pagina del sito di Paolo Albani

RECENSIONI A
I MATTOIDI ITALIANI
di Paolo Albani, Quodlibet, Macerata, 2012




Aldo Pigale

GUIDA INTERGALATTICA PER MALATI D’IMMAGINARIO CRONICI


 

     Bisogna rendere omaggio a Paolo Albani che con l'acribia di un vero bibliografo ci presenta Mattoidi italiani, un primo e pregevole repertorio ragionato di autori dimenticati, per lo più misconosciuti a causa della singolarità della loro opera. Si tratta di un catalogo che offre, per la prima volta, uno scandaglio meticoloso di personaggi che nel corso della loro esistenza si sono impegnati nell'elaborazione di bizzarre teorie filosofiche e astronomiche, arditi sistemi linguistici, strampalate invenzioni dall'utilità non verificabile e rinnovatori politici emarginati. Tutti accomunati da un'inclinazione alla veggenza immaginifica e da una posizione discriminata nel consesso scientifico. Tutti un po' mattoidi insomma, ma non pazzi come si potrebbe credere. Nessuno di loro ha infatti mai varcato le soglie del manicomio o messo piede nell'anomia della follia. Si potrebbe dire che sono per lo più fautori di scienze concorrenti rispetto alla scienza ufficiale, di patafisici più che di fisici. Cioè esploratori di quella scienza delle soluzioni immaginarie che sta non dopo la fisica, ma sopra la fisica. Per quanto concerne gli scrittori "eterocliti" francofoni, francesi e belgi, un'operazione analoga era già stata portata a compimento nel secolo scorso da Raymond Queneau e André Blavier; e ora Mattoidi italiani colma una lacuna ingiustamente lasciata prosperare nel nostro paese, dove invece di materiale da esplorare ce ne sarebbe a bizzeffe. Basta sfogliare il volume di Albani per farsi una prima idea di come ci si potrebbe comporre un ampio museo etnografico della popolazione dei mattoidi italici.

      Tra la folta schiera di matematici e fisici che hanno cercato di risolvere l'annosa questione della quadratura del cerchio spiccano i cosmografi, per lo più impegnati a contestare le teorie di Newton. Come si può accettare la teoria della gravitazione - ci dice Giuseppe Casazza ne La legge di posizione o la legge delle leggi fisiche (1883) - se secondo quest'ultima sulla nostra testa dovrebbe pesare una forza equivalente a 15mila kg? Spesso non servono strumenti sofisticati e costosi per invalidare i costrutti ufficiale della scienza comunemente accettata. Bastano l'osservazione empirica e un po' di oculato buon senso. Così per esempio ne La legge del sistema planetario, Giuseppe Borredon, capitano di lungo corso, spiega con acume dimostrativo e sicurezza argomentativa come a muovere l'intero meccanismo del sistema solare non siano altro che il caldo e il freddo, cioè l'interazione tra la freddezza lunare e il calore solare. Tra le scienze che prosperano ai margini e fra gli interstizi lasciati vuoti dall'ufficialità accademica, anche quelle umanistiche sono ben rappresentate. Filosofia e sociologia, politica e linguistica sembrano anzi essere discipline propizie all'immaginazione e all'errore. E alla fine del catalogo di Albani si ha così la stessa sensazione che si ha dopo aver letto il Saggio sugli errori popolari degli antichi di Leopardi, cioè che nello scarto fra errore e verità scientifica si annidi l'immaginazione e la creatività poetica umana. Per questo alla fin fine ci sentiamo di aderire alla teoria del mattoide Carlo Cetti secondo cui si è naturalmente scrittori «se tutto ciò che fai ti torna a rovescio, o viene frainteso».

 

Pubblico, giovedì 25 ottobre 2012, p. 24.


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Stefano Salis
PREZIOSISSIMI ECCENTRICI




         Nel 1978, molti lo ricorderanno, c'era in tv, il venerdì, la trasmissione di Enzo Tortora, «Portobello». Il vero colpo di genio del conduttore era stato quello di portare in studio gli "inventori". L’inventore di turno esponeva brevemente il suo progetto, dopo di che veniva mandato in una cabina e aspettava che qualcuno telefonasse per, magari, finanziarlo o rendere operativo il brevetto. Una sera fu ospite mi pare un tramviere milanese di origini meridionali che aveva "inventato", a suo dire, un modo per liberarsi definitivamente della «nebbia in val Padana», che, all'epoca, era molto più che un sintagma delle previsioni del tempo o una canzone di Cochi e Renato ma una concreta, lattiginosa, realtà quodiana per molti. Bene. L'idea (e c'è il filmato su Youtube) era presto detta: «abbattiamo il passo del Turchino, spianiamolo», in modo da far arrivare un bel vento costante che, da Genova a Trieste, spazzi a fondo tutta la pianura. Tortora sotto sotto se la rideva, come noi a casa, eppure più di qualcuno, al bar e nei giornali, nei giorni successivi, qualche commento serio alla bislacca proposta lo avrebbe fatto. Il tramviere, in fondo, altri non era che una versione aggiornata, ma meno interessante, del «mattoide» che Paolo Albani - sublime indagatore del surreale e del possibile: autore unico in Italia (e recuperate i suoi titoli precedenti, in particolare quelli sui libri inesistenti e le relative recensioni) -, ha investigato nella sua nuova collezione, I mattoidi italiani, appunto, che queste pagine hanno anticipato da quest'estate e che oggi, finalmente, approda in libreria.

