Paolo Albani
L’AMBIGUITÀ NUTRITIVA 
DEL LINGUAGGIO

testo scritto per la tesi
di Matteo Palmisano
PROGETTARE L’IMPREVISTO
Souvenir oggettuali del turismo paranoide
Dalle polisemie linguistiche ai cortocircuiti formali
con la collaborazione di
Stefano M. Bettega e Carlo Spoldi

presso l'I.S.I.A. 
(Istituto Superiore per le Industrie Artistiche) di Firenze
2007


«Luigi fa l’amore con sua moglie tre volte alla settimana. Anche Mario». La frase, tratta da Lector in fabula di Eco, è un divertente esempio di ambiguità del linguaggio, più esattamente di ambiguità sintattica, dovuta cioè alla struttura della frase, alla disposizione delle parole, come nella scritta: «Vendonsi letti per bambini di ferro con palle di ottone». Oltre a quella sintattica, esiste un’ambiguità semantica o lessicale («Quel cane del commissario») e un’ambiguità dovuta all’omonimia dei termini (pòrto 1: s.m.: spazio di mare protetto, approdo; pòrto 2: v. vb da portàre; pòrto 3: s.m.: vino liquoroso portoghese; pòrto 4: part. m. da pòrgere).
In ambito artistico-letterario l’ambiguità è un fattore nutritivo. In poesia si parla di linguaggio figurato, cioè pieno di figure, quali metafore, sineddoche, ecc., forme espressive la cui peculiarità sta nella deviazione, nello scarto dal linguaggio normale.
Il messaggio a funzione estetica è strutturato in modo ambiguo rispetto al sistema di attese che è il codice linguistico. Perché ambiguo? In primo luogo perché il messaggio estetico (ad esempio una poesia) si realizza in una prassi che offende, che devia dalla norma, cioè dal linguaggio ordinario, comune. Lo scarto è dato dall’ambiguità che caratterizza il linguaggio poetico. 
La lettura di una poesia, con le sue espressioni singolari, gli slittamenti semantici, le parole ermetiche, vaghe, diversamente da quanto accadrebbe se leggessi l’orario dei treni o l’elenco del telefono, suscita la nostra attenzione.
Pungola la nostra fantasia, disponendoci a uno sforzo conoscitivo, a scelte interpretative che si accumulano a ogni rinnovata lettura. Nel contesto della poesia, le parole, anche le più banali, si caricano di significati nuovi, inattesi.
A volte l’ambiguità è giocata, ricercata intenzionalmente, come nella poesia per enigmi, negli indovinelli (LA NONNA: Lavora d’ago fino a mezzanotte / per aggiustare le mutande rotte, dove la soluzione è LA BUSSOLA, nella seconda lettura «mezzanotte» sta per il «nord») o nelle crittografie mnemoniche (mezzo minuto di raccoglimento = CUCCHIAINO).
L’ambiguità linguistica, alimentata dai fenomeni della polisemia e dell’omonimia, diventa massima nel caso delle parole inventate. Le Fànfole di Fosco Maraini, definite dal loro autore «poesia metasemantica», sono lì a testimoniarlo: IL GIORNO AD URLAPICCHIO: Ci son dei giorni smègi e lombidiosi / col cielo dagro e un fònzero gongruto / ci son meriggi gnàlidi e budriosi / che plògidan sul mondo infrangelluto...
L’ambiguità è l’anima del calembour, o gioco di parole, manipolazione linguistica costruita sui doppi sensi, sul bisticcio (Laura e l’aura), sull’equivoco fonico ottenuto a volte con la sostituzione o con l’aggiunta di una semplice lettera. 
In Come ho scritto alcuni miei libri Raymond Roussel svela di aver scritto Impressioni d’Africa, Locus Solus e altri libri, usando un procedimento molto particolare: si scelgono due parole quasi simili (billard, biliardo, e pillard, predone), poi si aggiungono delle parole uguali, ma prese in due differenti significati, ottenendo così due frasi identiche solo in apparenza (Les lettres du blanc sur les bandes du vieux billard - Les lettres du blanc sur les bandes du vieux pillard), quindi si tratta di scrivere un racconto che possa cominciare con la prima e finire con la seconda frase. 
Alla base di molte gag, sketch teatrali, film e romanzi, c’è l’equivoco, ad esempio qualcuno che viene scambiato per un altro, così che ogni parola viene equivocata, l’equivoco si aggiunge all’equivoco portando la situazione al limite dell’assurdo. Si pensi al film di Benigni Johnny Stecchino dove Dante, autista di uno scuolabus per bambini down, non sa di essere il sosia di un mafioso siculo pentito che vive barricato in casa per paura di essere ucciso. 
Dunque, in estrema sintesi, l’ambiguità del linguaggio è nutritiva perché produce ricchezza interpretativa, effetto sorpresa, spaesamento, cortocircuiti immaginativi.

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Matteo Palmisano
ISTRUZIONI PER L’USO

Si prenda il vocabolario della lingua italiana.
Si inizi a leggere tutte le sue 2200 circa pagine alla ricerca di parole ambigue, omonime, polisemiche. Per facilità potete concentrare l’occhio solo su quei lemmi dove il susseguirsi di diversi numeri arabi indicano con chiarezza uno scarto tra significante e significati teso a testimoniare la presenza della molteplicità.
Individuata una di questa verificate che essa si riferisca in almeno due dei suoi molteplici significati a due distinti oggetti. 
Sì perché siamo alla ricerca di parole che significhino due o più distinti oggetti. Individuati questi allora iniziate a combinare, a cercare coincidenze, formali, funzionali, tipologiche, magari soluzioni espressive o pragmatiche in uso nell’uno e non ancora nell’altro caso. Osmoticamente ibridate e combinate, ipotizzate come l’uno possa influenzare l’altro per una sempre maggior crescita funzionale.
Appunto. State attenti alla funzionalità.
Scegliete solo quelle combinazioni i cui frutti possano dare imprevisti esiti. Non artistici come una spina elettrica a forma di spina di pesce ma realmente funzionali. Siate paranoici nel ricercare e giustificare la novità di questa nuova tipologia oggettuale, siate consci di poter conquistare l’irrazionale e lo sconosciuto con le ragioni della funzionalità espressa. Siate critici e paranoici allo stesso tempo.
Solo così progetterete l’imprevisto. 

PROGETTARE L’IMPREVISTO

Questo progetto di ricerca vuole essere l’occasione per prendere sul serio quello che seriamente per troppo tempo non è stato pensato: il gioco di parole e le sue potenziali ibridazioni con la progettazione di artefatti, il gioco di parole e la cultura del progetto industriale.
Dalla concezione di cultura come il luogo del gioco all’analisi dell’ambiguità linguistica; dalle esperienze prima francesi e poi italiane di letteratura potenziale alle funambolistiche esperienze artistiche di Munari, Serafini e Carelman; dal metodo paranoico-critico daliniano alle sue logiche conseguenze contemporanee affronteremo la genesi, la razionalizzazione critica e volutamente paranoica di un metodo progettuale.
Un gioco che a partire dai cortocircuiti linguistici letterari tenta di corrompere forme e tipologie oggettuali oramai sedimentate nell’immaginario comune alla ricerca ancora una volta di quell’aura che spinge esploratori di ogni disciplina a giocare, giocare con la propria cultura, per sovvertirla, criticarla, ma soprattutto infine, per alimentarla.



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