SE CI SI AMMALA DELLA PAURA DI AMMALARSI
Nelle
lettere ai familiari Alessandro Manzoni confida di trovarsi in uno stato di
depressione morale, di profonda indolenza dello spirito. Va soggetto a «fatica
al capo», soffre di incomodi di digestione; dà spesso in escandescenze, piange come un bambino per cose che lo
esasperano. In preda a gravi commozioni e dolori sente il bisogno di mangiare
di più. È soggetto a rilassamenti d’attenzione, assenze. Lo testimoniano vari
episodi. Per una nipotina fa l’analisi logica di un periodo dei Promessi Sposi che la maestra giudica
appena soddisfacente. Una volta, conversando con un amico, menziona una frase
che gli pare bella, ma non ricorda dove l’ha trovata. «Sfido – gli dice l’amico
– è vostra!». Negli ultimi anni, Manzoni afferma desolato: «Temo che mi si
indebolisca l’intelligenza, mi sorprendo a pronunciare parole senza senso». A
chi gli fa visita, chiede: «Siete venuto a vedere che divento imbecille?». Gli
succede di scambiare le persone, di non accorgersi di aver messo abiti non
suoi. Dichiara: «Sono assolutamente inetto». Si commisera definendosi «un balbettone»,
«un uomo impacciato nel cervello e nella lingua».
Glenn Glould (1932-1982)
Insomma
siamo di fronte a un evidente caso di ipocondria, in estrema sintesi un
disturbo dell’ansia che ingenera una paura morbosa della malattia e della
morte. Nel saggio Del non fingersi malato,
Montaigne racconta storie di persone diventate cieche, storpie o gobbe per aver
finto di avere quei mali. Il richiamo a Montaigne compare in Vite di nove ipocondriaci eccellenti di
Brian Dillon, editor della rivista «Cabinet», professore di Critical Writing al Royal College of Art
di Londra. Il libro di Dillon non è una storia
dell’ipocondria, ma la biografia di nove personaggi famosi, redatta avvalendosi
di lettere, diari, autobiografie, interviste e testimonianze (ne sarebbero
potuti figurare altri, precisa Dillon, ad esempio Edgar Allan Poe, Fëdor
Dostoevskij, James Joyce). Nella scelta non ha usato un criterio preciso, si è
concentrato sulle storie più convincenti per le sue doti scrittorie. Ne sono
nati nove racconti che scorrono in uno stile letterario limpido e avvincente,
da narratore accorto. L’ipotesi più ambiziosa, per quanto
rischiosa, dichiarata apertamente da Dillon, è che esista un collegamento
intimo tra l’ansia da malattia e il lavoro intellettuale o creativo. Chi sono i nove personaggi
eccellenti? Si parte da James Boswell (1740-1795), scrittore e giurista
scozzese, che fin da giovane soffre di malinconia con intensità straziante, caparbio
pianificatore di programmi destinati regolarmente a fallire. La sua paura è
diventare informe, friabile, liquido. C’è poi la scrittrice Charlotte Brontë
(1816-1855), un «soggettino apprensivo» come la Jane Eyre del suo omonimo
romanzo. Di palpitazioni al cuore, mal di testa, sconvolgimenti gastrici insieme
a una vaga sensazione di turbamento fisico, legata all’idea che qualcosa non
va, si lamenta Charles Darwin (1809-1882), che descrive se stesso come un apatico,
un inquieto, ma anche spento, stupido e fiacco. Di Florence Nightingale (1820-1910),
un’infermiera britannica fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna in
quanto utilizza per prima la statistica, sappiamo che, durante la Guerra di
Crimea, contrae la cosiddetta «febbre mediterranea», causandole una serie di malesseri
fra cui nervosismo, depressione, allucinazioni, e più in generale una
sensazione di fallimento e d’impotenza. Alice James (1848-1892), sorella di
Henry, scrittore, e William, psicologo e filosofo, per tutta la vita è preda di
gravi episodi “esplosivi” da lei definiti «fare la pazza», meticolosamente
documentati nel suo diario. Le stranezze che caratterizzano la vita di Marcel
Proust (1871-1922) sono abbastanza note, fra queste lo spavento verso i suoni e
gli odori, come pure quelle di Andy Warhol (1928-1987), ossessionato dal decadimento
fisico, o del pianista e compositore Glenn Gloud (1932-1982) che detesta essere
toccato. Ma nessuna è paragonabile alle sofferenze patite da Daniel Paul Schreber
(1842-1911), presidente della terza camera della Corte d’appello di Dresda, autore
di Memorie di un malato di nervi (1903).
Un caso studiato anche da Freud. La principale paura di Schreber, che sostiene
di avere 240 monaci benedettini nel suo cranio, è trasformarsi in donna. In conclusione, non riportato da Dillon, mi piace spendere
una parola su un altro illustre ipocondriaco: Carlo Dossi, una delle divinità
segrete della letteratura italiana (Giorgio Manganelli). In una delle Note azzurre, la 2368, Dossi accenna alla
propria pazzia che permea i suoi scritti e le sue azioni; a ogni buon conto,
aggiunge, un ramicello di pazzia è sempre desiderabile, concludendo: «Non ho io
forse in me stesso una popolazione di Ii,
uno diverso dall’altro?». Abbiamo detto che l’ipocondria è
fonte di paure. Fra quelle elencate da Roberto Bolaño in 2666, nel capitolo «La parte dei delitti», la più intrigante, a mio
parere, è la fobofobia, ovvero la
paura delle proprie paure (e chi non ce l’ha).
VITE DI NOVE IPOCONDRIACI ECCELLENTI traduzione di Alessandra
Castellazzi il Saggiatore, Milano, 2020,
pagg. 332, € 24 Questa è la versione originale del mio articolo mandata al giornale.
La versione effettivamente uscita è nel pdf qui allegato, cliccate qui.
Domenica - Il Sole 24 Ore, 17 gennaio 2021, p. XI.
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