RECENSIONI A
I
MATTOIDI ITALIANIdi Paolo Albani, Quodlibet, Macerata, 2012
GUIDA
INTERGALATTICA PER MALATI D’IMMAGINARIO CRONICI
Bisogna rendere omaggio a Paolo
Albani che con l'acribia di un vero bibliografo ci presenta Mattoidi italiani, un primo e pregevole
repertorio ragionato di autori dimenticati, per lo più misconosciuti a causa
della singolarità della loro opera. Si tratta di un catalogo che offre, per la
prima volta, uno scandaglio meticoloso di personaggi che nel corso della loro
esistenza si sono impegnati nell'elaborazione di bizzarre teorie filosofiche e
astronomiche, arditi sistemi linguistici, strampalate invenzioni dall'utilità
non verificabile e rinnovatori politici emarginati. Tutti accomunati da
un'inclinazione alla veggenza immaginifica e da una posizione discriminata nel
consesso scientifico. Tutti un po' mattoidi insomma, ma non pazzi come si
potrebbe credere. Nessuno di loro ha infatti mai varcato le soglie del
manicomio o messo piede nell'anomia della follia. Si potrebbe dire che sono per
lo più fautori di scienze concorrenti rispetto alla scienza ufficiale, di patafisici
più che di fisici. Cioè esploratori di quella scienza delle soluzioni
immaginarie che sta non dopo la fisica, ma sopra la fisica. Per quanto concerne
gli scrittori "eterocliti" francofoni, francesi e belgi,
un'operazione analoga era già stata portata a compimento nel secolo scorso da
Raymond Queneau e André Blavier; e ora Mattoidi italiani colma una lacuna ingiustamente lasciata prosperare
nel nostro paese, dove invece di materiale da esplorare ce ne sarebbe a
bizzeffe. Basta sfogliare il volume di Albani per farsi una prima idea di come
ci si potrebbe comporre un ampio museo etnografico della popolazione dei
mattoidi italici. Tra la folta schiera di
matematici e fisici che hanno cercato di risolvere l'annosa questione della
quadratura del cerchio spiccano i cosmografi, per lo più impegnati a contestare
le teorie di Newton. Come si può accettare la teoria della gravitazione - ci
dice Giuseppe Casazza ne La legge
di posizione o la legge delle leggi fisiche (1883) - se secondo quest'ultima sulla nostra testa
dovrebbe pesare una forza equivalente a 15mila kg? Spesso non servono strumenti
sofisticati e costosi per invalidare i
costrutti ufficiale della scienza
comunemente accettata. Bastano l'osservazione empirica e un po' di oculato buon
senso. Così per esempio ne La legge
del sistema
planetario,
Giuseppe Borredon, capitano di lungo corso, spiega con acume dimostrativo e
sicurezza argomentativa come a muovere l'intero meccanismo del sistema solare
non siano altro che il caldo e il freddo, cioè l'interazione tra la freddezza
lunare e il calore solare. Tra le scienze che prosperano ai margini e fra gli
interstizi lasciati vuoti dall'ufficialità accademica, anche quelle umanistiche
sono ben rappresentate. Filosofia e
sociologia, politica e linguistica sembrano anzi essere discipline propizie
all'immaginazione e all'errore. E alla fine del catalogo di Albani si ha così
la stessa sensazione che si ha dopo aver letto il Saggio sugli errori
popolari degli antichi
di Leopardi, cioè che nello scarto fra errore e verità
scientifica si annidi l'immaginazione e la creatività poetica umana. Per questo
alla fin fine ci sentiamo di aderire alla teoria del mattoide Carlo Cetti
secondo cui si è naturalmente scrittori «se tutto ciò che fai ti torna a
rovescio, o viene frainteso».
