Paolo Albani
L'OSSERVAZIONE ROVESCIATA (*)
– Non
distrarti, mia cara, continua a leggere lo spartito. Proseguiamo? – Ma
come si fa a non distrarsi, con tutta questa gente che ti osserva, che ti
mangia con gli occhi, che passeggia davanti a te, spesso distrattamente, magari
pensando ad altro. – Ormai
dovresti esserci abituata al pubblico, sono anni che vengono a vederti. Sei
un’attrazione, mia cara. Una celebrità nel campo artistico. – Vengono
per abitudine, senza entusiasmo, per ingannare il tempo. – Sei
ingenerosa, qualcuno è sinceramente interessato alle tue fattezze. – Alle
nostre. – Sì,
va bene, all’insieme della scena. – Sapete
chi mi fa perdere la pazienza? – Chi. – Volete
qualche esempio? – Forza,
spara. – I
ragazzi che si baciano furtivi, sotto i miei occhi, nella calca pensando di
farla franca; le signore che si guardano intorno per scoprire come sono vestite
le altre signore; quelli che parlano a voce alta, senza capire che disturbano;
i frettolosi che sbirciano di continuo l’orologio; le persone che puntano il
dito verso di noi, segnalando a un vicino un punto cruciale dello sfondo che ci
ospita, un gesto che ha un preciso significato: «Se non era per me, non
l’avresti mai visto. Sono bravo». – Odiosi,
quest’ultimi. – Ricordo
una giovane, da sola, con una maglietta blu e pantaloncini corti (suppongo
fosse estate), che si avvicina a noi e quando è a venti centimetri chiude gli
occhi. – Una
lettura mentale. – E
potrei continuare. – Lo
so. – A
me piacerebbe restare nell’anonimato, sono un po’ stanca di questa pubblicità. – Allora
non distrarti, non voltarti a guardare quelli che stanno davanti a te, sforzati
d’ignorarli. Rimettiti a leggere lo spartito. – Non
è così facile. – Concentrati
sulla musica. – C’è
troppa confusione qui intorno. – Basterebbe
che non ti voltassi, come continui a fare da anni, e a non fissarli con quegli
occhietti vivaci, pungenti. – D’accordo
potrei anche non guardarli, ignorarli, come dite voi, ma allora dovrei tapparmi
gli orecchi, non ascoltare i loro commenti. È un brusio continuo, il più delle
volte fastidioso, foderato com’è in gran parte di osservazioni superficiali,
rimasticature di frasi fatte. – Fai
finta di nulla, non ascoltarli, che hai tutto da guadagnarci. – Che
noia. – Dobbiamo
lavorare sodo se vogliamo ottenere un buon risultato per il concerto. Queste ripetute
interruzioni non ci aiutano, sono deleterie. – Transita
tanta di quella gente in questo spazio, frotte di comitive, visite guidate, classi
di studenti, che non prestare ascolto a quello che dicono è impossibile. – Non ragioniam di lor, ma guarda e passa,
dice il poeta. Ora nel tuo caso, mia cara, se posso permettermi, sarebbe meglio
che non ti ostinassi nemmeno a guardare, a mantenere lo sguardo dritto verso di
loro, come ti ostini a fare da non so quanti anni, nonostante le mie suppliche. – Avete
paura che vi deluda? – Ma
no, che c’entra. – Allora? – Alcune
persone, immagino, si sentono in imbarazzo, di fronte al tuo sguardo. Sei una
fanciulla disarmante, una creatura così dolce, così angelica, che puoi indurre
soggezione in chi si ferma a guardarti. – E
se vi dicessi, maestro, che mi volto perché l’imbarazzo è mio? – In
ogni caso mi chiedo: tenere la testa girata, come fai tu, a sinistra, e restare
immobile in quella posizione per così tanto tempo, non mi sembra tanto
salutare, una postura corretta, mia cara. Non temi che ti venga un torcicollo? – Mi
auguro di no. – Certo,
sei giovane. – Sapete
cosa ho sentito l’altro giorno? – Dimmi. – Un
vecchio ritornello. Non vi farà piacere sentirlo ancora una volta. – Cioè? – Si
avvicina un tale, occhialini tondi, capelli grigi corti a spazzola, ben vestito,
sui cinquant’anni, insieme a una ragazza giovane, troppo giovane, ho pensato, per
essere la sua amante, forse un’allieva… – Le
due cose non sono in contraddizione. – Il
tipo poggia gli occhialini sulla fronte, e avanza di qualche passo. Quasi mi
sfiora con il naso, lo sfacciato. È lì, a due centimetri. Vedo perfettamente
l’iride verde dei suoi occhi. – Credi
volesse baciarti? – Scherza,
sarebbe scattato l’allarme. – Siamo
al sicuro qui, è vero. – L’uomo
ha l’aria del critico d’arte, di quelli che la sanno lunga su come si danno le
pennellate e si combinano i colori, che sembrano che vogliano quasi annusarle
le superfici dei quadri, anche quando c’è un vetro a proteggerle. Nella mia
lunga carriera di figurante seduta, ne ho visti a bizzeffe di personaggi così, che
si atteggiano a grandi intenditori. E non sempre lo sono. – Questo invece? – Parlando
alla ragazza, in modo professorale, da esperto, le spiega che il tema della
musica è un’allegoria del corteggiamento, e ciò è avvalorato anche dal dipinto
che sta alle nostre spalle, sulla parete di fondo, dov’è rappresentato un
Cupido che ha il braccio sinistro sollevato e regge una carta; l’immagine, dice
alla ragazza, è tratta da un famoso testo sugli emblemi dell’amore del 1608 e
simboleggia la fedeltà a un singolo amante. – Arguto
il tipo, no? – Cita
perfino, nella totale indifferenza della ragazza, il titolo del libro: Amorum emblemata di Vaenius, dove i
protagonisti sono dei puttini. – È
preparato, non c’è dubbio. – È
una vita che sento ripetere questa storia. – Non
ti convince? – Non
mi convince? Sapete meglio di me che la storia del nostro presunto intrigo
amoroso è una fandonia, una falsità, non so chi l’abbia inventata. – Non
capisco, mia cara, ho sempre creduto che… – Mi
meraviglia che nessuno si affranchi da questi cliché interpretativi, per sostenere
una tesi più verosimile, l’idea che il mio gesto, il volto girato verso il
pubblico, è dovuto a un sentimento ben diverso dall’amore... – Continuo
a non capire. – …
che in realtà mi sono girata per sottrarmi a un vostro maldestro tentativo di
baciarmi. Siete proteso verso di me, con le guance paonazze, sfiorate la mia
mano destra con la scusa di sorreggere lo spartito. Perché nessuno ha mai
compreso le vostre reali intenzioni? – Quali
intenzioni? – E
il fatto che mi sia bloccata a fissare l’osservatore, a rischio di prendermi un
torcicollo, come dite voi, è perché spero che qualcuno, prima o poi, mi liberi,
mi sollevi da questa situazione imbarazzante. – Mi
spiace, ho frainteso il tuo... – Altro
che Cupido! Ho sempre trovato stupido il vostro pressante trasporto per me. – Sono
affranto. – Non
scusatevi ora. Rischiate di diventare patetico. – A
questo punto il lavoro intrapreso per il concerto? Che fine fa? – Per
quanto mi riguarda, possiamo anche interromperlo qui!
Jan Veermer (1632-1675)
(*) Per scoprire chi sono i protagonisti di questo dialogo cliccate qui.
marzo 2020 _________________________________________
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