LA PETTINATURA Immagino vi sarà capitato di vedere,
in televisione o su qualche giornale, la pettinatura di Donald Trump, come pure
quella di Boris Johnson o del dittatore della Corea del Nord Kim Jong-un. Mi
sono sempre chiesto se ci sia un legame, una qualche relazione significativa
tra la pettinatura di un politico, un primo ministro o dittatore, e la sua fede
politica, le sue idee, il suo programma per guidare un paese. Credo che un legame esista e sia ben
riconoscibile a un attento esame. Non può essere casuale che uno abbia una
pettinatura stravagante, assurda, al limite del ridicolo, e che allo stesso
tempo, nella vita pubblica, sia il sostenitore di un programma d’idee
altrettanto stravagante. Partiamo da lontano, tanto per
acclimatarci con l’argomento. Partiamo ad esempio da Napoleone Bonaparte,
l’imperatore francese di origini corse. Avete presente quei due ciuffetti che
gli cadono sulla fronte? Perché mai due? Le spiegazioni sono varie. Napoleone
Bonaparte è stato incoronato due volte, una prima volta imperatore dei francesi
il 2 dicembre del 1804 nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, una seconda
volta Re d'Italia il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano: è in quest’ultima
occasione che, postosi sul capo la corona imperiale, Napoleone pronunciò la
famosa frase: «Dio me l’ha data, guai a chi la tocca». Allo stesso tempo
Napoleone è stato esiliato due volte, la prima volta nell’isola d’Elba,
successivamente e definitivamente nell’isola di Sant’Elena, situata nell’oceano
Atlantico centro meridionale, dove morì il 5 maggio 1821. A parte questa spiegazione numerologica, la biforcazione del
ciuffetto di Napoleone potrebbe anche significare un’altra cosa, più legata al
comportamento politico di Napoleone, riferirsi cioè alla sua doppiezza politica,
dato che Napoleone non di rado affermava in pubblico una cosa («Non invaderò
mai la Russia, mai!») e poi ne faceva un’altra. E tutto questo – farsi
incoronare due volte, con in mezzo due esilianti ricoveri, mentire spudoratamente
– aveva un solo obiettivo: la Gloria, poiché, diceva Napoleone, «vivere senza Gloria
è un po’ come morire giorno per giorno». Venendo ai nostri giorni, prendiamo in considerazione la
pettinatura ondivaga del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Bisogna
dire subito che il ciuffo traverso che gli copre la fronte non è un parrucchino;
Trump stesso si è tirato i capelli diverse volte o se li è fatti tirare da altre
persone per dimostrare che i suoi capelli sono veri. Secondo Caroline Mitgang,
esperta di cosmetica e parrucchiera, Trump ha uno o più «ciuffi ribelli» che
crescono in direzione frontale. Ogni capello cresce da un follicolo pilifero che
si trova nello scalpo; dall’orientamento del follicolo dipende la direzione in
cui cresce il capello. Un ciuffo ribelle è un gruppo di capelli che cresce in
una direzione diversa da tutti quelli che lo circondano. L’unico modo per
controllare un ciuffo ribelle è farlo crescere, in modo che il suo stesso peso
permetta di piegarlo e indirizzarlo nella direzione desiderata. In conclusione:
la tesi di Mitgang è che Trump non ha né un parrucchino né un riporto, ma porti
i capelli lunghi al solo fine di tenere sotto controllo i suoi ciuffi ribelli:
la sua vera colpa è quella di avere scelto per il suo finto riporto una tinta
color «giallo pulcino appena nato». Dunque anche la pettinatura Trump ha una sua logica
stringente: «controllare i ciuffi ribelli» può considerarsi una metafora,
piuttosto esplicita, del grado di arroganza, determinazione e spregiudicatezza
con cui Trump gestisce il potere negli Stati Uniti («controllare i ciuffi
ribelli» sta per controllare la società, i flussi migratori, la finanza,
l’opposizione, ecc.), è un dato incontrovertibile, è sotto gli occhi di tutti. Le stesse cose si possono dire della pettinatura del leader
inglese Boris Johnson, anche lui – non credo sia un caso fortuito – portatore
di una frangetta color «giallo pulcino appena nato». La differenza con Trump è
che la pettinatura di Johnson, la sua frangetta, è orientata verso il basso, cade
all’in giù, come nei cani Bobtail, il che è un chiaro indice del grado di
sottomissione e di allineamento (che i due statisti siano allineati lo dimostra
l’identico colore dei capelli) del governo inglese nei confronti di quello
statunitense. La pettinatura del dittatore nordcoreano Kim Jong-un è in
apparenza più facile da interpretare. La forma geometrica della sua chioma,
perfettamente squadrata, senza un capello fuori posto, raffigura in modo
plateale il desiderio di inquadramento delle tensioni sociali, di controllo capillare
esercitato sui propri cittadini. Il fatto poi che i capelli di Kim Jong-un
siano dritti, sparati verso l’alto, proiettati in direzione dell’«immensità del
cielo», avvalora la tesi del forte egocentrismo del dittatore nordcoreano: sta
a ribadire che Lui è il capo supremo, assoluto, indiscutibile, che guarda tutti
dall’alto (della sua chioma corvina). Metro alla mano, nessuno in Corea del
Nord – lo stabilisce una legge di stato – può avere una pettinatura che superi
in altezza quella di Kim Jong-un, pena la fucilazione immediata. In questi giorni, riflettendo sugli aspetti della
pettinatura dei politici, ho avuto una specie di folgorazione (o semplice
intuizione, che poi è l’altra faccia della stessa medaglia): ho capito perché
il mio amico Remigio Flaccidoni, disoccupato in attesa di sussidio, con moglie
e due figli maschi che, sebbene ancora piccoli, non promettono nulla di buono, non
abbia neppure un capello in testa, sia calvo, pelato come una palla da biliardo;
la superficie del suo cranio a forma di pera è talmente liscia che non sente il
bisogno di schierarsi con nessun partito o movimento, di prendere posizione su
questo o quel problema sociopolitico, sia nazionale che internazionale: del
resto per lui i politici – lo ripete in ogni occasione – sono tutti
indistintamente e palesemente dei corrotti, degli intrallazzatori, un’associazione
a delinquere di individui meschini, che più sono potenti e più hanno delle
facce di merda, come anche le loro pettinature (quest’ultima nota sulle
pettinature l’ho aggiunta io).
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