nervosamente. Insomma non è un comportamento normale, da vecchi amici, come vuol farmi credere lei.

      Una volta ero in giro per lavoro, telefono a Luisa prima di cena e lei candidamente mi dice: «Sai chi c’è qui? È passato a trovarmi Gigi, povera stella. Vuoi salutarlo?» Salutarlo? Altro che salutarlo, io quello lì, la povera stella, prima o poi l’ammazzo, non me ne frega niente di prendermi l’ergastolo, almeno metto fine al mio tormento…

         Quante possibilità ho di uccidere Gigi? Svariate, credo, a occhio e croce. Di nuovo il possibile che mi perseguita, che non mi fa dormire. Sto troppo male. Uno di questi giorni lo butto sotto con la macchina, e non se ne parla più. Oppure lo attiro in una trappola: m’invento una scusa, fisso un appuntamento in collina e quando nessuno ci vede, nel buio della sera, lo scaravento giù dalla terrazza del ristorante dove di solito andiamo a cena, saranno almeno quaranta metri di precipizio, non ha scampo. Potrei anche affogarlo nell’acqua calda della piscina termale di Monsummano, in un giorno infrasettimanale in cui c’è poca gente, o sparargli durante una battuta di caccia al cinghiale nel grossetano simulando un tragico incidente, se ne leggono tante di queste disgrazie, o mettergli del veleno nella tazzina del caffè quando c’incontriamo al bar di piazza San Marco, però, no, questa è un’idea rischiosa, il barista o qualche cliente potrebbero vedermi. Insomma devo pensarci bene a come sopprimere Gigi.

        Alla fine è possibile anche che non succeda nulla (l’ipotesi rientra nel gioco delle parti fra il tutto e il niente di cui parlavo prima), che non trovi il coraggio di uccidere Gigi. Sono profondamente un vigliacco, e comunque uccidere un uomo non è uno scherzo, per quanto Gigi meriti davvero di scomparire dalla faccia della terra. E allora sapete cosa vi dico? Che vada a farsi fottere Gigi, che si scopi pure mia moglie, se proprio deve succedere – lo so che è un discorso idiota – preferisco sia lui, che dice di essere un amico, piuttosto che un estraneo.

          La verità è che può accadere di tutto. Vedete? Di nuovo la maledizione del possibile, sono soggiogato da questa forza aleatoria, imprevedibile, sempre in agguato. Il caso di Gigi che vuole scoparsi mia moglie è solo uno dei tanti esempi che segnano la mia condizione di ostaggio del possibile.

          Volete un altro esempio di quanto sia dipendente dal possibile?

        Tempo fa mi ero messo in testa di farmi assumere da un circo equestre come clown. Era una possibilità, volevo dare una svolta alla mia vita, perché no, a me è sempre piaciuto divertire la gente (nel mio piccolo mi sforzo di farlo anche sul lavoro quando visito i clienti o a tavola con gli amici), ho perfino seguito un «Corso per clown e arti circensi» a Milano. Nel pieghevole dell’associazione culturale organizzatrice dei corsi per adulti principianti e professionisti si leggeva:

 

Il nostro clown è un vero riciclatore di memorie, intime o sociali, che ridà vita a luoghi, oggetti e persone. Il percorso di questa scuola è basato sulla scoperta sincera e interiore del proprio clown, per poter amare e affrontare noi stessi, per poi riuscire a amare gli altri.

 

    Ma lasciamo perdere questa faccenda del clown, ci porterebbe troppo lontano. Tanto avete già capito di che pasta sono fatto: un misto d’incertezza e di frustrazioni, per limitarsi ai tratti più evidenti del mio carattere. Perciò, morale della favola, niente clown, anche quella chance, come tante altre che non sto a raccontarvi, è svanita, bruciata.

     Da anni rimugino su quante possibilità ho di cambiare lavoro (mi sono stufato di fare il rappresentante di gioielli, di rischiare la pelle per il lusso degli altri), di lasciare mia moglie Luisa e di farmi un’altra vita, lontano da qui, in un’altra città, magari con un’altra donna. È possibile tuttavia, tanto per non smentirmi, che non decida nulla, che resti esattamente nel punto in cui sono ora, un punto sabbioso, paralizzante, che mi fa temere che Gigi prima o poi riuscirà a scoparsi mia moglie e che io, da quell’inetto che sono, continuerò a vendere gioielli per il resto della mia vita. Che posso farci, quando uno si sente prigioniero del possibile, vede affacciarsi un sacco di possibilità davanti a sé, ma ciò non significa che riesca a sceglierne una.

    Non ricordo bene chi l’ha detto, forse Jean-Paul Sartre (se le mie reminiscenze liceali non m’ingannano): noi non siamo liberi di essere liberi, questa è la vera fregatura.

 

 
agosto 2017

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