      Dico che era una versione aggiornata perché, anziché il libro, il nostro inventore aveva scelto il mezzo di comunicazione più immediato e popolare, la tv, ma, forse proprio perché il mezzo è (era) il messaggio, la sua risultava quasi immediatamente derubricabile a boutade, da prendere come tale.

    Il libro no. È più insidioso. Perché il mattoide che ti scrive il libro compie un ragionamento evoluto, complesso, come il mezzo richiede, e gode implicitamente del prestigio del libro nella diffusione della cultura. Quantunque le sue teorie siano le più strambe del mondo. Ecco: i mattoidi di Albani sono più interessanti dei ciarlatani tv, in buona o cattiva fede, proprio perché, alle loro "spalle" hanno un libro. Ad Albani non poteva sfuggire la portata di tale documentazione, allo stesso modo in cui un esilarante Umberto Eco, anni fa, ragionava sui titoli e gli argomenti di «Varia & curiosa» dei cataloghi d'antiquariato. E infatti Albani, alla fine di ogni descrizione di «mattoide», mette in calce la bibliografia. Qualche titolo l'ho anche reperito qua e là: ed è una bella proposta di collezione per chi inizi con la bibliofilia.

     Negli esempi che abbiamo fornito in questi mesi - qui a fianco, l'ultimo - abbiamo cercato di sondare lo spettro dei mattoidi scelti da Albani. Ci sono tipologie ben note e classificate. Gli improbabili scienziati (vanno sempre forte le quadrature del cerchio e le dimostrazioni empiriche di moto perpetuo), i creatori di lingue universali, i trasmettitori del pensiero, gli ideatori di nuove religioni... E poi medici, psicologi, sessuologi, economisti, architetti e, ovviamente, filosofi e letterati... È una galleria irresistibile di tipi e teorie strampalate che però Albani non solo non irride o snobba, alzando il sopracciglio, ma ne coglie, come dire, tutta la pericolosa "vicinanza" a quella che chiamiamo normalità o persino genio. Se c'è una lezione che salta fuori, leggendo - e ve lo raccomando caldamente - il volume, è che il «mattoide» non è un pazzo da manicomio o da comica: è qualcuno, anzi, che ci ricorda che senza l'eccentricità e la bizzarria perdono colore le nostre stesse esistenze. Ed è perciò che ci servono, e amiamo, questi preziosissimi eccentrici: per aprirci una finestra nel mondo dell'imprevisto, del favoloso, del misterioso, del non spiegato. Con il vantaggio di farci sorridere e anche meditare. Cose che, entrambe troppo spesso non riescono a tanti saggissimi e noiosi soloni, con tutta la loro sicumera da university press, da editore blasonato o, magari, da premio Nobel.

Domenica de Il Sole 24 ore, 298, 28 ottobre 2012, p. 34.
Per vedere la pagina intera della Domenica (in pdf) cliccate qui.


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Daniele Giglioli
Matematici, filosofi, leader politici. Nessuno di loro è finito in manicomio.

LEGGERE NEL PENSIERO, PACIFICARE IL MONDO:

LE MILLE UTOPIE DEI LIBRI AUTOPUBBLICATI



 

     Creatori di lingue universali. Scienziati e matematici dediti alla confutazione di Newton o alla quadratura del cerchio. Filosofi alfieri di una scuola di cui sono il primo maestro e l'unico discepolo. Lettori del pensiero. Fondatori di religioni. Riformatori sociali. Sessuologi di ampie vedute. Naturalisti in aspro dissidio con le tendenze egemoni della scienza moderna. Economisti eterodossi. Architetti inspiegabilmente bocciati al concorso per il monumento romano a Vittorio Emanuele (inspiegabilmente perché, visto il risultato, il loro progetto era buono quanto un altro). Politici senza seguaci ma non per questo meno risoluti nell'avanzare proposte per la pace mondiale. Questo e molto altro, tutto vero e tutto documentato, il lettore troverà in I mattoidi italiani, il nuovo libro di Paolo Albani in uscita per Quodlibet Compagnia Extra. 

  L'autore batte da tempo, con curiosità e pazienza inesauribili, i sentieri infiniti dell'eterodossia: lingue immaginarie, libri introvabili, scienze anomale. Quello con i mattoidi (un termine che deve la sua fortuna a Cesare Lombroso, e di cui si servì da par suo Carlo Dossi) era un appuntamento obbligato, sulla scia del maestro e ispiratore Queneau, che per decenni si è intrattenuto con le elucubrazioni dei fous littéraires. Non folli o pazzi: nessuno di loro, scrive Albani, ha varcato la soglia del manicomio

      Un mattoide è piuttosto, nelle parole di Queneau, un autore edito che professa dottrine in contrasto con quelle accettate nella società in cui vive, senza echeggiare teorie precedenti e senza produrre a sua volta alcuna eco: «un "folle letterario" non ha né maestri né discepoli». Libertà senza vincoli, fiero isolamento, padronanza assoluta di un pensiero che non risponde ad alcuna autorità. Condizione invidiabile, a dirla così. E a vedere la sovrana disinvoltura con cui i mattoidi di Albani spendono la loro miglior parte nel creare lingue, confutare metafisiche, risolvere una volta per tutte i problemi del sesso, della politica e della società, può capitare di pensarla in questo modo.