Pubblico, giovedì 25 ottobre 2012, p. 24. ______________________________
Nel
1978, molti lo ricorderanno, c'era in tv, il venerdì, la trasmissione di Enzo
Tortora, «Portobello». Il vero colpo di genio del conduttore era stato quello
di portare in studio gli "inventori". L’inventore di turno esponeva
brevemente il suo progetto, dopo di che veniva mandato in una cabina e
aspettava che qualcuno telefonasse per, magari, finanziarlo o rendere operativo
il brevetto. Una sera fu ospite mi pare un tramviere milanese di origini meridionali
che aveva "inventato", a suo dire, un modo per liberarsi
definitivamente della «nebbia in val Padana», che, all'epoca, era molto più che
un sintagma delle previsioni del tempo o una canzone di Cochi e Renato ma una
concreta, lattiginosa, realtà quodiana per molti. Bene. L'idea (e c'è il filmato
su Youtube) era presto detta: «abbattiamo il passo del Turchino, spianiamolo», in modo
da far arrivare un bel vento costante che, da Genova a Trieste, spazzi a fondo
tutta la pianura. Tortora sotto sotto se la rideva, come noi a casa, eppure più
di qualcuno, al bar e nei giornali, nei giorni successivi, qualche commento
serio alla bislacca proposta lo avrebbe fatto. Il tramviere, in fondo, altri non
era che una versione aggiornata, ma meno interessante, del «mattoide» che Paolo
Albani - sublime indagatore del surreale e
del possibile: autore unico in Italia (e recuperate i suoi titoli precedenti,
in particolare quelli sui libri inesistenti e le relative recensioni) -, ha
investigato nella sua nuova collezione, I mattoidi italiani, appunto,
che queste pagine hanno anticipato da quest'estate e che oggi, finalmente,
approda in libreria. Dico che era una versione aggiornata
perché, anziché il libro, il nostro inventore aveva scelto il mezzo di
comunicazione più immediato e popolare, la tv, ma, forse proprio perché il
mezzo è (era) il messaggio, la sua risultava quasi immediatamente derubricabile
a boutade, da prendere come tale. Il libro no. È più insidioso. Perché il mattoide che ti scrive il libro compie
un ragionamento evoluto, complesso, come il mezzo richiede, e gode implicitamente
del prestigio del libro nella diffusione della cultura. Quantunque le sue
teorie siano le più strambe del mondo. Ecco: i mattoidi di Albani sono più
interessanti dei ciarlatani tv, in buona o cattiva fede, proprio perché, alle
loro "spalle" hanno un libro. Ad Albani non poteva sfuggire la
portata di tale documentazione, allo stesso modo in cui un esilarante Umberto
Eco, anni fa, ragionava sui titoli e gli argomenti di «Varia & curiosa» dei cataloghi d'antiquariato.
E infatti Albani, alla fine di ogni descrizione di «mattoide», mette in calce
la bibliografia. Qualche titolo l'ho anche reperito qua e là: ed è una bella
proposta di collezione per chi inizi con la bibliofilia. Negli
esempi che abbiamo fornito in questi mesi - qui a fianco, l'ultimo - abbiamo cercato
di sondare lo spettro dei mattoidi scelti da Albani. Ci sono tipologie ben note
e classificate. Gli improbabili scienziati (vanno sempre forte le quadrature
del cerchio e le dimostrazioni empiriche di moto perpetuo), i creatori di
lingue universali, i trasmettitori del pensiero, gli ideatori di nuove religioni...
E poi medici, psicologi, sessuologi, economisti, architetti e, ovviamente, filosofi
e letterati... È una galleria
irresistibile di tipi e teorie strampalate che però Albani non solo non irride
o snobba, alzando il sopracciglio, ma ne coglie, come dire, tutta la pericolosa
"vicinanza" a quella che chiamiamo normalità o persino genio. Se c'è
una lezione che salta fuori, leggendo - e ve lo raccomando caldamente - il
volume, è che il «mattoide» non è un pazzo da manicomio o da comica: è
qualcuno, anzi, che ci ricorda che senza l'eccentricità e la bizzarria perdono
colore le nostre stesse esistenze. Ed è perciò che ci servono, e amiamo, questi
preziosissimi eccentrici: per aprirci una finestra nel mondo dell'imprevisto,
del favoloso, del misterioso, del non spiegato. Con il vantaggio di farci
sorridere e anche meditare. Cose che, entrambe troppo spesso non riescono a
tanti saggissimi e noiosi soloni, con tutta la loro sicumera da university
press, da editore blasonato o, magari, da premio Nobel. Domenica de Il Sole 24 ore, 298, 28 ottobre 2012, p. 34.
