LA [OMISSIS] DELLA PERCEZIONE DEI SENTIMENTI Non so se avete mai pensato qualche volta a quel [omissis] dell’amicizia, che poi è come dire [omissis], un discorso che prende le mosse da [omissis]
e si dipana come uno stormo che si allarga nel cielo mantenendo però la
compattezza della formazione aerea perché il senso del [omissis], proveniente da ogni membro del gruppo, è necessario alla [omissis], e lascia interdetti.
Da parte mia, ho l’impressione che [omissis], altrimenti saremmo tutti fottuti, spaesati e anche pericolosamente [omissis], non so se mi sono spiegato. È chiaro, no? Preferisco che [omissis] piuttosto che fare un [omissis] e non mettermi in [omissis] per tentare il [omissis], spudoratamente che ogni giorno mi si presenta davanti e mi crea dei problemi. È un po’ come [omissis], non solo dolce-amaro, un tirare avanti senza [omissis] che si traduce piano piano in un vero e proprio [omissis] che mi fa soffrire e da cui è difficile [omissis], è sempre stato così. Non ci posso far nulla. La storia che sto raccontando, si sarà intuito, prende spunto da un [omissis] accaduto nell’[omissis] quando nessuno, nemmeno un intellettuale influente come [omissis], osava [omissis] alla luce del sole perché il controllo della polizia segreta era [omissis], a dir poco capillare, e non lasciava che uno [omissis] qualsiasi si esponesse pubblicamente, e mettesse a repentaglio, non solo la propria vita, ma anche quella dei propri cari. Il nome del nostro protagonista è [omissis], vive a [omissis], dove è nato nel [omissis], una data storica, che ha segnato un’epoca. Abita in una palazzina non lontana da [omissis], insieme alla famiglia, moglie e due [omissis], e il suocero, un attempato signore d’altri tempi, baffettoni alla Vittorio Emanuele II con tanto di svolazzo da entrambi i lati, che ricopre la carica di [omissis], e in paese è visto da tutti come una specie di sindaco-ombra, perché il sindaco vero, quello effettivo, votato alle elezioni, è in realtà un [omissis], prigioniero dei fantasmi del [omissis], di cui si vergogna. Un giorno il commissario [omissis], incaricato delle indagini per il [omissis], amico della [omissis], figura di spicco nei salotti mondani della [omissis], e della principessa [omissis], riceve una lettera anonima in cui un presunto [omissis], che fa il cascamorto con tutte le femmine, indica nel [omissis] di [omissis], città di intrighi e loschi traffici, come colui che [omissis], ma il commissario non si fa sviare. Per lui, a capo dell’accaduto, c’è un motivo che può riassumersi in [omissis], il che non esclude che [omissis], per quanto incredibile possa sembrare l’ipotesi. Quel giorno [omissis] si presenta al commissariato e chiede di parlare con [omissis]. «Non mi sembra vero che [omissis]», confessa il nostro [omissis]. «Sarebbe come [omissis] un gabbiano ferito», ribatte [omissis]. «Voi non avete idea di quello che [omissis]». Mentre si svolge questo dialogo, entra nella stanza della [omissis], la [omissis], trafelata, agitando le anche nervosamente. «Scusate, ma ho [omissis]», dice la [omissis]. «Prego, prego», la invita il [omissis], accendendosi una sigaretta. La donna si siede e con le lacrime agli occhi, facendo un [omissis] che in apparenza significa [omissis], si apre in una confessione che mette [omissis] e lascia i presenti a dir poco [omissis]. Le rivelazioni della donna hanno dell’[omissis]. Sono a dir poco [omissis]. Una bomba. Dopo che si è liberata di quel terribile peso, della [omissis], la donna [omissis] e scoppia in pianto inarrestabile che le [omissis]. Colpo di scena, come nei migliori [omissis]. Nessuno si aspettava che [omissis]. Anche il commissario, un uomo vecchia maniera, in ogni caso un vero duro, appare sorpreso, lui che [omissis], senza mai nasconderlo. A suo modo, la storia è sintomatica di un certo [omissis], rispecchia il [omissis], tipico di quella forma di [omissis] che non si è mai estinta, che regge nel tempo perché [omissis], impermeabile a ogni pregiudizio. È questa la ragione che mi ha spinto a [omissis]. L’ingannevolezza della storia finisce qui, è triste da [omissis], ma per fortuna, almeno per come la penso io, non si [omissis]… «La [omissis] della percezione dei sentimenti privati» confessa il [omissis] rivolto a [omissis], arricciandosi le punte dei baffi. Apre un cassetto della scrivania della sua stanza, dove custodisce la rivoltella d’ordinanza, e vi tira fuori un sigaro, un [omissis], la sua marca preferita, ne taglia la punta con le forbicine che si usano in questi casi, ogni [omissis] di sigaro le possiede, e lo accende, avvolgendo il suo volto in una nuvola di fumo. Mentre esce dalla stanza, senza voltarsi, continuando a fumare il sigaro, dice, laconico, al suo vice che lo segue come un cagnolino: «[omissis]». Il vice annuisce, più per compiacerlo che per convinzione. È una frase sibillina, da cui però s’intuisce che [omissis].
aprile 2024 Per la versione pdf di questo raccontino cliccate qui.
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