Paolo Albani
LE LETTURE
DELLA SIGNORA PIA

 
Questa è una meta-recensione, meta perché si tratta di una recensione su un libro di recensioni. È un vezzo diffuso tra scrittori e critici letterari, ma non solo, diciamo più in genere fra gli uomini di cultura cui piace far sentire la propria voce e mantenere un rapporto diretto con il pubblico, di raccogliere ogni tanto i propri scritti apparsi (e sparsi) su riviste, almanacchi, quotidiani, fogli, foglietti e quant’altro, a volte con piccole aggiunte, sottrazioni o modifiche varie.
 Per l’editore Toschi di Milano, lo scrittore Mario Lo Diacono, il cui ultimo romanzo, Una siepe troppo alta, si è aggiudicato, com’è noto, il Premio «Luigi Baggini», ha raccolto i suoi interventi, usciti nel periodo 1984-1998, sulle pagine culturali de La Gazzetta di Lodi in una rubrica settimanale socraticamente intitolata «Io so di non sapere». 

Ne è nato un testo irriverente, velenoso anche nel titolo Scusate se ne parlo (pp. 128, Euro 20,00), un’antologia di brevi interventi al vetriolo, offensivi quanto basta per sfiorare il senso del ridicolo, oltre che, se uno volesse infierire e giocare la parte del legalista permaloso, il codice penale.

 Le recensioni di Lo Diacono presentano due qualità caratterizzanti: a) sono tutte negative, cattivissime, implacabili; b) riguardano libri, giunti in omaggio alla redazione de La Gazzetta di Lodi, che, per ammissione dello stesso Lo Diacono, lui non ha mai letto, anzi si è guardato bene dal leggere.
 I giudizi di Lo Diacono, formulati in uno stile quasi sempre tranchant, ingeneroso, sono delle frustate terribili, dei macigni che si abbattono senza pietà sulle vittime prescelte, come quando, a proposito de Il coraggio da vendere di Ettore Costa, un romanzo sul conflitto madre-figlia, Lo Diacono si lascia andare a frasi del tipo: 

L’autore non sa nemmeno come si cucina un’omelette ai funghi e pretende di spiegarci i buoni sentimenti di Federica, la protagonista.

O come questa: 

Nel capitolo sulla fuga da casa della figlia minorenne di Federica sarebbe stato meglio prima di tutto far pulire alla ragazza la cucina, ridotta ad un bordello di tegami unti e di piatti ancora sporchi dei rimasugli della cena, invece che dilungarsi sulle patetiche convulsioni esistenziali della madre.

Recensendo Gli occhi verdi del gatto di Flavia Zecchi, che qualcuno ha accomunato, per ritmo narrativo e visione del mondo, a Va’ dove ti porta il cuore, Lo Diacono si scaglia contro la scrittrice friulana, la Zecchi appunto, definendola senza mezzi termini:

una sciacquetta che molto probabilmente non ha mai dato il cencio sui pavimenti o che non sa di certo cosa significhi strusciare i gomiti sui mobili, ma che parla, o meglio sparla in continuazione di appartamenti puliti, in perfetto ordine, di bagni che profumano di lavanda, di vetrate limpide da cui si godono panorami rilassanti.

Anche il giudizio su L’emigrante di Luca Bernardi, da cui è stato tratto il film per la TV diretto e interpretato da Michele Placido, non si discosta, nel tono sufficiente e ingiurioso, da quelli dei brani visti in precedenza:

Un libro in cui i letti sono sempre immancabilmente disfatti, sottosopra, dove non c’è nulla al suo posto, e ovunque, nella casa dell’emigrante, circolano cattivi odori, visto che nessuno si preoccupa di aprire le finestre e cambiare l’aria.

Di fronte alla ruvida veemenza critica che percorre le recensioni di Lo Diacono il lettore resta sconcertato. Anche perché sorge spontanea una domanda: 
«Ma Lo Diacono come fa a parlare di questi libri se non li ha letti?»
Nell’introduzione a Scusate se ne parlo, Lo Diacono non si sottrae all’interrogativo e fa intravedere una spiegazione: 

I libri che in quel periodo si accumulavano sulla scrivania della mia stanza alla Gazzetta di Lodi – scrive il nostro scorbutico recensore - io non li ho mai letti; lo ha fatto per me la signora Pia, la mia donna di servizio, una vedova cinquantasettenne, un po’ cicciotella, ma piena d’energia, che abitava da sola a Cornegliano Laudense, e che era ben felice di leggere quella roba là, perché la sera, non avendo la televisione, si annoiava da morire.

febbraio 2003

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Il racconto è uscito anche in
La governante di Jevons. Storie di precursori
dimenticati
, Campanotto 2007.




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