______________________________ Daniele Giglioli LEGGERE NEL PENSIERO, PACIFICARE IL MONDO: LE MILLE UTOPIE DEI LIBRI
AUTOPUBBLICATI
Creatori di lingue universali. Scienziati e matematici dediti alla confutazione di Newton o alla quadratura del cerchio. Filosofi alfieri di una scuola di cui sono il primo maestro e l'unico discepolo. Lettori del pensiero. Fondatori di religioni. Riformatori sociali. Sessuologi di ampie vedute. Naturalisti in aspro dissidio con le tendenze egemoni della scienza moderna. Economisti eterodossi. Architetti inspiegabilmente bocciati al concorso per il monumento romano a Vittorio Emanuele (inspiegabilmente perché, visto il risultato, il loro progetto era buono quanto un altro). Politici senza seguaci ma non per questo meno risoluti nell'avanzare proposte per la pace mondiale. Questo e molto altro, tutto vero e tutto documentato, il lettore troverà in I mattoidi italiani, il nuovo libro di Paolo Albani in uscita per Quodlibet Compagnia Extra. L'autore batte da tempo, con curiosità e pazienza inesauribili, i sentieri infiniti dell'eterodossia: lingue immaginarie, libri introvabili, scienze anomale. Quello con i mattoidi (un termine che deve la sua fortuna a Cesare Lombroso, e di cui si servì da par suo Carlo Dossi) era un appuntamento obbligato, sulla scia del maestro e ispiratore Queneau, che per decenni si è intrattenuto con le elucubrazioni dei fous littéraires. Non folli o pazzi: nessuno di loro, scrive Albani, ha varcato la soglia del manicomio Un mattoide è piuttosto, nelle parole di Queneau, un autore edito che professa dottrine in contrasto con quelle accettate nella società in cui vive, senza echeggiare teorie precedenti e senza produrre a sua volta alcuna eco: «un "folle letterario" non ha né maestri né discepoli». Libertà senza vincoli, fiero isolamento, padronanza assoluta di un pensiero che non risponde ad alcuna autorità. Condizione invidiabile, a dirla così. E a vedere la sovrana disinvoltura con cui i mattoidi di Albani spendono la loro miglior parte nel creare lingue, confutare metafisiche, risolvere una volta per tutte i problemi del sesso, della politica e della società, può capitare di pensarla in questo modo. Albani ne sembra convinto. Lo sguardo che rivolge ai suoi personaggi non è sarcastico né compassionevole. Entra in dettaglio, cita con larghezza, riassume col massimo scrupolo possibile le argomentazioni più astruse. Negli anni Sessanta Umberto Eco pubblicò sull'«Espresso» uno scintillante saggio sull'editoria a pagamento («L'industria del genio italico»; Albani lo cita spesso) da cui, sotto l'apparente neutralità del referto sociologico, traspariva un misto di scherno e di compatimento per gli ingenui eccentrici che diventano preda di stampatori senza scrupoli. Qui non se ne ha traccia. L'operazione di Eco era nel segno dell'ironia volterriana: la stupidità umana è inesauribile, fortuna che noi ne siamo fuori. Presupponeva superiorità, e si concentrava non a caso, in conformità con lo spirito di quei tempi progressisti, sugli aspetti più grottescamente reazionari degli autori anatomizzati. Albani fa il contrario. I mattoidi raccontati da lui, anche quando magari propendono per il fascismo, sono sempre in qualche modo «di sinistra», intrisi di un fourierismo utopistico che persegue l'armonia, la salvezza, la benevolenza universale. Reclusi nella loro bizzarria, ci tendono comunque le braccia, e non dipende che da noi ricambiare il loro affetto. Ci sono affini più di quanto piacerebbe di pensare, e non a caso trovano ospitalità in una collana che pubblica i libri di Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Daniele Benati, Paolo Nori. Dagli anni Sessanta ci divide un'era, la razionalità illuministica ha abbassato di parecchio la cresta. Se ciò sia un bene o un male si discuterà in altra sede. E tuttavia un interrogativo rimane. Chi li rispetta di più, chi li prende più sul serio i mattoidi? Queneau, che ha dietro di sé l'irresponsabile elogio della follia surrealista? Eco, che li contempla con l'orgogliosa sicurezza di chi si sente intronato sulla cattedra della retta ragione? O Albani, che ce li affratella in un afflato francescano di coglioneria universale da cui leggendolo ci sentiamo anche noi travolti? La risposta non è scontata. I mattoidi non sono contenti di venir considerati tali, e lanciano spesso invettive contro l'ostracismo cui li condannano l'opinione pubblica, la scienza ufficiale, i poteri costituiti. A nessuno piace non essere ascoltato. La comicità involontaria umilia chi la provoca. L'amore respinto si trasforma in odio. Nascosto
tra le pieghe soavi della lingua cordialmente partecipe di Albani, affiora un
fiume nemmeno tanto carsico di dolore, invidia, orgoglio ferito, solitudine
abietta che non fa né sorridere di complicità né ridere di dileggio. Quando
Freud, leggendo le meravigliose Memorie di un malato di nervi del Presidente Schreber,
scriveva a Jung che quello che a noi sembra il delirio del folle è in realtà il
suo tentativo di guarire, di comunicare, di affrancarsi dalla segregazione
spaventosa in cui si trova, aveva uno sguardo meno affettuoso, senza dubbio; ma
forse più umano. La Lettura del Corriere della sera, domenica 4 novembre 2012, p. 14.
