IL POSSIBILE
Vi siete
mai chiesto cosa si annida nel possibile?
La domanda non è oziosa. Il possibile si riferisce a ciò che si può realizzare
o accadere, è un evento che rientra nei limiti di un’ipotesi, di una
supposizione. Al di là del possibile (concetto
affine al «potenziale») si apre un’immensa, sterminata gamma di attendibili
occorrenze di cui tuttavia è difficile prevedere in anticipo l’effettiva realizzazione,
perché se uno degli anelli dell’infinita catena delle possibilità si rendesse
prevedibile, allora automaticamente non sarebbe più possibile, ma diventerebbe consequenziale, effetto inevitabile di
una specifica causa (il tuono segue il bagliore del lampo non come possibilità,
bensì come necessità stabilita in modo ferreo da una legge fisica). Tutto è ipoteticamente
possibile, il che significa che fra
le opzioni ammissibili c’è anche quella che alla fine non accada niente, dato
che il tutto, onnicomprensivo di qualsiasi evenienza fattuale, include per
statuto ontologico anche il niente, ma non vale il contrario. Ma qui, sul problematico
rapporto tutto-niente, non voglio rischiare di avvitarmi in vuote disquisizioni
orecchiate tanti anni fa a scuola e di allontanarmi dal nocciolo della
questione che più mi sta a cuore. Ho fatto questa premessa non per sollevare una
discussione filosofica (non m’intendo di filosofia, al liceo rosicchiavo appena
la sufficienza in filosofia), ma perché mi sento un perseguitato del possibile, una sua vittima. In che
senso? Prendiamo ad esempio il mio amico Luigi Manfredotti, detto Gigi. Nessuno
mi toglie dalla testa che Gigi, scapolone impenitente, abbia intenzione di
scoparsi mia moglie. Giudico la cosa altamente possibile sotto ogni punto di vista e questo, è naturale, mi turba
e non mi fa dormire sonni tranquilli. Che le intenzioni di Gigi siano quelle di
sedurre Luisa, mia moglie, lo deduco da una serie di discorsi che, da qualche
tempo a questa parte, Gigi mi somministra spudoratamente. «Tua moglie è davvero
una donna affascinante» mi dice ogni volta che ci vediamo, «Tu sei l’uomo più
fortunato di questo mondo a avere una moglie stupenda come Luisa», «Se tu non
fossi mio amico, io su Luisa ci avrei già fatto un pensierino» e altre fesserie
di questo genere. Gigi telefona spesso a Luisa, stanno a chiacchierare al
telefono per ore. «Non fare il geloso» mi dice Luisa quando la sorprendo a
parlare al telefono con Gigi, «io e Gigi siamo solo buoni amici, l’ho
conosciuto prima di te e con lui non c’è mai stato nulla». Però quando Luisa è
al telefono con Gigi vedo che cambia espressione, gli occhi le brillano di una
luce strana, fa la voce da gattina, cammina su e giù per la stanza, si passa di
continuo una mano fra i capelli, nervosamente. Insomma non è un comportamento
normale, da vecchi amici, come vuol farmi credere lei. Una volta
ero in giro per lavoro, telefono a Luisa prima di cena e lei candidamente mi dice:
«Sai chi c’è qui? È passato a trovarmi Gigi, povera stella. Vuoi salutarlo?»
