PAROLE FRA MUSICA E SILENZIO Galleria Marcantoni via Manzoni, 21h - Pedaso (Fermo) 10-31 gennaio 2015 Catalogo a cura della Galleria Marcantoni testi critici di Ada De Pirro e Claudio Marcantoni Alcune opere in mostra: ACCORDO IN BE MOLLE, 2003 (chiave di sol, simbolo di be molle, molle e tondini metallici su tavoletta di legno) (cm70x100) VISUALIZZAZIONE DEL TEMPO DI ASCOLTO DI 4’ 33’ DI JOHN CAGE (OMAGGIO A G.P. TORRICELLI), 2012 (pannello con scritte) (cm70x100) OMAGGIO A RAVEL, 2005 (spartiti su tela) (cm40x70) CENTRALITÀ DEL SILENZIO NELLA STANZA DI PROUST, 1990 (sugheri su tavoletta di legno) (cm100xcm70) REBUS MUSICALE (6, 2, 7), 2014 (chiave, calendarietto, colino da tè e lettere adesive) (cm60x40) Per vedere tutte le mie opere in mostra (pdf) cliccate qui. Per vedere il Catalogo digitale (ISSUU) della mostra cliccate qui. Per vedere il video che ho girato sulla mostra cliccate qui. _____________________________________
NOVITÀ IMMEDIATE
Sentono? Questa
zona di silenzio propone
novembre 2014 ________________________________________________
Claudio Marcantoni UNA NOTA CRITICA
L’impatto ottico visivo e di
conseguenza un qualsivoglia spontaneo e naturale giudizio estetico dinnanzi a
un’opera d’arte risulta essere da sempre l’incipit
più istintivo, più utilizzato da coloro che intendono argomentare (talvolta con
cognizione di causa, spesso con tesi surreali e bizzarre) una composizione pittorica. Tale assioma lo
si ritrova altresì in molte altre forme d’arte che non siano quelle prettamente
visive. L’aggettivo bello lo si cuce,
lo si adatta, lo si modella spesse volte in maniera arbitraria addosso a
molteplici espressioni artistiche del genere umano. Bella è una tela, bella
risulta essere un’opera teatrale, lo è anche un concerto, un’opera lirica, una
poesia, una costruzione architettonica. Ma ci siamo mai veramente interrogati e
soffermati a riflettere in maniera critica e oggettiva su cosa sia veramente
interessante, sul vero significato del termine ricercare, del sostantivo
curioso, in un linguaggio artistico? Di esempi a sostegno di quest’ultima tesi
la storia ce ne propone molteplici e il novecento, il cosiddetto secolo breve lo
è forse testimone molto di più di tante altre epoche passate. L’aggettivo bello
risulta essere assai poco calzante, stretto, a molti linguaggi, teorie,
manifesti artistici che hanno visto la luce nel XX secolo. Forse il Pierrot lunaire di Schoenberg è bello?
Il Suprematismo del russo Malevič
risulta esserlo? o il provocatorio squarcio
di Lucio Fontana esprime una concezione oggettiva dell’idea di bellezza? No
di certo, nessuno di questi esempi, di queste idee, di queste opere possono
essere giustificate, argomentate, suffragate con la teoria del bello. A questo
punto dovremmo dire che il novecento ha ucciso il bello! Sarebbe troppo
semplicistico e alquanto elementare soffermarsi e accettare una così fragile
verità. La risposta va trovata nell’approccio e nell’utilizzo di sempre diversi
alfabeti che gli artisti a loro volta hanno utilizzato come espressione di
nuovi “volgari”. È così che si arriva alla critica e scientifica
giustificazione delle prime avanguardie novecentesche passando attraverso tutti
quei movimenti storicizzati che hanno caratterizzato un quarantennio di storia
europea e extraeuropea per poi approdare, più vicino ai giorni nostri, alle
neoavanguardie post millenovecentoquarantacinque. Proprio in quest’ultime spinte di ricerca artistica possiamo collocare la figura di Paolo Albani. Artista poliedrico, generazione anni quaranta, il suo pensiero e il suo operare è la naturale conseguenza di eterogenee contaminazioni, di variegati alfabeti artistici che si andavano delineando nell’Italia post bellica. A Albani non interessa piacere, nel senso estetico del termine. Le sue opere non hanno lo statico ruolo di oggetti inanimati di puro ornamento. Albani ci stuzzica, ci solletica, ci interroga. Le sue opere sono lì, ma sono contemporaneamente altrove. È un continuo rimando sensoriale che non muore nelle teche, nelle cornici. L’opera non vive solo negli occhi ma risuona, si modella in un turbinio di sensazioni sinestetiche. Il pensiero e l’opera dell’artista toscano non è assolutamente confinata in un solo ambito artistico sensoriale. Sarebbe riduttivo indicare Albani come poeta visivo. Lo sarebbe anche se lo si presentasse solo come poeta sonoro, o come scrittore, o come performer. Albani è tutto questo. Nelle sue creazioni, nel suo modo di essere, di pensare niente è tralasciato. Tutto vive in un filo rosso che collega in maniera sempre geniale e mai banale esperienze verbo-visive, sonore, tattili, e fonetiche. La mostra che qui viene presentata ne è la prova tangibile. Omaggia il suo amico Giuseppe Chiari (fluxus) sottolineando così la sua vena di grande performer. Non tralascia il suo interesse e studio per il pentagramma. A J. Cage è dedicata un’opera che “verbalizza” il suo silenzio (4’33”). Ironizza con i “concerti per orecchio sinistro e destro” parafrasando in maniera autentica e intelligente Ravel. I suoni diventano scritture e le scritture risuonano in un continuo scambio sensoriale che non annoia mai, che risulta sempre equilibrato, mai urlato. Il tutto è presentato in maniera elegante, ironica, sottile. La personalità dell’artista vive nelle sue opere, e quest’ultime rispecchiano in maniera inequivocabile l’eleganza intellettiva e la genialità pura di una figura intrisa di ricerca, sperimentazione e buon gusto. HOME PAGE TèCHNE RACCONTI POESIA VISIVA |