______________________________ Francesco Merlo Francesco Becherucci, fisiologo
fiorentino molto stimato anche all'estero, inventò un apparecchio per mangiare
le uova quando, col guscio già formato, si trovano ancora dentro la gallina. Il
bresciano Giuseppe Casazza "dimostrò" che la Terra non gira intorno,
ma davanti al Sole e illustrò il (suo) sistema solare con un planetario
premiato nel 1952 a Parigi con l'imprinting del Politecnico di Milano. Il
bolognese Gaj Magli, tre lauree, elaborò un'unica lingua mondiale di numeri
chiamata Antibabele e costruì un dizionario simultaneo per 11 lingue (33.00
vocaboli). Per esempio Dio è 45 e si pronunzia Depi. Acqua in italiano è 43, in
francese 958, in inglese 2906... Per Oriana Fallaci, Gaj Magli era "un
benefattore dell'umanità", per Massimo Bontempelli "un audace,
semplice e imprevedibile”. Disse il generale Visconti Prasca: «È la scoperta
dell'America››. Velvet, 73, dicembre 2012, p. 82. ______________________________ Francesco Durante MATTOIDI, MA GENIALI Squinternate teorie di originali scienziati e poeti Paolo Albani esamina settanta vite sacrificate
sull’altare della scienza e dell’arte.
Ingarrica, forse perché se ne è
scritto fin troppo, non figura nel bel repertorio di Paolo Albani I mattoidi italiani (Quodlibet, 346
pagine, 16 euro), dove si passano in
rassegna ben settanta vite sacrificate sull'altare della scienza e dell'arte:
autori che, dalla fine del '700 fino
al tardo '900, hanno lasciato traccia
scritta del loro lavorio, e che sono raggruppati in varie «famiglie»: ci sono,
per esempio, i linguisti e creatori di lingue universali, o i lettori e
trasmettitori del pensiero; spiccano i quadratori del cerchio, e i profeti e
ideatori di nuove religioni; molti gli scienziati di vario tipo, gli inventori
e poi gli architetti, categoria dove troviamo alcuni dei protagonisti del
concorso d'idee per la realizzazione dell'Altare della Patria, già rubricati in
quanto mattoidi da Carlo Dossi. Da dove venivano i mattoidi
letterari? Beh, un po' da tutte le parti. Proprio come adesso, che magari non
pubblicano più come una volta - e invariabilmente a proprie spese - ma
dirottano su internet il frutto della loro infaticabile applicazione, da
considerarsi eroica perché non ottiene quasi mai la benché minima ricompensa, e
si risolve in una terribile solitudine. Come infatti scriveva Raymond Queneau,
«un folle letterario non ha né maestri né discepoli» (e Queneau è un vero
maestro per Albani, che è membro
dell'Oplepo: Opificio di Letteratura Potenziale). Apriamo dunque il repertorio, e
spulciamone i protagonisti campani. Il primo che incontriamo - un contemporaneo
dell'Ingarrica - è il frate minore
conventuale Emiddio Manzi, che nel suo «discorso» La gigantologia, pubblicato nel 1852 a Napoli, si
appoggia all'autorità della Bibbia per dichiarare certa l'esistenza dei
giganti. Manzi, peraltro, ha dalla sua prove concrete: da un viceparroco del
paese di Cisterna, presso Marigliano, ha ricevuto una scatolina con dentro il
molare di un gigante accompagnato da un cartiglio che così dice: «Questa mola gigantesca
col dente è stata trovata col suo cranio e scheletro intero». Mica una roba da
poco, visto che lo scheletro sviluppava una lunghezza di circa 12 palmi, cioè a
un dipresso tre metri. E aver potuto esaminare un reperto simile è
un'esperienza che avvicina Manzi a sant'Agostino, il quale ne La città di Dio affermò di aver veduto a Biserta un molare umano cento
volte più grosso di quelli degli uomini comuni. Appresso. Un
autentico titano dell'epistemologia si può considerare Gennaro D'Amato, che nel
corso della sua lunga esistenza, durata dal 1857 al 1947, pubblicò varie opere
fra Genova e Torino, ma il cui nome denuncia senza possibilità d'equivoco
un'origine meridionale. D'Amato è l'autore
di AVM (AUM), Principio fondamentale
originario delle arti
umane. In questo ponderoso trattato, pubblicato nel 1913 a Genova, si
dimostra come progenitrice di tutti i numeri e di tutti gli alfabeti in uso
presso tutti i popoli del mondo sia una cifra geometrica consistente in un
quadrato diviso da due diagonali. Basta fare la prova, disegnare quei quadrati
e vedere l'effetto che fa, magari dopo
aver sovrapposto alle diagonali anche una croce. Che conclusione trae D'Amato
da una così esaltante «scoperta»? Che in quel quadrato - che si può
considerare, per l'appunto, «principio fondamentale originario delle arti
umane» - si rispecchia la Natura intera e,
meglio ancora, il suo Creatore. Di qui, una dotta disquisizione sul segno della
croce, dalle antichità egizie e indiane al cristianesimo; e, di più,
l'osservazione secondo cui questa sorta di divina geometria si ritrova
nella forma delle ossa, nei solchi delle mani e del cervello dell'uomo. In un ambito più «scientifico» va
collocata l'opera di Achille Malinconico, che a proprie spese pubblicò in
Napoli, nel 1885, Agerasia ossia Trattato sulla possibilità del
prolungamento indefinito della
vita umana. Perché s'invecchia? Secondo Malinconico, essenzialmente
per due ragioni: 1) l'infiacchirsi e il
diminuire dei moti del cuore; 2) il
contaminarsi del sangue per via dello scadere della qualità delle secrezioni
che lo formano, da cui dipende fra l'altro il cambiamento del colore dei peli.