        Albani ne sembra convinto. Lo sguardo che rivolge ai suoi personaggi non è sarcastico né compassionevole. Entra in dettaglio, cita con larghezza, riassume col massimo scrupolo possibile le argomentazioni più astruse. Negli anni Sessanta Umberto Eco pubblicò sull'«Espresso» uno scintillante saggio sull'editoria a pagamento («L'industria del genio italico»; Albani lo cita spesso) da cui, sotto l'apparente neutralità del referto sociologico, traspariva un misto di scherno e di compatimento per gli ingenui eccentrici che diventano preda di stampatori senza scrupoli. Qui non se ne ha traccia. L'operazione di Eco era nel segno dell'ironia volterriana: la stupidità umana è inesauribile, fortuna che noi ne siamo fuori. Presupponeva superiorità, e si concentrava non a caso, in conformità con lo spirito di quei tempi progressisti, sugli aspetti più grottescamente reazionari degli autori anatomizzati.

        Albani fa il contrario. I mattoidi raccontati da lui, anche quando magari propendono per il fascismo, sono sempre in qualche modo «di sinistra», intrisi di un fourierismo utopistico che persegue l'armonia, la salvezza, la benevolenza universale. Reclusi nella loro bizzarria, ci tendono comunque le braccia, e non dipende che da noi ricambiare il loro affetto. Ci sono affini più di quanto piacerebbe di pensare, e non a caso trovano ospitalità in una collana che pubblica i libri di Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Daniele Benati, Paolo Nori. Dagli anni Sessanta ci divide un'era, la razionalità illuministica ha abbassato di parecchio la cresta. Se ciò sia un bene o un male si discuterà in altra sede.

    E tuttavia un interrogativo rimane. Chi li rispetta di più, chi li prende più sul serio i mattoidi? Queneau, che ha dietro di sé l'irresponsabile elogio della follia surrealista? Eco, che li contempla con l'orgogliosa sicurezza di chi si sente intronato sulla cattedra della retta ragione? O Albani, che ce li affratella in un afflato francescano di coglioneria universale da cui leggendolo ci sentiamo anche noi travolti? La risposta non è scontata. I mattoidi non sono contenti di venir considerati tali, e lanciano spesso invettive contro l'ostracismo cui li condannano l'opinione pubblica, la scienza ufficiale, i poteri costituiti. A nessuno piace non essere ascoltato. La comicità involontaria umilia chi la provoca. L'amore respinto si trasforma in odio.

    Nascosto tra le pieghe soavi della lingua cordialmente partecipe di Albani, affiora un fiume nemmeno tanto carsico di dolore, invidia, orgoglio ferito, solitudine abietta che non fa né sorridere di complicità né ridere di dileggio. Quando Freud, leggendo le meravigliose Memorie di un malato di nervi del Presidente Schreber, scriveva a Jung che quello che a noi sembra il delirio del folle è in realtà il suo tentativo di guarire, di comunicare, di affrancarsi dalla segregazione spaventosa in cui si trova, aveva uno sguardo meno affettuoso, senza dubbio; ma forse più umano.

 

La Lettura del Corriere della sera, domenica 4 novembre 2012, p. 14.


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Francesco Merlo
L’ITALIA E IL SUO POPOLO DI MATTOIDI
In un libro le storie di 70 nostri connazionali,
tutti “splendidi” visionari. Con intuizioni a volte geniali.

 Francesco Becherucci, fisiologo fiorentino molto stimato anche all'estero, inventò un apparecchio per mangiare le uova quando, col guscio già formato, si trovano ancora dentro la gallina. Il bresciano Giuseppe Casazza "dimostrò" che la Terra non gira intorno, ma davanti al Sole e illustrò il (suo) sistema solare con un planetario premiato nel 1952 a Parigi con l'imprinting del Politecnico di Milano. Il bolognese Gaj Magli, tre lauree, elaborò un'unica lingua mondiale di numeri chiamata Antibabele e costruì un dizionario simultaneo per 11 lingue (33.00 vocaboli). Per esempio Dio è 45 e si pronunzia Depi. Acqua in italiano è 43, in francese 958, in inglese 2906... Per Oriana Fallaci, Gaj Magli era "un benefattore dell'umanità", per Massimo Bontempelli "un audace, semplice e imprevedibile”. Disse il generale Visconti Prasca: «È la scoperta dell'America››.
Prendo questi esempi di geniali ciarlatani da "I mattoídi italiani", edito da Quodlibet, che è forse la più raffinata delle nostre case editrici. Il libro è un catalogo di 70 visionari, 70 marines nei territori del vuoto, dal quale Paolo Albani ha però escluso i viventi e dunque anche se stesso. Come si sa, Einstein teneva sul comodino un libro di Immanuel Velikovsky, medico russo di origine ebraica che aveva spiegato "scientificamente" le piaghe d'Egitto, la trasformazione dell'acqua del Nilo in sangue e tutte le altre enormità della Bibbia. Einstein pensava infatti che i mattoidi, i crank, fossero fratelli di sangue degli scienziati. Ho sempre avuto il sospetto di appartenere a un popolo di “mattoidi”, che del resto era già il titolo di uno strepitoso saggio nel quale Carlo Dossi, nel 1884, aveva preso in rassegna i progetti per il monumento a Vittorio Emanuele (il famoso Vittoriano) presentati "da ragionieri, impiegati, medici, avvocati... opere grandiose, grottesche e strampalate" che prevedevano nel centro di Roma templi in mezzo a grandi laghi artificiali, oppure quattro fortezze in stile gotico o, ancora, una grande mano dove il pollice era Pio IX, l'indice Carlo Alberto, il medio Vittorio Emanuele, l'anulare Umberto e il mignolo il principe Vittorino. Un progettista voleva costruire sopra Castel Sant'Angelo un Gloriadeum con le statue degli uomini illustri di tutti i Paesi, compreso Cristo "ma con le spalle volte al Vaticano, tié!", e su tutti il re a cavallo in cima a una salita a spirale percorribile con le carrozze e persino con un piccolo tram. Quel libro divenne un capitolo del famigerato studio di Lombroso sui rapporti tra l'arte e la follia. In realtà è un magnifico racconto su quella categoria italiana appunto che ora Quodlibet - traduco in Antibabele - "16, 657"...
E la faccio breve per compiacere un altro illustre mattoide, Carlo Cetti, che precursore del linguaggio dei digitantes, inventò il "brevismo": dm per domani, pm per pomeriggio, sn per sono, cmq per comunque... Era il 1946 e Internet non ci aveva ancora fatti diventare tutti mattoidi come lui.

