Paolo Albani
LA MINACCIA Avete mai provato la sensazione
che dietro di voi, alle vostre spalle, ci sia qualcuno che vi minaccia? Che si aggiri
un’ombra sinistra, il profilo scuro di un corpo che non riuscite bene a mettere
fuoco? Lo vedete appena con la coda dell’occhio. L’impressione, non
giustificata da niente, è che, dietro di voi, ci sia un malintenzionato sul punto
di farvi del male. Temete che, senza alcuna ragione, la canaglia stia per sferrarvi
un pugno, o prendervi per il collo e strozzarvi, o magari, peggio ancora, pugnalarvi
a tradimento, quando meno ve l’aspettate, con un lungo coltello da cucina o un
punteruolo. Quante
volte si legge sui giornali di una persona aggredita da uno sconosciuto. Un
raptus, un gesto inconsulto. L’altro giorno, alla fermata di un bus, un colombiano,
o peruviano non ricordo bene, insomma un latino-americano ha spaccato la testa
a un passante con un machete. Vi rendete conto? L’uomo impugnava un machete, non
un temperino. Impressionante. E poi si dice che uno è apprensivo. Sfido io. Essere
tallonati da qualcuno, di cui ignoriamo l’identità, è una sensazione odiosa, paralizzante,
vi assicuro.
A
me succede, di tanto in tanto, anche perché non mi sento mai al sicuro. Passeggio
per strada, di sera, diciamo dopo la mezzanotte, da solo, e dietro di me sento
lo sguardo di un tizio incollato alla mia nuca. Non mi perde d’occhio. D’istinto
passo una mano sulla mia nuca, quasi volessi sottrarmi alla pressione di quello
sguardo. Mi giro di scatto e scopro che non c’è nessuno. Tiro un sospiro di
sollievo. Mi sono sbagliato. Continuo a camminare, la strada è deserta. Non c’è
anima viva. I negozi sono chiusi, anche i bar. D’un tratto sbuca fuori un
furgoncino delle pulizie della strada, spruzzando lateralmente un getto d’acqua
sui bordi del marciapiede. Faccio appena in tempo a ripararmi sugli scalini di
un portone per non bagnarmi. Riprendo a camminare e dopo un po’ avverto di
nuovo una presenza inquietante, qualcuno che mi pedina, senza fare il minimo rumore,
forse ha delle scarpe da ginnastica o con la para di gomma. Uno
squilibrato? Un malfattore che vuole rapinarmi? La notte scatena violenze
inaudite, soprusi di ogni genere. Nell’oscurità si aggirano personaggi strani, le
figure più losche. La maggior parte delle aggressioni – le statistiche parlano
chiaro – avviene dopo il tramonto. Mi
fermo e aspetto che il (presunto) pedinatore faccia una mossa. Si manifesti. Trattengo
il respiro, irrigidisco i muscoli delle spalle per attutire un eventuale colpo.
Speriamo che non abbia una mazza da baseball. Non è proprio una carezza, ricevere
una mazza da baseball fra capo e collo. Passa qualche minuto (in questi casi,
sembra quasi banale dirlo, è un’eternità). Un’attesa spasmodica. E però alla
fine non succede nulla. Ruoto su me stesso e constato che, dietro di me, non c’è
nessuno. Nessuno mi sta seguendo. Anche questa volta è andata bene, sono salvo.
Pericolo scampato. Direte
che sono paranoico, che le mie sono turbe mentali, tutte fantasie. Davvero? E
il machete di quel latino-americano che ha fatto a pezzi un passante, piombandogli
alle spalle, come lo considerate? Una fantasia? Provate a spiegarlo ai
familiari di quel poveretto sbucciato come una canna da zucchero. Pensate
pure quello che volete, ma quando cammino da solo, di notte, per strada, la
sensazione che qualcuno sia dietro di me, che mi sorvegli, nascosto nella
penombra, e voglia accopparmi, magari solo per il gusto di vedere del sangue, di
terrorizzare un povero diavolo, non mi abbandona. Meglio stare in campana. Non
smetto mai di voltarmi quando gironzolo vicino a casa, o nei pressi dei
giardini pubblici, deserti nelle ore notturne, o lungo i canali di periferia
illuminati dalla luce fioca dei lampioni. Devo sempre verificare che qualcuno non
mi segua, che non ci sia un delinquente armato di cattive intenzioni, un
balordo in agguato, dietro di me. Non ci si
libera facilmente di certi timori. Una
volta, sempre in uno stato apprensivo per paura che, dietro di me, qualcuno mi stia
braccando, mi prendo un grande spavento che, se ci penso, ancora mi tremano le
gambe. Sono nei pressi della stazione ferroviaria. Torno a piedi verso casa, in
piena notte. Come al solito, non mi sento tranquillo. Temo l’aggressione di un
anonimo pedinatore. Improvvisamente, avverto una violenta deflagrazione, lancio
un urlo, pensando all’esplosione di una pistola. Mi guardo il torace per vedere
se c’è del sangue sulla maglietta. Ma la maglietta non è macchiata di sangue. In
realtà, si tratta dello scoppio della marmitta di un motorino, il cui rumore,
nel silenzio notturno, si amplifica. Un
amico di mio fratello, con velleità da psicologo (ha fatto tre anni della
Facoltà di Medicina, poi ha abbandonato per intraprendere la carriera di musicista),
mi ha detto che la paura (lui ha usato la parola “fobia”) di essere seguito da
qualcuno, minacciosamente, ha un’origine studiata da anni. La sua diagnosi è
che il disturbo derivi dalla figura di una “madre-controllo”, come la chiamano
gli specialisti. Una figura descritta anche nei manuali di psicologia. Un classico.
Una madre che esercita un ruolo morboso di controllo verso i figli, verso il
naturale desiderio che i figli hanno di avere una vita autonoma. Una madre
soffocante, come sono spesso le madri che castrano le aspirazioni dei figli non
programmate da loro, che si allontanano dai progetti che loro, le “madri-controllo”,
hanno in testa per il futuro dei figli. Di certo, è il
caso di mia madre, che scarica su di me – sono parole dello psicologo-musicista
– le sue ansie e frustrazioni. A
occhio, la spiegazione mi sembra plausibile. Un
modo per superare e cercare di rimuovere il trauma del controllo materno esiste,
sostiene l’amico di mio fratello che ha preso a cuore la mia patologia. E io da
qualche tempo, ho cominciato a sperimentarla, la via d’uscita che lui mi ha suggerito,
trovandone un certo giovamento. Non sono guarito del tutto, ma ritengo di
essere sulla buona strada. Ci sto ancora lavorando. Adesso,
di notte, quando faccio le mie passeggiate solitarie, ho sempre meno il terrore
che qualcuno mi aggredisca alle spalle, perché i ruoli si sono invertiti, ora sono
io che pedino le persone, che le seguo con aria minacciosa, che aspetto il
momento propizio per spaventarle e far loro del male.
agosto 2022
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