Malinconico conosce rimedi all'una e all'altra causa. Il più bello fra questi
lo chiama «il modificatore della vita», che neutralizza le «secrezioni
depravate» e restituisce allo stomaco le normali facoltà digestive per «la
ricostituzione perpetua della vita». (Malinconico, le cui teorie parvero
restare lettera morta, non avrebbe potuto immaginare che oltre un secolo dopo
un altro napoletano, il medico Umberto Scapagnini, avrebbe dichiarato
«tecnicamente immortale» il suo paziente Silvio Berlusconi). Questa breve galleria si chiude con
l'ischitano Gaetano Gargiuto, nato a Casamicciola nel 1906, il quale non aveva problemi ad autodefinirsi «pazzo».
Il pazzo poeta è difatti il titolo di una delle sue numerose raccolte di
versi, edita a Modena da Guanda nel 1937. Debbo dire che la sua inclusione nel
repertorio dei mattoidi mi risulta
alquanto problematica.
Perché
non si può negare che la sua musa, ancorché assai capricciosa, gli ispiri
accenti tutt'altro che vili. Un suo componimento così recita: «Toglimi le scarpe Suora | no no, non mi
toccare | ora con la mia
mamma sto a parlare ... | E
com'è dolce Suora questa voce. || I pazzi son
così come i bambini | vedi?
Non piango più ho finito | e
rido forte forte come un matto | se
no il pianto mio non
m'abbandona
| e
piango e rido e rido perché
piango. || Suora dammi da bere in una coppa vuota | tutta l'essenza
de la vita umana». Un passettino più in là; e Gargiuto, invece che tra i mattoidi, potrebbe essere
arruolato nella scelta schiera dei grandi matti-matti della poesia, che in
Italia, e quasi negli stessi anni, dopo il grande Dino Campana, annoverava il
meno noto ma altrettanto straordinario Emanuel Carnevali. Il problema è però che in Gargiuto c'è - e questo è molto tipico dei mattoidi - la
pretesa di una «autorialità» anche teorica. Dopo la guerra, nel 1954, lancerà
infatti il manifesto di una nuova corrente chiamata «Armonismo», cui scopo principale
è una battaglia da portare alla poesia lamentevole, giacché secondo Gargiuto i
poeti d'oggi (che sarebbero poi gli ermetici) sono come roditori che sguazzano
nelle fogne del pessimismo...
Corriere
del Mezzogiorno,
15 novembre 2012, p. 19. Per scaricare la versione in pdf della recensione di Durante cliccate qui.
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Giorgio Vasta TEORIE, APOSTROFI E IPPOCENTAURI: I MATTI DA INVENTARE Paolo Albani ci svela un catalogo di vere follie. Sono gli eccentrici capaci di creare macchine, lingue, filosofie bizzarre. E che meritano
una riscoperta.