Velvet, 73, dicembre 2012, p. 82.

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Francesco Durante

MATTOIDI, MA GENIALI

Squinternate teorie di originali scienziati e poeti

Paolo Albani esamina settanta vite sacrificate sull’altare della scienza e dell’arte.


 
     Che io sappia, l'insuperato campione dei «mattoidi» letterari è un napoletano o forse salernitano: il magistrato borbonico Ferdinando Ingarrica, autore di anacreontiche in cui pretendeva di riassumere l'intero scibile umano a uso dei fanciulli. La più bella delle sue cantabili strofette è forse quella dedicata all'astronomia: «Stronomia è scienza amena | che l'uom porta a misurare | stelle, sol e ‘l glob' lunare, | e a veder che vi è là su»; versi che fecero scuola e furono modello dei componimenti «maltusiani» (così detti perché parevano servirsi, coi loro insistiti troncamenti, del più elementare metodo di controllo delle nascite, vale a dire del coitus interruptus), composti dagli intellettuali della rivista «Lacerba», da Ettore Petrolini, dai futuristi. Bellissima e famosa, per dire, è questa quartina di Petrolini: «Petrolini è quella cosa | che ti burla in ton garbato, | poi ti dice: ti à piaciato? | se ti offendi se ne freg».

       Ingarrica, forse perché se ne è scritto fin troppo, non figura nel bel repertorio di Paolo Albani I mattoidi italiani (Quodlibet, 346 pagine, 16 euro), dove si passano in rassegna ben settanta vite sacrificate sull'altare della scienza e dell'arte: autori che, dalla fine del '700 fino al tardo '900, hanno lasciato traccia scritta del loro lavorio, e che sono raggruppati in varie «famiglie»: ci sono, per esempio, i linguisti e creatori di lingue universali, o i lettori e trasmettitori del pensiero; spiccano i quadratori del cerchio, e i profeti e ideatori di nuove religioni; molti gli scienziati di vario tipo, gli inventori e poi gli architetti, categoria dove troviamo alcuni dei protagonisti del concorso d'idee per la realizzazione dell'Altare della Patria, già rubricati in quanto mattoidi da Carlo Dossi.

       Da dove venivano i mattoidi letterari? Beh, un po' da tutte le parti. Proprio come adesso, che magari non pubblicano più come una volta - e invariabilmente a proprie spese - ma dirottano su internet il frutto della loro infaticabile applicazione, da considerarsi eroica perché non ottiene quasi mai la benché minima ricompensa, e si risolve in una terribile solitudine. Come infatti scriveva Raymond Queneau, «un folle letterario non ha né maestri né discepoli» (e Queneau è un vero maestro per Albani, che è membro dell'Oplepo: Opificio di Letteratura Potenziale).

   Apriamo dunque il repertorio, e spulciamone i protagonisti campani. Il primo che incontriamo - un contemporaneo dell'Ingarrica - è il frate minore conventuale Emiddio Manzi, che nel suo «discorso» La gigantologia, pubblicato nel 1852 a Napoli, si appoggia all'autorità della Bibbia per dichiarare certa l'esistenza dei giganti. Manzi, peraltro, ha dalla sua prove concrete: da un viceparroco del paese di Cisterna, presso Marigliano, ha ricevuto una scatolina con dentro il molare di un gigante accompagnato da un cartiglio che così dice: «Questa mola gigantesca col dente è stata trovata col suo cranio e scheletro intero». Mica una roba da poco, visto che lo scheletro sviluppava una lunghezza di circa 12 palmi, cioè a un dipresso tre metri. E aver potuto esaminare un reperto simile è un'esperienza che avvicina Manzi a sant'Agostino, il quale ne La città di Dio affermò di aver veduto a Biserta un molare umano cento volte più grosso di quelli degli uomini comuni.

      Appresso. Un autentico titano dell'epistemologia si può considerare Gennaro D'Amato, che nel corso della sua lunga esistenza, durata dal 1857 al 1947, pubblicò varie opere fra Genova e Torino, ma il cui nome denuncia senza possibilità d'equivoco un'origine meridionale. D'Amato è l'autore di AVM (AUM), Principio fondamentale originario delle arti umane. In questo ponderoso trattato, pubblicato nel 1913 a Genova, si dimostra come progenitrice di tutti i numeri e di tutti gli alfabeti in uso presso tutti i popoli del mondo sia una cifra geometrica consistente in un quadrato diviso da due diagonali. Basta fare la prova, disegnare quei quadrati e vedere l'effetto che fa, magari dopo aver sovrapposto alle diagonali anche una croce. Che conclusione trae D'Amato da una così esaltante «scoperta»? Che in quel quadrato - che si può considerare, per l'appunto, «principio fondamentale originario delle arti umane» - si rispecchia la Natura intera e, meglio ancora, il suo Creatore. Di qui, una dotta disquisizione sul segno della croce, dalle antichità egizie e indiane al cristianesimo; e, di più, l'osservazione secondo cui questa sorta di divina geometria si ritrova nella forma delle ossa, nei solchi delle mani e del cervello dell'uomo.

