Paolo
Albani
IL COMMISSARIO POLIDORI
Con La pistola nel cassetto
sbagliato (Milano, Perini Editore,
2003, pp. 112, Euro 22,00) Michele Notarbartolo ci regala un nuovo
avvincente
episodio della serie che ha come protagonista il commissario Polidori,
questa volta alle prese con un delitto maturato negli ambienti dei
restauratori
di mobili.
Chi è il commissario Polidori? Così lo descrive lo stesso
Notarbartolo ne Il fachiro travestito, il volume che ha
inaugurato,
qualche anno fa, la fortunata collana di gialli dell’editore Perini.
Alla fine degli anni settanta, conseguita la laurea in Giurisprudenza
e vinto il concorso per l’accesso alla «qualifica dei commissari
della Polizia di Stato», dove risulta quarto su 426 concorrenti,
Antonio Polidori è assegnato al commissariato de «La
Ventosa»,
popoloso quartiere che si affaccia sul porto di Maggianese, un
labirinto
di viuzze vociferanti con i panni stesi da una casa all’altra e un
pittoresco
mercatino del pesce al centro, regno incontrastato, specie di notte, di
una litigiosa comunità di gatti.
Soprannominato dai colleghi «pizzetto» per un triangolino
di peluria barbosa incollato sul mento che si accarezza nelle pause
riflessive,
Polidori svolge una funzione speciale nel campo investigativo,
un’attività
ancora poco valorizzata dal Ministero dell’Interno, ma con un futuro in
crescita davanti a sé. In breve il suo compito è scoprire
i non assassini.
Polidori entra in azione subito dopo che l’assassino ha confessato
o è stato smascherato dalla polizia. A quel punto, risolto il
caso,
con un fiuto irresistibile, Polidori inizia le indagini per trovare i non
assassini e mettere in luce il ruolo che non hanno svolto
nella
dinamica dei fatti delittuosi.
L’obiettivo è chiaro: creare il vuoto intorno al vero colpevole,
non lasciargli alcuna possibilità di confondere le acque. Il
procedimento
risponde a una logica ineccepibile: «Quanto più ampio
è
il numero dei non assassini accertati, tanto più
evidente
si fa la responsabilità del reo confesso». In questo gioco
d’incastri e di verifiche alla rovescia, Polidori è diventato un
vero maestro, un esperto il cui approccio metodologico comincia a
ricevere
consensi, anche se ancora timidi, nell’ambito della letteratura
scientifica
sul crimine.
Gli interrogatori a cui il «pizzetto» sottopone i non
assassini, individuati dopo lunghi appostamenti, intercettazioni
telefoniche
e minuziosi riscontri, sono condotti in un clima di estrema correttezza
formale, con un ritmo grintoso e intransigente.
Polidori recita sempre lo stesso copione: all’inizio parte da lontano,
mantiene la conversazione sul vago, tergiversa, fingendo a volte di
perdere
il filo del discorso; guarda in aria, fischiettando distratto; poi,
piano
piano, con un volo concentrico, stringe la morsa intorno alla sua
preda,
braccandola in un angolo come un boxeur all’attacco che vuole chiudere
l’incontro prima del gong.
- Perché
la notte del delitto non si trovava
nell’appartamento del morto?
- C’erano dei buoni motivi per non aver
mai conosciuto
la vittima?
- Si rende conto che non possedere l’arma
del
delitto può aggravare la sua posizione?
- Ci risulta che Lei non ha mai fatto la
spesa
nel quartiere della vittima, dove ci sono due supermercati e tre
minimarket.
Mi sa dire perché?
- Come spiega che non Le abbiamo trovato
alcun
segno di colluttazione sul corpo?
- Lei non è vegetariano, come la
vittima.
Una strana coincidenza, non crede?
- Il suo orologio va cinque minuti
indietro. Per
quale ragione non ha spostato le lancette sull’ora giusta?
- Ho visto che non ha avuto il
minimo turbamento
quando Le ho mostrato le foto della donna strangolata.
Una volta, seguendo i
retroscena di un difficile caso (appena
risolto), quello del cosiddetto «plagiario bieco di via
Roccasomara»,
immortalato nell’omonimo racconto di Notarbartolo, riesce a mettere
alle
strette un ferroviere in pensione con alcune domande taglienti:
- Sa imitare il
verso della gallina al telefono?
- Conosce tutta La cavalla storna a
memoria?
- Perché non ha mai preso lezioni
di ukulele?
Alla fine, dopo sfibranti ore di
interrogatorio, quando il poveretto
o la poveretta crollano esausti dichiarandosi, con un grande senso di
liberazione, non
assassini, Polidori si distende felice assumendo l’aria del
galletto
che ha appena finito di razzolare tutto il cibo intorno a
sé.
L’investigazione ha avuto successo, un altro non assassino
è
stato assicurato alla giustizia.
Soddisfatto, Polidori esce dalla sua stanza cercando lo sguardo pieno
di ammirazione dei colleghi. Mentre si ricompone, aggiustandosi i
pantaloni
(che porta regolarmente senza cintura), offre alle sue vittime un
caffè
o una sigaretta. Poi li saluta con una pacca sulla spalle: «Mi
raccomando,
non si faccia più pizzicare dai miei agenti, intesi?»
A questo punto un sorriso gli addolcisce il pizzetto alla Vittorio
Amedeo I riflettendosi, benevolo, sulle grandi sopracciglia nere che
ispirano
fiducia.
luglio 2002
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Apparso su il
Caffè
illustrato, 15, novembre-dicembre 2003, p. 7.
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Il racconto è uscito anche in
La governante di Jevons. Storie di precursori
dimenticati, Campanotto 2007.
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