Se ne stanno seduti al tavolino di un bar, impegnati a prendere appunti in un angolo in penombra, ogni tanto un'occhiata veloce alla porta d'ingresso - il nemico ci ascolta. Oppure in metropolitana, lo sguardo inchiodato a compulsare le pagine di un libro, la mano che traccia schemi sui bordi stropicciati, ogni segno un'abrasione. Al ritorno a casa si chiudono in una stanza e scrivono. Settimane, mesi, anni. A volte una vita intera per mettere insieme l'opera definitiva. A quel punto la spediscono a qualcuno che avrà il dovere di riconoscerla e di diffonderla. Negli archivi delle case editrici ci sono castelli di fogli pieni di intuizioni decisive, di rivelazioni ultime. Il senso del mondo - no, dell'intero universo - concentrato in un centinaio di pagine e miracolosamente rivelato ai nostri occhi. Gli attori di tutto ciò - gli autori dell'opera - sono perfetti allevatori di solitudini, coltivatori di sterminati isolamenti. E sono miti, silenziosamente febbrili, ordinariamente imprevedibili: sono i mattoidi. Coloro che inventano lingue universali, immaginano nuove religioni, escogitano cure mediche, approntano macchinari maestosamente incapaci di funzionare. Uno dei loro ultimi avvistamenti ufficiali, tra fine anni Settanta e primi anni Ottanta, risale a Portobello. Ogni settimana figure strabilianti per serietà e ostinazione affermavano, davanti a un Enzo Tortora sobriamente ironico, la necessità improcrastinabile della loro nuova scoperta. Ad aggiornare quello scenario - o meglio a conferirgli articolazione e struttura - è Paolo Albani che con I mattoidi italiani (Quodlibet) ci consente prima di tutto un cambiamento prospettico. Da un repertorio che s’incarica di ricomporre in forma unitaria la scena frantumata di centinaia di pensatori che si sono confrontati con diversi territori del sapere (senza la rete di salvataggio di una preparazione adeguata, da kamikaze della conoscenza) potremmo infatti attenderci l'indulgere continuo nell'ammiccamento complice tra compilatore e lettori. Albani invece non sottolinea una differenza antropologica tra lo sciagurato intelletto mattoide e il nostro, privilegiato, che quell'intelletto stravagante riconosce e giudica; non si rifugia, proteggendoci, nel noi e loro, risolvendo il suo lavoro in un catalogo di bizzarrie: semmai, procedendo tassonomico e senza commenti (consapevole che la sostanza tragicomica di questo inventario emergerà strutturalmente attraverso la mera elencazione), ci mette nelle condizioni di pensare che noi è loro, noi siamo loro, intuendo che in ognuno di noi - quelli intelligenti, i sagaci, i brillanti – è sempre presente e vigile un lampo di acuta limpidissima ottusità. Al contempo, registrando l’esistenza di microcorrenti di pensiero (raramente condiviso da qualcuno al di là del loro creatore) che, sviluppandosi tra il secondo Ottocento e gli anni Sessanta del ventesimo secolo, vanno dall'armonismo a tu-sei-me-ismo, dall'usiologia al misticateismo, dall'agerasia al filopresentaneismo, Albani compone un catalogo delle diverse possibili declinazioni del registro apodittico. Al mattoide è del tutto estranea qualsiasi forma di esitazione; l’acribia è il suo endoscheletro, la concentrazione il suo destino. Del resto, quando ci si cimenta con la teoria secondo cui è nodale, nella produzione linguistica, ridurre tutto al minimo rinunciando alle consonanti doppie, omettendo alcune vocali laddove non indispensabili e ricorrendo all'apostrofo per risparmiare sillabe (Carlo Certi, Teoria del brevismo, 1946), oppure si postula la possibilità, scientificamente dimostrata, di generare un ippocentauro facendo accoppiare un uomo con una giumenta (Achille Casanova, Dottrina delle razze, 1861), o ancora si chiarisce come compiere il giro del mondo in un giorno (Quinto Ogliotti, Nuovo progetto per fare il giro del mondo in 24 ore, 1897), la voce non potrà che essere monomaniacalmente seria e ogni frase risplendere come una sentenza. Leggendo le evoluzioni del pensiero di questi "figli del limo" - per citare Raymond Queneau, uno dei numi tutelari del libro di Albani - possono venire in mente le antimacchine dello scultore svizzero Jean Tinguely, per esempio quelle che si scuotono sgangherate nella Fontana Stravinskij accanto al Centre Pompidou di Parigi. Improduttive,
tragiche, ridicole: puro moto irrelato da una funzione e da un senso. Qualcosa
di simile a certi movimenti delle nostre gambe che si producono semi-inconsapevoli
mentre stiamo leggendo o conversando. Dinamismi anomali, frammenti cinetici,
ripetizioni motorie. Perché la vita
mattoide alligna in ogni corpo; se non si manifesta in forma di discorso, se
non si trasforma nel progetto di avvolgere una gallina in una salvietta per
suggere dal suo interno, tramite una cannula, il contenuto nutritivo dell'uovo
che contiene (un "eroico ricostituente" a detta di Francesco
Becherucci, Memoria, 1887), allora il nostro indistruttibile bisogno di
sperpero diventa movimento.