       In un ambito più «scientifico» va collocata l'opera di Achille Malinconico, che a proprie spese pubblicò in Napoli, nel 1885, Agerasia ossia Trattato sulla possibilità del prolungamento indefinito della vita umana. Perché s'invecchia? Secondo Malinconico, essenzialmente per due ragioni: 1) l'infiacchirsi e il diminuire dei moti del cuore; 2) il contaminarsi del sangue per via dello scadere della qualità delle secrezioni che lo formano, da cui dipende fra l'altro il cambiamento del colore dei peli. Malinconico conosce rimedi all'una e all'altra causa. Il più bello fra questi lo chiama «il modificatore della vita», che neutralizza le «secrezioni depravate» e restituisce allo stomaco le normali facoltà digestive per «la ricostituzione perpetua della vita». (Malinconico, le cui teorie parvero restare lettera morta, non avrebbe potuto immaginare che oltre un secolo dopo un altro napoletano, il medico Umberto Scapagnini, avrebbe dichiarato «tecnicamente immortale» il suo paziente Silvio Berlusconi).

       Questa breve galleria si chiude con l'ischitano Gaetano Gargiuto, nato a Casamicciola nel 1906, il quale non aveva problemi ad autodefinirsi «pazzo». Il pazzo poeta è difatti il titolo di una delle sue numerose raccolte di versi, edita a Modena da Guanda nel 1937. Debbo dire che la sua inclusione nel repertorio dei mattoidi mi risulta alquanto problematica. Perché non si può negare che la sua musa, ancorché assai capricciosa, gli ispiri accenti tutt'altro che vili. Un suo componimento così recita: «Toglimi le scarpe Suora | no no, non mi toccare | ora con la mia mamma sto a parlare ... | E com'è dolce Suora questa voce. || I pazzi son così come i bambini | vedi? Non piango più ho finito | e rido forte forte come un matto | se no il pianto mio non m'abbandona | e piango e rido e rido perché piango. || Suora dammi da bere in una coppa vuota | tutta l'essenza de la vita umana». Un passettino più in là; e Gargiuto, invece che tra i mattoidi, potrebbe essere arruolato nella scelta schiera dei grandi matti-matti della poesia, che in Italia, e quasi negli stessi anni, dopo il grande Dino Campana, annoverava il meno noto ma altrettanto straordinario Emanuel Carnevali. Il problema è però che in Gargiuto c'è - e questo è molto tipico dei mattoidi - la pretesa di una «autorialità» anche teorica. Dopo la guerra, nel 1954, lancerà infatti il manifesto di una nuova corrente chiamata «Armonismo», cui scopo principale è una battaglia da portare alla poesia lamentevole, giacché secondo Gargiuto i poeti d'oggi (che sarebbero poi gli ermetici) sono come roditori che sguazzano nelle fogne del pessimismo...

 

Corriere del Mezzogiorno, 15 novembre 2012, p. 19.

Per scaricare la versione in pdf della recensione di Durante cliccate qui.



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Giorgio Vasta

TEORIE, APOSTROFI E IPPOCENTAURI: I MATTI DA INVENTARE

Paolo Albani ci svela un catalogo di vere follie.

Sono gli eccentrici capaci di creare macchine, lingue, filosofie bizzarre.

E che meritano una riscoperta.



 

            Se ne stanno seduti al tavolino di un bar, impegnati a prendere appunti in un angolo in penombra, ogni tanto un'occhiata veloce alla porta d'ingresso - il nemico ci ascolta. Oppure in metropolitana, lo sguardo inchiodato a compulsare le pagine di un libro, la mano che traccia schemi sui bordi stropicciati, ogni segno un'abrasione. 

            Al ritorno a casa si chiudono in una stanza e scrivono. Settimane, mesi, anni. A volte una vita intera per mettere insieme l'opera definitiva. A quel punto la spediscono a qualcuno che avrà il dovere di riconoscerla e di diffonderla. Negli archivi delle case editrici ci sono castelli di fogli pieni di intuizioni decisive, di rivelazioni ultime. Il senso del mondo - no, dell'intero universo - concentrato in un centinaio di pagine e miracolosamente rivelato ai nostri occhi.

            Gli attori di tutto ciò - gli autori dell'opera - sono perfetti allevatori di solitudini, coltivatori di sterminati isolamenti. E sono miti, silenziosamente febbrili, ordinariamente imprevedibili: sono i mattoidi. Coloro che inventano lingue universali, immaginano nuove religioni, escogitano cure mediche, approntano macchinari maestosamente incapaci di funzionare. Uno dei loro ultimi avvistamenti ufficiali, tra fine anni Settanta e primi anni Ottanta, risale a Portobello. Ogni settimana figure strabilianti per serietà e ostinazione affermavano, davanti a un Enzo Tortora sobriamente ironico, la necessità improcrastinabile della loro nuova scoperta.

        Ad aggiornare quello scenario - o meglio a conferirgli articolazione e struttura - è Paolo Albani che con I mattoidi italiani (Quodlibet) ci consente prima di tutto un cambiamento prospettico. Da un repertorio che s’incarica di ricomporre in forma unitaria la scena frantumata di centinaia di pensatori che si sono confrontati con diversi territori del sapere (senza la rete di salvataggio di una preparazione adeguata, da kamikaze della conoscenza) potremmo infatti attenderci l'indulgere continuo nell'ammiccamento complice tra compilatore e lettori.

