Paolo Albani
Quando
si naviga in rete, facendo ricerche su Google, succede spesso che appaia una
finestrella in cui è scritto NON SONO UN ROBOT, insieme a uno spazio dove
inserire un codice alfanumerico o a una serie d’immagini fra le quali scegliere
quelle con particolari segni suggeriti (montagne, nuvole, pali della luce). Si
tratta di un test – detto CAPTCHA, acronimo di Completely Automated Public
Turing test to tell Computers and Humans Apart – effettuato per capire se siamo
umani o computer.
Questi test, secondo la vulgata
comune, sono (sarebbero) utili per difenderci da certi programmi, denominati bot
(abbreviazione di robot), che cercano di attaccare i siti on line inondandoli
di mail spazzatura. Qui tocchiamo il punto dolente: perché
prendersela tanto proprio con i robot? Mi sembra che la scritta NON SONO UN
ROBOT sia altamente discriminatoria, ingiusta nei confronti dei robot, macchine,
più o meno antropomorfe, in grado di svolgere in modo indipendente un lavoro al
posto dell’uomo. Nell’epoca del “politically correct”,
trovo particolarmente offensivo chiedere a qualcuno di dichiarare pubblicamente
che non è un robot, come se l’appartenenza alla famiglia dei robot fosse una
colpa di cui vergognarsi, un marchio infamante, una deformità o un’anomalia da
tenere nascosta, e come se, inoltre, il fenomeno così fastidioso dell’invasione
delle pubblicità non volute fosse imputabile ai robot e non invece ai
produttori di merci, gli unici responsabili della filosofia consumistica del
mercato. Il messaggio veicolato in rete è chiaro:
Il robot è un appestato. Ti conviene confessare subito di non esserlo, ne va
della tua reputazione! Già la parola robot è infelice,
derivante com’è dal ceco robota che significa “lavoro pesante”, a sua
volta presa dall’antico slavo ecclesiastico rabota, cioè “servitù”. Dunque
i robot, come si deduce dall’origine della parola inventata da Karel Čapek nel
1920, sono equiparabili ai “nuovi schiavi” delle società moderne. Non c’è bisogno di ricordare l’importanza
dei robot, è sotto gli occhi di tutti. L’utilità che rivestono nell’allievare la
fatica dell’uomo, nel liberarlo dal lavoro stressante e ripetitivo, ma soprattutto
nel coraggio che dimostrano agendo in ambienti proibitivi, è indiscutibile. Si
pensi ad esempio all’individuazione e al disinnesco di esplosivi. C’è una bomba
in una macchina sospetta parcheggiata da giorni in un luogo frequentato? Chi credete
che mandino avanti, a rischio di saltare in aria e frantumarsi in mille pezzi?
Un robot. È lui il primo a intervenire. L’artificiere se ne sta al sicuro, dietro
le quinte, distante quanto basta per non rimanere colpito dalla deflagrazione. So bene che esistono delle eccezioni
negative, dei robot killer, che in guerra funzionano da armi automatiche
offensive. Ma sono delle mele marce. E in quale famiglia non ve ne sono? Per svolgere le loro funzioni, i
robot usano processi di intelligenza artificiale, il che implica che sono in
grado di costruire nuovi algoritmi e di verificarne la coerenza da soli. È ridicolo
perciò considerarli semplici esecutori, stupidi imitatori delle mansioni
svolte dall’uomo. Hanno una loro personalità, gusti, sentimenti. Alcuni sono
molto simili anche nell’aspetto fisico a un uomo o a un animale, ne riproducono
quasi alla perfezione movenze e atteggiamenti. Allora perché tanta acredine e
incomprensione verso i robot, al punto da imporre al povero navigatore in rete,
chiunque sia, di mettere le mani avanti e dissociarsi dicendo in buona fede che
lui, Dio ne scampi, non è assolutamente un robot? Primo Levi ha scritto un racconto in
forma teatrale, Il Versificatore. (*) Il protagonista è un poeta che sgobba,
senza «mai un momento di libera ispirazione», per comporre carmi nuziali, poesie
pubblicitarie, inni sacri, ecc. Dal rappresentante Simpson il poeta acquista, dopo
aver neutralizzato le diffidenze della propria segretaria, «il Versificatore»,
una macchina per comporre versi di ogni tipo, munita di una tastiera simile a
quella degli organi musicali e delle Linotype. Levi riporta alcuni esempi di poesie
create dal Versificatore, una di queste inizia così: Mi piace riandare
questi antichi / Vicoli freschi, dai selciati sfatti / Grevi all’autunno dell’odor
di fichi / E del muschio annidato negli anfratti. Il racconto termina con una sorprendente
rivelazione che lascia di stucco il lettore: il testo che avete ascoltato, confessa
il poeta, è opera sua, del Versificatore. Cioè di un robot. Ho citato Levi per trovare conforto in
una figura autorevole e sgombrare ogni dubbio sulle capacità – anche letterarie
– dei robot che non meritano l’affronto di essere offesi e ridicolizzati sul
web, con l’inserimento, ogni giorno sempre più diffuso, della richiesta oscena,
inammissibile, di attestare di non essere un robot. Perché mai? A chi giova la
dissociazione? Io sono orgoglioso di essere un robot, come il Versificatore di
Levi. Non mi vergogno affatto di appartenere al genere degli uomini-macchina, è
un mondo affascinante, ricco di spunti innovativi. Anzi,
visto come vanno le cose in questo periodo, reputo una vera fortuna
essere nato robot. E come tale, già che ci sono, voglio aggiungere che,
se le parti fossero invertite, cioè se il mondo fosse abitato in
prevalenza da robot, io, a differenza degli umani, non mi permetterei
mai di aprire una finestrella mentre un robot qualsiasi, anche un po’
obsoleto, di vecchia generazione, arrugginito e magari tossicchiante,
sta navigando in rete, rilassato, nello spazio gestito dal cervellone di
una Super-Intelligenza meccanica. E soprattutto, statene certi, non mi
sognerai mai di chiedergli di qualificare la propria identità mettendo
un segno di spunta nell’apposito quadratino a fianco dell’espressione:
NON SONO UN UOMO. (*) Primo Levi, Il Versificatore,
in I racconti. Storie naturali. Vizio di
forma. Lilít, introduzione di Ernesto Ferrero, Einaudi, Torino, 1996, pp.
19-41.
aprile 2021 _____________________________________
Questo racconto, leggermente modificato, è diventato un libretto cartaceo, con lo stesso titolo Non sono un robot, uscito nella Collana Sctrisce, n. 29, delle Piger Edizioni di Roma stampato nel febbraio 2023. _________________________________________
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