Paolo Albani
IL PITTORE DELLA DOMENICA
             


       
    Nel saggio introduttivo del Katolog der ueberzeugendsten Werke der Sonntags-Maler. 1885-1946 (Catalogo delle opere più convincenti dei pittori della domenica. 1885-1946), il critico d’arte Reinhard Koch traccia le linee discriminanti che caratterizzano la figura del «pittore della domenica», precisando altresì la metodologia da lui impiegata per esplorare a fondo l’argomento e le motivazioni («la rilevanza dell’atipicità marginale in arte, specchio di un apporto innovativo, sebbene deformante, al primitivismo») che hanno ispirato il suo studio.
    Chi è dunque il «pittore della domenica»?
    La figura conosciuta nel mondo dell’arte con l'espressione «pittore della domenica», è un artista, esordisce Koch, che opera prevalentemente en plein air, cioè all’aperto, e quasi sempre alla domenica (da qui il nome che lo caratterizza), l’unico giorno della settimana in cui è libero da impegni di lavoro o familiari.
    Le sue preferenze vanno principalmente alla riproduzione di paesaggi marini o campestri, agli scorci di stradine periferiche, di muri bianchi e assolati, di boschetti collinari; i soggetti più rappresentati dal «pittore della domenica» sono gli animali da cortile e quelli domestici, meglio se in movimento, come buoi, anatre, capre, porci, galline, cani e gatti; i volti anonimi di contadini, di gitanti festosi o di fanciulle sorprese in atteggiamenti estatici, oltre a una serie di oggetti d’uso comune: sedie, lampioni, pantofole, comodini, statuette, barattoli di cucina, caffettiere.
    Per quanto riguarda più in dettaglio le nature morte, Koch precisa che il «pittore della domenica» ha gusti ben definiti. Egli preferisce i fiaschi impagliati alle bottiglie verdi con il collo lungo, le arance rosse alle banane mature, le tovaglie a quadretti a quelle di lino bianco, le orchidee ampollose ai fiori di campo, le triglie fresche ai gamberetti.
    In secondo luogo si tratta di un pittore che impiega per lo più tecniche spontaneistiche, come quella cosiddetta alla prima che consiste nell’applicare i colori direttamente come si vedono in natura, evitando preparazioni o abbozzi. Diffusa fra i «pittori della domenica» è anche la tecnica meglio nota come alla seconda che si attua ri-dipingendo lo stesso soggetto su una prima esecuzione (non mancano casi isolati di tecniche alla terza e persino alla quarta).
    Il «pittore della domenica» - si apprende inoltre dallo studio di Koch - non ama le tinteggiature precalcolate, antepone le ombre ai brilli, cioè ai punti dove batte più intensamente la luce, predilige i pennelli a lingua di gatto consunti a quelli integri, i colori rientranti, le tinte locali e sorde, i riflessi fuori campo, le mescolanze omogenee così come le superfici secche invece di quelle pingui. È un cesellatore di effetti a sgabello e di linee pieghevoli, un appassionato di contrasti relativi, di prospettive in levare, di gradazioni a terrazza.
    Ai vari tipi di «pittori della domenica» indagati dalla critica (l’estroverso, il mimetico, l’applicativo, l’ostinato, il contagioso, il distratto, l’irruente, il puritano), Koch aggiunge il ballerino, così chiamato per l’instancabile mutamento del punto di osservazione che lo contraddistingue. Il ballerino, spiega Koch, è un «pittore della domenica» instabile, divorato da una frenesia motoria che lo spinge, di continuo, a smobilitare la propria postazione iniziale e a sceglierne un’altra, di poco distante dalla prima, in un crescendo di piccoli traslochi e fughe laterali; il ballerino non trova mai pace, assorto in snervanti correzioni millimetriche dell’angolo visuale, che sovente lo condannano a lasciare incompiuto il suo dipinto.
    Un ulteriore tratto caratteristico del «pittore della domenica», ricorda Koch, è la sua inarrestabile prolificità. Nonostante il breve tempo dedicato alla pittura, produce un numero di quadri di gran lunga superiore al corpus medio di un pittore famoso; pezzi generalmente di piccole dimensioni (circa 20x40 cm), eseguiti su ogni tipo di materiale, anche povero come tavolette di compensato, fondi di scatole di cartone o di cassette ortofrutticole.
    A testimonianza della fecondità del «pittore della domenica», Koch riporta il caso del monacense Matthias Laugen (1865-1946), magistrato e allevatore di cavalli, che vanta al suo attivo una produzione annua di più di 1.650 quadri, di argomento vario (albe nebbiose, nature morte, pranzi di matrimonio), ma soprattutto fantini, selle, scudisci, ritratti di cavalli e di stallieri, coppe di concorsi ippici, dipinti in prevalenza alla domenica o durante le prime luci dei giorni festivi.