    Albani invece non sottolinea una differenza antropologica tra lo sciagurato intelletto mattoide e il nostro, privilegiato, che quell'intelletto stravagante riconosce e giudica; non si rifugia, proteggendoci, nel noi e loro, risolvendo il suo lavoro in un catalogo di bizzarrie: semmai, procedendo tassonomico e senza commenti (consapevole che la sostanza tragicomica di questo inventario emergerà strutturalmente attraverso la mera elencazione), ci mette nelle condizioni di pensare che noi è loro, noi siamo loro, intuendo che in ognuno di noi - quelli intelligenti, i sagaci, i brillanti – è sempre presente e vigile un lampo di acuta limpidissima ottusità.

      Al contempo, registrando l’esistenza di microcorrenti di pensiero (raramente condiviso da qualcuno al di del loro creatore) che, sviluppandosi tra il secondo Ottocento e gli anni Sessanta del ventesimo secolo, vanno dall'armonismo a tu-sei-me-ismo, dall'usiologia al misticateismo, dall'agerasia al filopresentaneismo, Albani compone un catalogo delle diverse possibili declinazioni del registro apodittico.

   Al mattoide è del tutto estranea qualsiasi forma di esitazione; l’acribia è il suo endoscheletro, la concentrazione il suo destino. Del resto, quando ci si cimenta con la teoria secondo cui è nodale, nella produzione linguistica, ridurre tutto al minimo rinunciando alle consonanti doppie, omettendo alcune vocali laddove non indispensabili e ricorrendo all'apostrofo per risparmiare sillabe (Carlo Certi, Teoria del brevismo, 1946), oppure si postula la possibilità, scientificamente dimostrata, di generare un ippocentauro facendo accoppiare un uomo con una giumenta (Achille Casanova, Dottrina delle razze, 1861), o ancora si chiarisce come compiere il giro del mondo in un giorno (Quinto Ogliotti, Nuovo progetto per fare il giro del mondo in 24 ore, 1897), la voce non potrà che essere monomaniacalmente seria e ogni frase risplendere come una sentenza.

    Leggendo le evoluzioni del pensiero di questi "figli del limo" - per citare Raymond Queneau, uno dei numi tutelari del libro di Albani - possono venire in mente le antimacchine dello scultore svizzero Jean Tinguely, per esempio quelle che si scuotono sgangherate nella Fontana Stravinskij accanto al Centre Pompidou di Parigi.

    Improduttive, tragiche, ridicole: puro moto irrelato da una funzione e da un senso. Qualcosa di simile a certi movimenti delle nostre gambe che si producono semi-inconsapevoli mentre stiamo leggendo o conversando. Dinamismi anomali, frammenti cinetici, ripetizioni motorie. Perché la vita mattoide alligna in ogni corpo; se non si manifesta in forma di discorso, se non si trasforma nel progetto di avvolgere una gallina in una salvietta per suggere dal suo interno, tramite una cannula, il contenuto nutritivo dell'uovo che contiene (un "eroico ricostituente" a detta di Francesco Becherucci, Memoria, 1887), allora il nostro indistruttibile bisogno di sperpero diventa movimento.

 

la Repubblica, 25 novembre 2012, pp. 42-43.

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Andrea Cortellessa

I PATAFISICI D'ITALIA NON STRILLANO MAI
Settanta personaggi border line,
quadratori del cerchio tra Otto e Novecento.



           
    Di poche cose vado fiero, confesso, come di ricevere di tanto in tanto uno degli undici esemplari delle pubblicazioni della «FUOCOfuochino» di Afro Somenzari, quella cioè che si autopromuove (si fa per dire) come «la più povera casa editrice del mondo». Testi brevi, massimo quattro pagine, di «oulipiani ruspanti, patafisici casual, metafisici portatili […], teorici dell’eccezione e della marginalità, irregolari & irriducibili, teneri misantropi che si ostinano a difendere le ultime ragioni dell’umano come nessun altro».
 
Così introduce Ernesto Ferrero al secondo loro «Catalogo», su carta umile e sempre fuori commercio, ma con illustrazioni a colori di Guido Scarabottolo. Idea geniale o forse vendetta sottile – quella di chi ha il segno più riconoscibile della nostra editoria –, di realizzare copertine immaginarie di classici della letteratura trattandoli come romanzacci pulp della fantascienza d’antan (sicché I fiori del male sono immense piante carnivore, e le Fanciulle in fiore dei trifidi insidiosi; a Scarabottolo si deve pure la Pinacoteca Universale della Stazione di Topolò, che qui non ho modo di descrivere: ma il prossimo luglio non mancate di visitarla).
   
Tra gli autori di FUOCOfuochino c’è Paolo Albani, severo docente di economia politica che da anni assembla oggetti-libro minuziosi e folli, con inappuntabile acribia dedicati ai repertori più strampalati e inattendibili: dalle lingue immaginarie (Zanichelli ha da poco ristampato il «classico» Aga magéra difùra) alle «scienze anomale». Il talento pseudo-enciclopedico di Albani – degno erede della patafisica di Jarry, scienza delle eccezioni e delle «soluzioni immaginarie» – eccelle appunto nelle discipline scientifiche, reame di quella che Musil chiamava «stupidità intelligente». È il caso di quest’ultimo, imperdibile zibaldone (anche illustrato) di Mattoidi italiani, inevitabilmente uscito nella «Compagnia Extra» di Quodlibet.
      
