Paolo Albani
CAPIRE COSA CI FA RIDERE
NON È UNO SCHERZO
   

   

    Perché ridiamo? Sembra una domandina all’apparenza facile facile. Che diamine! Ridiamo perché siamo felici, perché qualcuno ci ha raccontato una barzelletta, perché un signore vestito di nero, dall’aria burbera e severa, è scivolato su una buccia di banana, perché un nostro amico, burlone, ci ha fatto uno scherzo, perché qualcuno, magari lo stesso amico di prima, si è preso gioco delle nostre aspettative.
    Insomma, si ride per tanti buoni motivi, ma, attenzione, la faccenda è più complicata. Se questa domandina finisce nelle mani, o meglio nelle menti perspicaci, di un neuroscienziato e di una etologa, la musica cambia, se poi il neuroscienziato si chiama Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi, statene certi, la domandina «Perché ridiamo?» non apparirà più facile facile, ma un bel rompicapo.
    I nostri due studiosi affrontano il tema del riso da un punto di vista neurale, ovvero scrutando in primo luogo le reazioni che avvengono dentro il cervello umano quando si compie una delle azioni più frequenti nella nostra vita quotidiana: ridere.




    Caruana e Palagi smontano due assunzioni consolidate nel tempo: la prima che la risata sia un comportamento unicamente umano, estraneo agli animali; la seconda che la risata sia qualcosa di strettamente connesso allo humour. Inadeguate, secondo gli autori, sono le teorie fino a oggi elaborate sull’argomento, per lo più da critici letterari, antropologi, psicologici sociali e filosofi. L’approccio di Caruana e Palagi, che pure si avvalgono di varie discipline scientifiche, è «neuroetologico», ovvero naturalistico e evoluzionista, il che li porta a costruire – facciamo subito spoiler – una teoria dell’interazione sociale, per la quale il riso è un comportamento sociale che trova la sua funzione originaria nello stabilire legami sociali e nel consolidare l’istituirsi di un gruppo sociale. A queste conclusioni Caruana e Palagi arrivano dopo aver criticato la teoria della superiorità, antica come il cucco (Platone, Aristotile), per cui si ride di qualcuno perché ci sentiamo  superiori a lui, o la teoria dell’incongruenza, secondo cui ridiamo a causa dell’apprezzamento di qualcosa che viola le nostre attese (Kant, Schopenhauer, Pirandello) o ancora la teoria del sollievo, che vede nella risata una valvola di sfogo di un’energia o di una tensione accumulate in precedenza (Darwin, Spencer, Freud, Dewey).
    La formulazione della teoria dell’interazione sociale passa attraverso l’analisi del ruolo comunicativo e affiliativo (connettersi con gli altri) delle vocalizzazioni che marcano la risata, non solo negli uomini ma anche negli animali, come i ratti e le grandi scimmie antropomorfiche, tirando in ballo le aree del cervello preposte a funzioni emozionali e motorie, le espressioni facciali, i neuroni specchio.
    Se questo è condivisibile, mi viene da dire, da profano. Benissimo, il ruolo primario della risata è stabilire e rinforzare i legami sociali. E però si ride anche da soli, ci facciamo sovente delle grasse risate in piena solitudine, senza interlocutori davanti a noi. Quindi?
    Un altro punto a latere. Il riso indotto dall’humour è sconosciuto agli animali, affermano Caruana e Palagi. Allora sentite questa storia. Negli anni 1912-1913, William Mackenzie (1877-1970), biologo e parapsicologo inglese, studia il caso di un terrier scozzese di tre anni di nome Rolf, noto con il nome di «cane ragionante» poiché la bestiola, addestrata dalla sua padrona, la signora Paula Moekel di Mannheim, è capace di contare e rispondere a domande complesse (William Mackenzie, Nuove rivelazioni della psiche animale, A.F. Formíggini, 1914; il testo fu utilizzato-parodiato in un racconto, Nuove rivelazioni della psiche umana. L’uomo di Mannheim, da Tommaso Landolfi). Per dimostrare che Rolf, oltre che intelligente, ha il senso dell’umorismo, Mackenzie riporta questa conversazione avuta con il cane. Durante una seduta gli chiede se gli piace lavorare e Rolf risponde: «No!». «Oh guarda, proprio come tanti altri che conosco io. Ma allora,» chiede Mackenzie «se non lavori volentieri, perché lavori?». «Debbo!» risponde Rolf. «Se devi, vuol dire che non lavorando succede qualche cosa che vuoi evitare. Che cosa succede dunque se non lavori?» incalza Mackenzie. «Botte!» risponde Rolf. A questo punto la signora Moekel insorge affermando che non è vero niente. Rolf «sembra però molto soddisfatto della sua risposta e scodinzola allegramente. È evidente», commenta Mackenzie, «l’intenzione umoristica che l’ha dettata».



Fausto Caruana e Elisabetta Palagi
Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale
il Mulino, pagg. 184, € 19




«Domenica - Il Sole 24 Ore», N. 290,
20 ottobre 2024, p. VII.


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