Paolo Albani
NUOVI FENOMENI CURIOSI

 François de Condat era un mesmeriano convinto. Credeva fermamente all'esistenza di un «fluido universale» rilasciato da ogni entità, minerale e vivente, come sosteneva il medico austriaco Franz Anton Mesmer, di cui de Condat si proclamava un ammiratore entusiasta.
 Aveva una tale fiducia nelle proprietà terapeutiche del mesmerismo (teoria nota anche con il nome di magnetismo animale) che una volta, nell'aprile del 1824, nella sua casa di Parigi, de Condat si costrinse, per tre giorni di seguito, eroicamente senza toccare cibo (bevve soltanto un po' d'acqua zuccherata da una caraffa servendosi di una cannuccia) né chiudere occhio, a tenere entrambe le mani poggiate sul dorso viscido di una grossa rana, catturata in un rigagnolo di campagna, preventivamente addormentata con dosi di laudano e di un composto ipnotico, un sonnifero speciale preparatogli per l'occasione da un amico farmacista, somministrato a intervalli di dieci ore.
 Il quarto giorno, al termine dell'esperimento, de Condat riscontrò che, camminando, si sentiva più sciolto, più elastico nei movimenti. Avvertiva lungo le piante dei piedi un leggero pizzicore, un formicolio che, addensandosi, gli procurava una spinta dal basso verso l'alto, come se attaccate alle suole delle scarpe avesse avuto tante piccole molle. Più che camminare de Condat salterellava, a volte a piè pari, fra la meraviglia dei passanti, senza però provare affaticamento.
 Quello strano effetto-rana nel camminare gli durò una settimana circa.

***

 Non ancora al culmine della sua trionfale carriera, Harry Houdini poteva già vantare degli imitatori, gente che, concedendo forse un po' troppo all'improvvisazione, cercava di ripetere i numeri del grande illusionista ungherese, a volte, com'è immaginabile, con esiti comico-tragici.
 Fra gli emuli di Houdini, ci fu un certo Ilario Beneforti di Fivizzano (Massa), divorato fin da bambino da una passione irresistibile per i giochi di prestigio, i trucchi con le carte, le sparizioni-apparizioni di oggetti come monetine, fiammiferi, sigarette, uova, foulard colorati, eccetera.
 Verso la fine del secolo XIX, all'età di ventiquattro anni, Beneforti cominciò a ottenere le prime scritture in compagnie sgangherate di artisti di strada, poi in modesti circhi di provincia dove si esibiva nel classico numero di liberarsi dalle catene, numero che negli spettacoli festivi eseguiva chiuso dentro un baule bloccato da un lucchetto e da grosse funi, tanto da meritarsi per questa variante il soprannome di «Houdini della Lunigiana».
 L'impresa per cui Beneforti è ricordato, almeno dalle parti di Fivizzano, il suo colpo di genio, si attuò il 20 luglio del 1896. Quel giorno, alle 11 del mattino, Beneforti si fece seppellire a due metri di profondità in un parco pubblico, rannicchiato dentro una cassa di rovere, con i polsi e i piedi legati da pesanti catene, alla presenza di una folla di curiosi richiamati sul luogo anche grazie alla pubblicità che dell'evento fu fatta in un foglio locale. L'«Houdini della Lunigiana» dichiarò (roba da non crederci) che sarebbe rimasto lì sottoterra, chiuso nella cassa costruitagli da un cugino falegname, per un giorno intero, cioè fino al mattino successivo a quello del suo seppellimento.
 Quando fu dissotterrata alle 11 del mattino del 21 luglio (la manifestazione iniziò dopo un breve discorso del sindaco di Fivizzano che, compiaciuto del suo ruolo istituzionale, indossava la fascia tricolore), la cassa venne trovata inspiegabilmente vuota. Il Beneforti era sparito, volatilizzatosi non si sa bene come. Da allora nessuno lo vide più e il mistero della sua scomparsa alimentò in Lunigiana le congetture più strane, anche che fosse stato rapito da un gruppo di zingari.
 In seguito alcuni amici del Beneforti misero in giro la voce che l'uomo avesse architettato il trucco della sepoltura semplicemente per sottrarsi alla moglie, una donna odiosa, dai modi bruschi, diventata grassissima per colpa di una disfunzione ghiandolare, che lo criticava su tutto e gli rendeva la vita impossibile, abbaiando come un cane da guardia.


il Caffè illustrato, 36, maggio/giugno 2007, p. 6.

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