Mattoidi definiva Cesare Lombroso quelle figure border-line di «eterocliti» (come li chiamava invece Queneau) che non strillano mai tanto da finire in manicomio. Lo stesso termine impiegò Carlo Dossi per i progetti del concorso per il Vittoriano di Roma (su 296, secondo lui, «39 pendono decisamente alla follia […] mentre circa 35 sono frutto di menti “semplicemente cretine”»). Albani passa in rassegna settanta personaggi del tutto ignoti – medici ed economisti, filosofi e linguisti, cosmologi e letterati, «quadratori del cerchio» e «trasmettitori del pensiero» – per lo più vissuti a cavallo tra Otto e Novecento, tutti convinti di essere «benefattori dell’umanità». Ce ne sono di non meno che commoventi (io stravedo per la «telefonia umana» di Alberto Corva, il «misticateismo» di Giovanni Tummolo, la «fisiologia dell’adulterio» di G. Lima Fulga…).
   
Ne viene fuori un compendio di patafisici naturali, serissimi e raziocinantissimi, una nave di folli fatta di carta (come nella copertina di Mario Ortolani). Nonché la convinzione che più folle ancora sia chi li classifica col loro stesso zelo maniaco. Albani lo sa bene, quando riporta certi commenti di Lombroso (per esempio quando maramaldeggia su chi «consuma tutto il suo scarso peculio […] nella stampa di opuscoli a favore della rigenerazione della posterità, che egli dirama dappertutto gratuitamente»).
  
Quel Lombroso che, ha raccontato una volta Ermanno Cavazzoni (chissà se nel comporre la Storia naturale dei giganti conosceva la «gigantologia» di Emiddio Manzi), nel 1897 andò in Russia per studiare Leone Tolstoj: «Ma Tolstoj non lo volle ricevere, dicendo che le sue teorie eran le teorie di un idiota. Quando questo gli fu riferito, Lombroso ne restò molto offeso; sfidò Tolstoj a provarlo statisticamente. Ma non ne ebbe risposta».

Tuttolibri - La Stampa, 1841, 8 dicembre 2012, p. III.

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Emanuele Trevi

LA FORZA MITE DEGLI ITALIANI
I mattoidi buoni e gli eroi disarmati.
Veri campioni del carattere nazionale.

(estratto)


[…] In queste settimane, durante i miei viaggi, ho iniziato a portare con me un libro sorprendente e prezioso, un vero concentrato di speranza nel futuro dell’Italia. Lo ha scritto Paolo Albani ed è intitolato I mattoidi italiani. C’è da sapere che il nostro è sempre stato un paese di mattoidi di qualità suprema. L’opera di Albani è una specie di enciclopedia. Vi trovano spazio creatori di lingue universali, lettori e trasmettitori del pensiero, quadratori del cerchio, profeti e inventori di nuove religioni. Gente come Carlo Cetti, autore di una Teoria del brevismo, convinto di poter sfrondare l’italiano di ogni elemento superfluo, doppie e prefissi compresi, per fargli ottenere il massimo dell’efficacia. Nel 1965, Cetti pubblicò un Rifacimento dei Promessi Sposi che sfrondava il capolavoro di Manzoni riducendolo di una buona metà. Alberto Corva, invece, nel 1915 mise a punto la sua teoria della Telefonia umana, fondata su un metodo progressivo che, nel giro di pochi anni, consentiva di scambiarsi pensieri a distanza di chilometri.
   Consiglio di utilizzare il libro di Albani come un vero e proprio breviario, leggendo una biografia di mattoide al giorno. È una lettura rincuorante, un tonico morale di cui nessun italiano dovrebbe fare a meno. Solo in apparenza questo libro manca di rispetto per i suoi protagonisti. Certo le idee dei mattoidi, e i titoli dei loro libri, fanno ridere. Ma il nostro divertimento non cancella una profonda verità morale. Come i santi, come i grandi poeti, i mattoidi incarnano tutti, a loro modo, un modello di vita esemplare. Ignari del principio di realtà e dei suoi cinici ammonimenti, vanno dritti per la propria strada sposando due qualità umane preziosissime: la determinazione da un lato, e dall'altro quella mitezza che Norberto Bobbio, nei suoi ultimi anni, additava come la suprema delle virtù civili.
   Mi sembra chiaro che le caratteristiche umane che vengono fuori dal libro di Albani, così godibile e in apparenza disimpegnato, possono venire proiettate su dimensioni serissime dell'esistenza. Chiamatelo santo, chiamatelo mattoide, ma nel singolo individuo c'è sempre la più preziosa delle risorse, che è la capacità di mettere da parte le regole del mondo, con la loro ingannevole apparenza di realtà immutabili e necessarie, per inventarne altre, più ricche di felicità e di giustizia  […].

 La Lettura - Corriere della Sera, 9 dicembre 2012, pp. 34-35.

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Raffaele Aragona
Letteratura da pazzi

COME RIFARE I PROMESSI SPOSI
RISPARMIANDO SULLE PAROLE

      Carlo Cetti è l’ideatore della teoria del brevismo. La  espose in una pubblicazione nella quale individuava nella brevità del linguaggio un mezzo per la perfezione dello stile. Una sua opera esemplare è il Rifacimento dei Promessi Sposi, una versione semplificata dell’intero romanzo. Questo l’incipit: «Quel ramo del Lario che tra due catene di monti e tutto seni e golfi, volge a sud, quasi a un tratto sui restringe e, tra un’ampia costiera a manca e un promontorio a destra, prende corso di fiume; mutazione resa più evidente da un ponte che unisce le due rive lì ove termina il lago e l’Adda ricomincia…». La versione, rispetto all’originale manzoniano (86 parole), presenta soltanto 59 parole con un “risparmio”, quindi, di oltre il 31%...
      