la
Repubblica, 25 novembre 2012, pp. 42-43. ______________________________
I PATAFISICI D'ITALIA NON STRILLANO MAI
Tuttolibri
- La Stampa, 1841, 8 dicembre 2012, p. III. ______________________________
LA FORZA MITE DEGLI ITALIANI
(estratto)
[…] In queste settimane, durante i
miei viaggi, ho iniziato a portare con me un libro sorprendente e prezioso, un
vero concentrato di speranza nel futuro dell’Italia. Lo ha scritto Paolo Albani
ed è intitolato I mattoidi italiani. C’è da sapere che il nostro è
sempre stato un paese di mattoidi di qualità suprema. L’opera di Albani è una
specie di enciclopedia. Vi trovano spazio creatori di lingue universali,
lettori e trasmettitori del pensiero, quadratori del cerchio, profeti e
inventori di nuove religioni. Gente come Carlo Cetti, autore di una Teoria
del brevismo, convinto di poter sfrondare l’italiano di ogni elemento superfluo,
doppie e prefissi compresi, per fargli ottenere il massimo dell’efficacia. Nel
1965, Cetti pubblicò un Rifacimento dei Promessi Sposi che
sfrondava il capolavoro di Manzoni riducendolo di una buona metà. Alberto
Corva, invece, nel 1915 mise a punto la sua teoria della Telefonia umana,
fondata su un metodo progressivo che, nel giro di pochi anni, consentiva di
scambiarsi pensieri a distanza di chilometri.
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COME RIFARE I PROMESSI SPOSI
RISPARMIANDO SULLE PAROLE
Carlo
Cetti è l’ideatore della teoria del brevismo. La espose in una pubblicazione nella quale
individuava nella brevità del linguaggio un mezzo per la perfezione dello
stile. Una sua opera esemplare è il Rifacimento
dei Promessi Sposi, una versione semplificata dell’intero romanzo. Questo l’incipit:
«Quel ramo del Lario che tra due catene di monti e tutto seni e golfi, volge a
sud, quasi a un tratto sui restringe e, tra un’ampia costiera a manca e un
promontorio a destra, prende corso di fiume; mutazione resa più evidente da un
ponte che unisce le due rive lì ove termina il lago e l’Adda ricomincia…». La
versione, rispetto all’originale manzoniano (86 parole), presenta soltanto 59
parole con un “risparmio”, quindi, di oltre il 31%... Il
Mattino, 10 dicembre 2012, p. 17. ______________________________
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il Venerdì di Repubblica, 14 dicembre 2012, p. 121. ______________________________ Paolo Morelli Come da un rigattiere del buon senso che fu, si assiste a un crescendo di incursioni rapinose in ogni branca del sapere, tutta gente a cui è mancato solo il consenso. Teorie meccaniche della circolazione del sangue, strumenti per controllare il fluido etereo, prove dell’esistenza dei giganti, smacchinazioni nel processo di causa-effetto o piani per la Pace Universale Perpetua. Idee sacrosante come l’abolizione della Chiesa Cattolica o il contratto di matrimonio che scade e si rinnova ogni anno, soluzioni a problemi come la quadratura del cerchio, sedute spiritiche con Nietzsche, cure per la grave malattia della Jattura, con un effetto moltiplicativo che imita l’incontenibile sete, la coazione a saltare a pié pari i limiti ingiusti del conosciuto, prima di tutto quelli del sapere ufficiale. Poi alla fine, nelle bibliografie delle opere, i prodigiosi titoli da mezza pagina insieme fantasiosi e riguardosi delle temute terminologie accademiche. «Idee strane e ardimentose» di autodidatti, quindi un po’ legnosi, che si trovano avanti orizzonti talmente vasti da apparire sconsiderati. Una sfilza di esperimenti nel senso dell’etimo, vale a dire prove o pericoli da affrontare da parte di personaggi a volte un po’ biliosi, che si barcamenano tra incomprensioni e orgoglio, spesso oggetto di dileggio da parte della «cieca ostilità ufficiale», «teste riscaldate» che fanno dell’insuccesso il motore per nuove ricerche. E si può immaginare il piacere della scoperta casuale e solitaria del mondo nel loro cortile. Viene in mente Münchhausen che si solleva dallo stagno tirandosi per il codino (e si può non ricordare che Adorno metteva quel gesto a modello del pensatore odierno?). Albani, in questo come in altri casi, sembra catalogare il disordine come si accumulano munizioni, si mantiene distaccato ma si sente che per lui la loro passione è in fondo ammirevole. E questo proprio mentre si moltiplicano studi seri sul declino repentino dell’intelligenza, e in Italia si rileva un 50% di analfabeti di ritorno, il che porta a chiedersi quale sia la differenza con il 50% di analfabeti d’andata, di moda fino a sessant’anni fa. La differenza c’è, è sostanziale e ha nome delirio. Difatti la vera novità nella situazione attuale si potrebbe definire la scomparsa degli ignoranti: tutti credono di sapere tutto su tutto, nessuno si avverte come ignorante che si vergogna o forse no, ma può sentirsi spinto a esserlo un po’ meno, magari in maniera sui generis. Con tutti i guasti che ciò comporta.
