SIAMO TUTTI STUPIDI TRANNE ME E TE
Diversi
tentativi in questo senso si sono dati nel tempo, a partire dal famoso Dizionario dei luoghi comuni di Gustave
Flaubert, uno sciocchezzaio uscito dopo la morte dello scrittore francese (8
marzo 1880), di cui esiste una bella traduzione in italiano di J. Rodolfo
Wilcock per Adelphi datata maggio 1980.
In epoca recente si deve allo scrittore olandese Matthijs van Boxsel un’enciclopedia della stupidità (De Encyclopedie van de Domheid, uscita a Amsterdam nel 2003, tradotta in francese e in inglese) dove la stupidità è considerata un elemento fondante della nostra civiltà. Ma forse il dizionario più bello sull’argomento è il Dictionnaire de la bêtise et des erreurs de jugement (Laffont 1965), scritto dal romanziere e storico Guy Bechtel e dall’amico e complice di lunga data Jean-Claude Carrière, sceneggiatore e drammaturgo (Carrière ha lavorato con registi quali Ferreri, Bertolucci, Malle, Godard). Insieme, i due hanno scritto anche Le Livre des bizarres (1981), un’opera consacrata ai folli e agli originali di tutti i tempi. Forse si ricorderà, per offrire un ulteriore spunto bibliografico, che Carrière ha firmato un libro insieme a Umberto Eco, Non sperate di liberarvi dei libri (Bompiani 2009), dove c’è un capitolo intitolato Elogio dell’idiozia. Qui Carrière rivela che lui e Bechtel si proponevano di organizzare «corsi di bêtise» e confessa candidamente che «la prima cosa che si scopre studiando la coglioneria è che siamo coglioni anche noi» (pensiero del tutto condivisibile). Nello stesso capitolo Eco si sofferma sulla distinzione, già esposta nel Pendolo di Foucault, fra l’imbecille (autore di gaffe involontarie), il cretino (uno che si porta il cucchiaio verso la fronte) e lo stupido (che ha un deficit non sociale, ma logico). Ho fatto questo preambolo per introdurre un nuovo, corposo libro sulla stupidità in forma di dizionario, appena uscito da Rizzoli: il Dizionario della stupidità. Fenomenologia del non-senso della vita di Piergiorgio Odifreddi. I lemmi del dizionario, tutti rigorosamente compresi in una sola pagina (regola che Odifreddi, membro dell’Opificio di Letteratura Potenziale, si è imposto), sono scritti in uno stile chiaro, ironico, graffiante e spaziano su vari argomenti. Sono lemmi che affrontano per lo più tematiche religiose dove si mettono in (cattiva) luce le debolezze e le incongruenze del pensiero religioso; tematiche filosofico-scientifiche per smascherare assurde scempiaggini (c’è pure la voce «Zichichi», antico bersaglio dell’autore); storico-politiche, e altri lemmi di varia tipologia, sempre raccontati in maniera brillante. Ci sono anche voci attuali (oltre «Berlusconi», «Grillo», «Renzi», le voci «Femminicidio», «Immigrati», «Velo»). Il Dizionario di Odifreddi è ricco di riferimenti a personaggi noti, libri, citazioni a volte esilaranti («La psicanalisi ‒ sostiene Vladimir Nabokov ‒ è una cura volgare che consiste nello spalmarsi miti greci sulle parti intime»). Dall’approccio di Odifreddi al fenomeno della stupidità, emerge la natura impertinente della sua riflessione critica, la sua verve di pensatore laico fuori dal coro, anche se a tratti scivola su giudizi, a mio avviso, un po’ tranchant, come quando scrive che Dostoevskij (autore di «sciocchi saggi») e Mann sono stupidi «perché scrivevano di stupidaggini: cioè l’anima e le sue malattie» o quando afferma che «i politici devono piacere alla gente, che è in massima parte stupida». Il rischio, citando Eco, è quello di cadere nel paradosso di Owen: «Tutte le persone sono imbecilli, eccetto te e me. Ma anche tu, a dire la verità, se ci penso bene…» ______________________________________________
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