Paolo Albani
UNA MOSCA
NELLA SALA D'ASPETTO





      Non so se ci avete fatto caso, ma ci sono delle mosche nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Firenze. Voi vi sedete su una delle poltroncine in ferro, molto scomode per altro, della sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Firenze, che al momento è in via di ristrutturazione e si trova in una posizione infelice, in una zona non riparata, esposta a correnti d’aria che arrivano da tutte le parti, e dopo un po’ che vi siete seduti, statene pur certi, una mosca rapidamente vi si poserà sopra una manica della giacca o più che mai fastidiosa sulla fronte o altrove sul vostro corpo.



     Dopo questa scoperta mi sono chiesto: cosa ci fanno delle mosche nella sala d’aspetto di una stazione ferroviaria? Di certo non sono lì perché aspettano delle mosche che arrivano da altre città in treno; che io sappia (lo dico scherzando) le mosche d’abitudine non prendono il treno, si muovono con i propri mezzi, cioè con le ali. E allora mi sono domandato: non hanno un luogo più appropriato ai loro gusti, le mosche, un luogo dove svolazzare come fanno di solito muovendosi irrequiete (e fastidiose) a piccoli scatti imprevedibili, a zigzag nell’aria? Ma qual è il posto ideale di una mosca – mi viene ancora da dire - quello più adatto, più naturale dove può vivere felice la propria moscosità?

    La domanda che mi sono fatta, formulata in altre parole, è se una mosca abituata com’è a posarsi su cumuli di immondizie, di rifiuti a cielo aperto, a prendersi tutto il tempo che vuole per sminuzzare grumi piccolissimi di escrementi con le zampette, a soddisfare in pieno la propria funzione di mosca passeggiando sulle criniere dei cavalli o sul muso cisposo dei cani o di altri animali il cui odore pestifero piace tanto alle mosche, se una mosca – è questo il mio cruccio - non si trovi a disagio, non si senta fuori luogo in una sala d’aspetto di una stazione ferroviaria dove tutto è in movimento e c’è una grande confusione, annunci altisonanti che si susseguono uno dietro l’altro, fischi, gente che corre di qua e di là, stridori di freni, sbuffi di portiere automatiche che si aprono e si chiudono, clacson di piccole autovetture di servizio, suonerie di cellulari che preannunciano conversazioni a alta voce, eccetera eccetera.

     Insomma la sala d’aspetto di una stazione ferroviaria è un enorme casino, una casba rumorosa che non rende sicuramente agevole l’esecuzione del lento e scrupoloso lavorio che una mosca compie negli interstizi di sudiciume che si accumulano ovunque nei centri abitati (per questo le mosche sono vettori di germi patogeni, ne parla anche Pirandello in una novella intitolata appunto La mosca), arrotandosi velocissima le zampette e la proboscide da cui aspira i liquidi e pulendosi ogni tanto gli occhioni ovali che sporgono dalla sua testa.

      Non ci vuole tanto a capire che la sala d’aspetto di una stazione ferroviaria non è certo l’habitat ideale per una mosca. Ma allora come si spiega che nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Firenze ci siano delle mosche, come ho potuto constatare anche l’altro giorno che aspettavo un treno Frecciarossa per Roma e non riuscivo a leggere un libro in santa pace perché una mosca m’infastidiva di continuo sfiorandomi il naso o camminandomi sui capelli?

      Qui si aprirebbe una lunga riflessione filosofica sull’«idealità» dei luoghi in cui vivere, sul fatto cioè che ci sono alcune persone (poche) che hanno la fortuna di scegliersi il luogo in cui vivere e altre (molte) che vivono in luoghi che non hanno scelto, che anzi li sentono estranei, che li odiano e se avessero la possibilità di farlo non esiterebbero un attimo a scappar via dai luoghi in cui vivono. Ma non è il caso di aprirla questa riflessione filosofica, ci porterebbe troppo lontano, mi limito solo a constatare che la presenza di una mosca nella sala d’aspetto di una stazione ferroviaria può essere imputabile secondo me a varie circostanze, e cioè:

 

     1. la mosca si è perduta strada facendo per colpa di un fattore x (un’improvvisa corrente d’aria, una distrazione olfattiva, un errore di navigazione, eccetera) che le ha creato dei problemi d’orientamento e non riesce più a tornare all’abitazione di origine;

 

   2. la mosca è fuggita volontariamente di casa perché non sopportava più di prendersi cura delle larve (le mosche sono una specie molto prolifica, ciascuna femmina può deporre da 100-150 uova per volta) e di tirare avanti un menage familiare diventato ormai asfissiante e pur di starsene in libertà, da mosca single, si è adattata alla vita convulsa di un non luogo come una sala d’aspetto di una stazione ferroviaria, che poi solo per noi umani è un non luogo, per una mosca invece, chissà, anche una sala d’aspetto può avere il suo tornaconto in fatto di rimasugli di cibo e di sporcizia;

 

     3. la mosca è solo lì di passaggio e si è fermata, particolarmente curiosa, a dare un’occhiata all’ambiente ferroviario, ma poi quanto prima ha intenzione di ripartire;

 

    4. la mosca fa parte di quel genere speciale di mosche cosiddette «bianche», caratterizzate da un atteggiamento eccentrico, stravagante, il che spiegherebbe la sua presenza quanto meno insolita in una sala d’aspetto;

 

e infine per ultimo:

 

     5. la mosca è impazzita e l’impazzimento, che non le fa capire dove si trova, l’ha portata suo malgrado in una sala d’aspetto: non possiamo infatti escludere che anche nel mondo delle mosche esistano delle forme di disturbo mentale a noi sconosciute.

           

       È quasi superfluo sottolinearlo, ma tutto questo mostra - ci riflettevo nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Firenze in attesa di prendere un Frecciarossa per Roma - quanto siano incredibili le somiglianze che ci accomunano a quei piccoli (e fastidiosi) insetti che sono le mosche. Ma qui non voglio aprire una riflessione filosofica sulla natura umana o sul problematico rapporto uomo-animale che ci porterebbe chissà dove.


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   Questo racconto è stato commentato da Edoardo Camurri durante la trasmissione Pagina3 di RaiRadio3, programma radiofonico di approfondimento delle pagine culturali e dello spettacolo, del 7 novembre 2012. Per ascoltare il commento di Camurri cliccate qui.
      



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