Omaggio dei poeti visivi a Giacomo Leopardi nel bicentenario della nascita a cura di Alessandro Benfenati e Gian Paolo Roffi Università degli Studi di Bologna Aula carducci novembre-dicembre 1998 Scritti di Davide Rondoni, Gian Paolo Roffi, Valerio Dehò, Luciano Nanni, Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti __________________________________ I "poeti visivi" per il poeta del "vedere"
di Davide Rondoni Direttore del «Centro di poesia contemporanea»
dell'Università degli Studi di Bologna La
poesia visiva è un'esperienza che ha segnato il volto della
poesia contemporanea. Io non ne sono un intenditore, tanto meno un
critico, ma so, lo so per gli occhi e per la mano, che questa vicenda ha
segnato e segna il farsi del testo delle poesie che proviamo a scrivere
oggi. L’aver incontrato il fascino strano di opere come quelle che di
seguito sono presentate, non può non generare un turbamento e una
messa in feconda discussione di quanto intendiamo per poesia,
soprattutto colta nei suoi problematici legami con la percezione.
Il "Centro di poesia contemporanea" ha dunque pensato di immettere nel gran corpo delle celebrazioni per il Bicentenario della nascita di Giacomo Leopardi un evento di poesia visiva. Non si è trattato solo di un modo "originale" per partecipare all'importante ricorrenza. Del resto, Leopardi è un poeta eminentemente del vedere. I suoi testi iniziano spesso con l'invito o con la memoria - che è anch'essa un invito, straziante, a volte - del vedere, del guardare. Il fatto che i poeti che si considerano visivi presentino il loro omaggio a Leopardi non risulta, dunque, un accostamento casuale, pur se tutto da indagare e da scoprire nelle sue eventuali risorse. La mostra di cui questo catalogo è segno e pegno si presenta come occasione per tale indagine e come evento di poesia. Questa, per sua natura, è sempre un avvenimento che ridesta a guardare l'avvenimento del mondo. Lo speciale gesto dei poeti visivi che hanno accettato il rischio di questa esposizione può aiutare a tenere desta tale vocazione della poesia. Paolo Albani La poetica dell'IN finito, 1998 metro di legno e lettere di bronzo in rilievo, cm 35 x 54 "io quello/ infinito silenzio a questa voce/ vo comparando"
L’Infinito leopardiano
può essere interpretato, fra le altre cose, come il luogo della
finitezza del linguaggio, di fronte all'incommensurabile e indicibile
intensità dei sentimenti. Allora, quale più efficace
strumento per esprimere tale finitezza se non un metro vero e proprio,
tangibile e avvolgente? Il termine "IN" (nell'accezione di "entro") sta
poi a indicare l'incompletezza del conoscere se stessi, della nostra
esplorazione interiore... O no?
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