    Un lungo capitolo del libro di Koch è dedicato ai «pittori della domenica» in qualche modo famosi, come l’acquerellista François Baudelaire (1759-1827), padre di Charles, non molto stimato dal poeta de Les fleurs du mal che una volta confessò: «Mio padre era un pessimo artista». Si veda al riguardo lo studio di Cl. Bertin, «François Baudelaire (1759-1827), peintre à la gouache», in L’Estampille, 1987.
    L’imponente Katolog di Koch è pieno di gustosissimi aneddoti.
    Uno riguarda Alphonse Saulnier, un «pittore della domenica» di Arles, morto di gotta nel 1911, che, mentre dipingeva fettine di carne di maiale, salsicce e cacciagione varia, che poi cucinava sulla brace e mangiava insieme agli amici, aveva l’abitudine d’indossare un grembiulaccio sporco di sangue, di quelli lunghi, da macellaio. C’è poi la storia di Camille F., una pittrice belga che tutte le domeniche smontava la bicicletta del figlio per dipingerne le ruote, la catena e gli altri pezzi meccanici che appendeva ai rami degli alberi da frutta del suo giardino. E quella del tedesco A. G. – a suo modo un precursore (siamo negli anni 1892-1899) dei «quadri-trappola» di Daniel Spoerri - che amava ritrarre i tavoli ancora da sparecchiare nei ristoranti. Qualche volta A. G. si divertiva a incollare qua e là sulle tele, alla maniera di Spoerri, dei piatti veri unti di sugo, posate, bottiglie di vino e dei pezzetti di cibo avanzati. Ogni domenica, all’ora di pranzo, con il suo bravo cavalletto, una tela, i pennelli e la valigetta dei colori a olio, A. G. entrava in un ristorante, mangiava e poi tranquillamente si metteva a dipingere il tavolo prima che il cameriere avesse avuto il tempo di sparecchiare; terminata la tela, se gli restava ancora qualche minuto e se riteneva di non dare fastidio, si spostava nei tavoli accanto, e continuava a dipingere. Una domenica, a Colonia, il proprietario del ristorante «Il fuggiasco» che conosceva bene la sua «attività artistica», non appena lo vide sistemare il cavalletto davanti a un tavolo in disordine da cui si erano appena allontanati due clienti, s’infuriò e lo cacciò via malamente. Un altro singolare aneddoto del Katalog di Koch riguarda l'attività pittorica di Gustave Klees (1876-1941), un organista lussemburghese, che, da marzo a settembre, nei giorni di festa, sotto un gazebo posto al centro di una grande terrazza della sua casa, usando colori accesi, vibranti, puntualmente si metteva a dipingere «i rintocchi delle campane delle chiese di Wiltz che hanno sempre tonalità diverse» - sosteneva - «per quanto impercettibili, anche se suonate dalla stessa mano».
    L’arco temporale della ricerca di Koch si chiude con il 1946, anno della morte del magistrato Laugen, considerato dal critico tedesco uno degli ultimi esponenti di spicco dei «pittori della domenica». Per l’inizio, Koch ha invece scelto il 1885, e la ragione è presto svelata: è l’anno di composizione di un curioso dipinto firmato dal pistoiese Vannino Zani (1843-1914).
    Il quadro riproduce una scalinata, con i gradini irregolari e l’intonaco sbrecciato sui muri laterali, che si apre ai piedi di una chiesa barocca, esattamente nella stessa prospettiva raffigurata in una tela di Giovanni Segantini, dipinta dal maestro trentino nel medesimo periodo. Anche l’ora dell’esecuzione, o meglio il tempo fermato su entrambi i dipinti, appare la stessa, a giudicare dalla curvatura delle ombre allungate verso sinistra.
    La sola variante ambientale che differenzia i due quadri, scrive Koch, è la domenicalità (sonntagheit) della scena ritratta: mentre nel dipinto di Segantini compare un solo personaggio, un prete mingherlino, ripreso di spalle, che stancamente si avvia verso la chiesa, la mattina tardi di un venerdì di marzo (quest’ultimo particolare è riferito dallo stesso Segantini in una lettera a Domenico Tumiati), quello di Zani mostra un gruppo di donne che affolla la scalinata (si riconoscono due suore e una bambina, in alto, insieme alla mamma), non lasciando alcun dubbio sul giorno della settimana in cui è stato eseguito, come del resto il titolo stesso del quadro suggerisce.



Giovanni Segantini, A messa prima
Saint Moritz, Museo Segantini
ol/tl 108x211 f 1884-85



Vannino Zani, Dopo la messa domenicale
Pistoia, Museo Civico
ol/tl 108x211 f 1886-87

[Elaborazione grafica di Alessandra Barsi]

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Venerdì 26 dicembre 2014, a Pagina3,
programma radiofonico di approfondimento
delle pagine culturali e dello spettacolo di Rai Radio3,
Edoardo Camurri ha parlato di questo mio racconto,
per ascoltarlo cliccate qui.

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Il testo è uscito in La governante di Jevons.
Storie di precursori dimenticati
,
Campanotto, Udine 2007, pp. 17-22.



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