LA PASTA INTEGRALE C’è stato un periodo, forse qualcuno se lo ricorderà, in cui quelli che mangiavano la pasta integrale, non importa di che tipo: spaghetti, cellentani, farfalle, ditaloni rigati, penne, bavette, fusilli, tortiglioni, ecc., venivano visti male, con sospetto, e la gente li additava per strada come fossero stati degli appestati. «Guarda quello là», diceva una signora molto in carne, «è uno di quelli che mangia la pasta integrale, ti rendi conto?» «Che vergogna! È inaudito!», rispondeva un altro. Si era scatenata una vera e propria caccia al mangiatore di pasta integrale perché quelli che mangiano la pasta integrale, diceva la gente, in questo imbeccata e influenzata dalle autorità costituite e dai mass media, sono dei guastafeste che si credono chissà chi, e dietro il paravento di un finto salutismo in realtà si fanno in quattro per rovinare il buongusto in tavola, ammazzano con la loro scelta integralista le belle tradizioni culinarie del nostro paese, e alla fine, reato stomachevole, distruggono l’immagine della nostra gastronomia all’estero mettendo in cattiva luce i prodotti che ci hanno resi famosi in tutto il mondo. L’indignazione popolare contro la pasta integrale crebbe a dismisura e ben presto, com’era prevedibile, finì per investire indistintamente tutti i prodotti integrali: pane, grissini, biscotti, torte, ecc. A Napoli in zona Mergellina un pizzaiolo fu sottratto per miracolo dai carabinieri al linciaggio di una folla inferocita che gli distrusse il locale perché aveva profanato spudoratamente il mito della pizza facendone alcune con la farina integrale. Disgustoso! «L’ho fatto perché sono diabetico e le fibre aiutano il metabolismo degli zuccheri» si difese il pizzaiolo piagnucolando davanti al giudice. In quel periodo i NAPI (Nuclei
Antimangiatori Pasta
Integrale), corpo speciale di polizia che dipendeva dal Ministero per
la Salute Pubblica, facevano spesso dei controlli a tappeto, non solo
nei negozi di alimentari e nei ristoranti, ma anche nelle abitazioni
private, muniti di regolari mandati di perquisizione rilasciati dalla
magistratura che su questo punto, il consumo abusivo di pasta
integrale, era diventata intransigente e non guardava in faccia a
nessuno. Tanto che una volta venne arrestato perfino un sottosegretario
che dai banchi del Parlamento, nei comizi e in televisione era fra i
più scalmanati a stigmatizzare il comportamento indecoroso dei
mangiatori di pasta integrale, ma intanto lui, insieme alla sua
famiglia, di nascosto, si faceva due, tre volte la settimana
quell’insulso tipo di pasta: Alfonso Grattacaso, era questo il nome del
sottosegretario, venne pizzicato in flagrante grazie alla soffiata di
un suo compagno di partito.
In genere, verso l’ora di pranzo o di cena,
una
squadra di agenti dei NAPI si presentava nelle abitazioni dei
sospettati mangiatori di pasta integrale per controllare quello che
avevano messo in tavola, rovistavano minuziosamente nelle dispense,
nelle madie, nei ripostigli, mettendo a soqquadro ogni angolo della
casa in cerca della merce incriminata.
Quasi sempre gli agenti dei NAPI si
portavano dietro dei cani
addestrati appositamente al fiuto della pasta integrale. Cani del
genere erano impiegati anche nei valichi di frontiera, negli aeroporti,
negli scali marittimi e nei posti di blocco istituiti in modo
particolare durante i week end quando, statistiche alla mano,
più intensa era l’attività criminosa dei mangiatori di
pasta integrale.Di solito se il mangiatore di pasta integrale veniva sorpreso con la forchetta in mano e davanti a un piatto di pasta integrale ancora fumante scattava immediato l’arresto. Anche la Chiesa, e non poteva essere altrimenti, fece sentire la sua voce sulla delicata questione della pasta integrale. Il vescovo di Salerno durante l’omelia della domenica disse che se uno mangiava la pasta integrale commetteva un peccato grave, e doveva pentirsi subito e non esitare un attimo, da buon cristiano, a cambiare regime alimentare se non voleva andare dritto all’inferno. Naturalmente fu abolita ogni forma di pubblicità della pasta integrale e con voto unanime, senza neppure un astenuto, il Parlamento decretò l’aggiunta di un nuovo articolo del codice civile che proibiva gli assembramenti in strada e in tutti i luoghi pubblici e le riunioni clandestine aventi per oggetto la pasta integrale, disponendo per i trasgressori multe salatissime, l’interdizione a vita dai pubblici uffici e finanche il carcere dai 2 ai 4 anni. Con grande tempismo Roberto Lanfranchi, una delle firme più note del giornalismo italiano, si fece promotore di un'accesa campagna di stampa per cambiare il nome dell'Accademia della Crusca con l'intento di riportarlo per ragioni etico-scientifiche a un livello di decoro che fosse conforme alla svolta anti-integralista del momento: propose perciò che l'Accademia della Crusca, con una cerimonia ufficiale aperta da un discorso del Capo dello Stato, fosse rinominata Accademia delle Bellissime e Purissime Lettere. L’ultimo accorgimento delle autorità, predisposto nella fattispecie dal Ministero degli Interni, fu quello di far sparire dai libri di storia qualsiasi riferimento alla pasta integrale così che, alla fine, venne oscurato, fra gli altri, il fatto deleterio che Garibaldi fosse stato un grande consumatore di pasta integrale e ne avesse fatto uso persino durante la sua memorabile spedizione, esaltandone apertamente, specie prima di ogni battaglia, le supposte virtù fra le sue camicie rosse. D’intesa con l’Associazione Nazionale degli Editori vennero poi mandati al macero tutti i romanzi (compresi quelli di Prisco, Moravia e Bevilacqua) in cui c’erano personaggi che dichiaravano esplicitamente, o comunque lasciavano intendere fra le righe, la loro perversa simpatia verso la pasta integrale. Il vocabolario Zingarelli, ristampato in tutta fretta, riportava come seconda accezione della voce «integrale», da integro, questa breve spiegazione: «Detto di farina di frumento o di altri cereali che si presenta particolarmente povera, insulsa e disdicevole proprio perché non (o solo parzialmente) abburattata, ormai scomparsa di circolazione in quanto proibita per legge».
Questo testo è uscito su il
Caffè illustrato, 58, gennaio-febbraio 2011, pp. 6-7.
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