Alfa + più, quotidiano in rete di Alfabeta2, 31 dicembre 2012. ______________________________ Per leggere la recensione di Mariarosa Bricchi uscita su il Manifesto del 10 gennaio 2013 cliccate qui.
Edoardo Camurri ha commentato questa
recensione durante la trasmissione Pagina3 di RaiRadio3, programma
radiofonico di approfondimento delle pagine culturali e dello
spettacolo, su RadioRAI 3. ______________________________
Poeta visivo e performer
sperimentale, Paolo Albani è anche autore di vari saggi e repertori su ogni
tipo di "bizzarrie letterarie e non". Le ricerche (già praticate da
personaggi quali Raymond Queneau e Umberto Eco) su scritti e teorie strampalate
in ogni sfera dello scibile umano si concentrano in questo caso sui
"mattoidi" del Bel Paese, ovvero autori che pur sostenendo tesi del
tutto folli non hanno mai soggiornato in manicomio. Decine di informate schede
di taglio enciclopedico prendono in esame, suddivise per argomento, casi
relativi perlopiù al periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, in parte
attinti dall'archivio storico dell'antropologo Giuseppe Amadei. Troviamo quindi
linguisti utopici come il "brevista" Carlo Cetti, che s'ingegna nel
ridurre al minimo l'uso del vocabolario (riscrivendo a mo' d'esempio in
versione "smagrita" I promessi sposi), o come Gaj Magli,
ideatore del linguaggio numerico internazionale Antibabele. Tra i
poeti e scrittori ci sono autori di audaci imprese quali un remake della Divina
Commedia, preservando le rime dantesche ma con la guerra per
l'indipendenza italiana come soggetto (Bernardo Bellini), mentre tra i filosofi
si distinguono il panteistico Tu-sei-me-ismo di Antonio Cosentino e la
Psicografia di Marco Wahltuch, esposta per mezzo di bizzarre tavole
verbo-visuali. Particolarmente inquietanti alcune proposte di scienziati e
medici, impegnati nel dimostrare la quadratura del cerchio ma anche nel
teorizzare mostruosi incroci uomo-animale o l'assorbimento di fluido vitale da
"animali sani espressamente uccisi" (nonché da uova bevute con
cannuccia direttamente dal sedere della gallina!...). Anziché lasciarsi andare
a facili commenti derisori, Albani redige le voci mantenendo un distaccato e
scientifico aplomb, rendendo così ancor più surreale e "patafisica"
la sconcertante carrellata sul risaputo genio italico. E il pensiero va,
inevitabilmente, al gran numero di visionari blogghisti, fanatici
cospirazionisti, politici ed economisti estemporanei (anche, ahinoi, sui banchi
del Parlamento) che ancor oggi popolano la nostra benamata Penisola. Pulp libri, 101, gennaio/febbraio 2013, p. 54. ______________________________ Sul periodico on line TYSM, PHILOSOPHY AND ______________________________
Cultura Commestibile, 14, 26 gennaio 2013, p. 15. ______________________________ Intervista a Emanuele Trevi su la Repubblica del 12 marzo 2013, p. 52. Di questa intervista ha parlato lo stesso giorno Nicola Lagioia a Pagina 3, programma di RaiRadio3, per ascoltarlo cliccate qui. ______________________________ Umberto Eco LIBRI CHE PARLANO DI LIBRI L'Espresso, 16, 25 aprile 2013, p. 162. ______________________________ Francesco Merlo cita I mattoidi italiani nel suo libro Sillabario dei malintesi. Storia sentimentale d'Italia in poche parole, Marsilio, Venezia, 2017, p. 67. Ancora Fancesco Merlo, in un editoriale su "la Repubblica" di mercoledì 1 maggio 2019, intitolato C'era una volta Beppe Grillo, cita I mattoidi italiani, e in particolare Francesco Becherucci (su quest'ultimo si veda il bell'articolo di Mara Sorrentino cliccando qui). ______________________________ ______________________________ Postato il 23 settembre 2018 su doppiozero, rivista culturale sul web, esce un articolo di Alberto Volpi, Vite istantanee. Microracconti, teoria e pratica, che accenna al mio libro. ______________________________ Postato l'11 giugno 2021 su Cattedrale, un progetto interamente dedicato al racconto, un articolo di Matteo Moca intitolato Il racconto esploratore di probabilità in cui è citato anche il libro I mattoidi italiani. ______________________________ Per tornare alla pagina del libro I mattoidi italiani cliccate qui.
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