Salutarlo? Altro che salutarlo, io quello lì, la povera stella, prima o poi l’ammazzo,
non me ne frega niente di prendermi l’ergastolo, almeno metto fine al mio
tormento… Quante
possibilità ho di uccidere Gigi? Svariate, credo, a occhio e croce. Di nuovo il
possibile che mi perseguita, che non
mi fa dormire. Sto troppo male. Uno di questi giorni lo butto sotto con la
macchina, e non se ne parla più. Oppure lo attiro in una trappola: m’invento
una scusa, fisso un appuntamento in collina e quando nessuno ci vede, nel buio
della sera, lo scaravento giù dalla terrazza del ristorante dove di solito andiamo
a cena, saranno almeno quaranta metri di precipizio, non ha scampo. Potrei
anche affogarlo nell’acqua calda della piscina termale di Monsummano, in un
giorno infrasettimanale in cui c’è poca gente, o sparargli durante una battuta
di caccia al cinghiale nel grossetano simulando un tragico incidente, se ne
leggono tante di queste disgrazie, o mettergli del veleno nella tazzina del
caffè quando c’incontriamo al bar di piazza San Marco, però, no, questa è un’idea
rischiosa, il barista o qualche cliente potrebbero vedermi. Insomma devo
pensarci bene a come sopprimere Gigi. Alla fine è
possibile anche che non succeda nulla
(l’ipotesi rientra nel gioco delle parti fra il tutto e il niente di cui parlavo
prima), che non trovi il coraggio di uccidere Gigi. Sono profondamente un
vigliacco, e comunque uccidere un uomo non è uno scherzo, per quanto Gigi meriti
davvero di scomparire dalla faccia della terra. E allora sapete cosa vi dico? Che
vada a farsi fottere Gigi, che si scopi pure mia moglie, se proprio deve
succedere – lo so che è un discorso idiota – preferisco sia lui, che dice di
essere un amico, piuttosto che un estraneo. La verità è
che può accadere di tutto. Vedete? Di nuovo la maledizione del possibile, sono soggiogato da questa forza
aleatoria, imprevedibile, sempre in agguato. Il caso di Gigi che vuole scoparsi
mia moglie è solo uno dei tanti esempi che segnano la mia condizione di ostaggio
del possibile. Volete un
altro esempio di quanto sia dipendente dal possibile?
Tempo fa mi
ero messo in testa di farmi assumere da un circo equestre come clown. Era una
possibilità, volevo dare una svolta alla mia vita, perché no, a me è sempre
piaciuto divertire la gente (nel mio piccolo mi sforzo di farlo anche sul
lavoro quando visito i clienti o a tavola con gli amici), ho perfino seguito un
«Corso per clown e arti circensi» a Milano. Nel pieghevole dell’associazione
culturale organizzatrice dei corsi per adulti principianti e professionisti si leggeva: Il nostro clown è un vero riciclatore di memorie, intime o sociali, che
ridà vita a luoghi, oggetti e persone. Il percorso di questa scuola è basato
sulla scoperta sincera e interiore del proprio clown, per poter amare e
affrontare noi stessi, per poi riuscire a amare gli altri. Ma lasciamo
perdere questa faccenda del clown, ci porterebbe troppo lontano. Tanto avete
già capito di che pasta sono fatto: un misto d’incertezza e di frustrazioni, per
limitarsi ai tratti più evidenti del mio carattere. Perciò, morale della
favola, niente clown, anche quella chance, come tante altre che non sto a
raccontarvi, è svanita, bruciata. Da anni
rimugino su quante possibilità ho di cambiare lavoro (mi sono stufato di fare
il rappresentante di gioielli, di rischiare la pelle per il lusso degli altri),
di lasciare mia moglie Luisa e di farmi un’altra vita, lontano da qui, in
un’altra città, magari con un’altra donna. È possibile tuttavia, tanto per non smentirmi, che non decida nulla,
che resti esattamente nel punto in cui sono ora, un punto sabbioso,
paralizzante, che mi fa temere che Gigi prima o poi riuscirà a scoparsi mia
moglie e che io, da quell’inetto che sono, continuerò a vendere gioielli per il
resto della mia vita. Che posso farci, quando uno si sente prigioniero del possibile, vede affacciarsi un sacco di
possibilità davanti a sé, ma ciò non significa che riesca a sceglierne una. Non ricordo
bene chi l’ha detto, forse Jean-Paul Sartre (se le mie reminiscenze liceali non
m’ingannano): noi non siamo liberi di
essere liberi, questa è la vera fregatura.
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