Cetti è soltanto uno dei 70 “mattoidi” di casa nostra – non viventi – dei quali Paolo Albani (I mattoidi italiani, Quodlibet, 2012, pagg. 348, Euro 16,00) traccia il profilo indicandone diffusamente le caratteristiche e le deliranti teorie nei campi più diversi: si va dai linguisti ai medici, dagli scienziati ai profeti, dai sessuologi agli psicologi, dagli architetti ai politici. Per tutti questi autori bizzarri il volume offre ampi riferimenti bibliografici, la riproduzione delle copertine dei loro libri e l’esposizione delle loro deliranti teorie. Tra i “mattoidi” c’è chi riesce addirittura a brevettare l’invenzione di un convoglio aereo in grado di fare il giro del mondo in 24 ore e chi elabora una teoria sistematica del fenomeno della “simpatia” analizzandone i vari fattori e giungendo alla definizione di alcune leggi che la determinano; ci sono alcuni che congetturano tesi volte alla “quadratura del cerchio” o alla “cubatura della sfera” e tanti altri studiosi di argomenti singolari come chi spiega come sia possibile giudicare l’animo dell’uomo (o della donna) dall’espressione del suo volto.
     
Ancora in campo “letterario” spicca il nome di Bernardo Bellini che, nel 1865, pubblicò un testo costruito su di una regola ferrea quanto bizzarra: L’inferno della tirannide. In esso vengono deprecate le tristi condizioni dell’Italia sotto il dominio austriaco. Incredibilmente Bellini compose 34 canti quanti quelli dell’Inferno dantesco utilizzando rigorosamente tutte le rime in esso presenti. Ciò che cambia è il soggetto e, naturalmente, i personaggi: ad esempio, Caronte diventa Radtzky, Paolo e Francesca una coppia torturata dagli austriaci. Basta la prima terzina per dare idea della fatica: Non lungi al valicar di nostra vita / mi ritrovai per una landa oscura / sì che ogni lena in cor m’era smarrita.
    
Un lavoro, questo di Albani quanto mai puntuale e approfondito dal punto di vista bibliografico; esso riprende la ricerca di Raymond Queneau sui “fous littéraries”, definizione che, beninteso, non si riferisce a letterati folli ma ad autori «le cui elucubrazioni si allontanano da quelle professate dalla società in cui vive (…), che non rimandano a dottrine anteriori e che non hanno avuto eco alcuna. In breve un “folle letterario” non ha né maestri né discepoli».

Il Mattino, 10 dicembre 2012, p. 17.

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Una recensione ai Mattoidi italiani è uscita sul web magazine Almanacco della Scienza, quindicinale a cura dell'Ufficio Stampa del CNR (Centro Nazionale delle Ricerche), firmata M. F. [Marco Ferrazzoli, direttore dell'Ufficio Stampa del CNR], per leggerla cliccate qui.

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il Venerdì di Repubblica, 14 dicembre 2012, p. 121.

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Paolo Morelli
I MATTOIDI ITALIANI


           
Tutti quelli di cui troverete poco o nulla sul web. I mattoidi italiani di Paolo Albani è un rigoglioso catalogo stilato nel grande opificio del tempo perso, e opificio non è parola a caso, essendo l’autore membro dell’Oplepo (Opificio di Letteratura Potenziale, erede dell’Oulipo) e appassionato di anomali, eterocliti, stravaganti, folli letterari, nonché, lui in proprio, poeta visivo e ossessionato ordinatore.

     Come da un rigattiere del buon senso che fu, si assiste a un crescendo di incursioni rapinose in ogni branca del sapere, tutta gente a cui è mancato solo il consenso. Teorie meccaniche della circolazione del sangue, strumenti per controllare il fluido etereo, prove dell’esistenza dei giganti, smacchinazioni nel processo di causa-effetto o piani per la Pace Universale Perpetua. Idee sacrosante come l’abolizione della Chiesa Cattolica o il contratto di matrimonio che scade e si rinnova ogni anno, soluzioni a problemi come la quadratura del cerchio, sedute spiritiche con Nietzsche, cure per la grave malattia della Jattura, con un effetto moltiplicativo che imita l’incontenibile sete, la coazione a saltare a pié pari i limiti ingiusti del conosciuto, prima di tutto quelli del sapere ufficiale. Poi alla fine, nelle bibliografie delle opere, i prodigiosi titoli da mezza pagina insieme fantasiosi e riguardosi delle temute terminologie accademiche.

       «Idee strane e ardimentose» di autodidatti, quindi un po’ legnosi, che si trovano avanti orizzonti talmente vasti da apparire sconsiderati. Una sfilza di esperimenti nel senso dell’etimo, vale a dire prove o pericoli da affrontare da parte di personaggi a volte un po’ biliosi, che si barcamenano tra incomprensioni e orgoglio, spesso oggetto di dileggio da parte della «cieca ostilità ufficiale», «teste riscaldate» che fanno dell’insuccesso il motore per nuove ricerche. E si può immaginare il piacere della scoperta casuale e solitaria del mondo nel loro cortile. Viene in mente Münchhausen che si solleva dallo stagno tirandosi per il codino (e si può non ricordare che Adorno metteva quel gesto a modello del pensatore odierno?).

        Albani, in questo come in altri casi, sembra catalogare il disordine come si accumulano munizioni, si mantiene distaccato ma si sente che per lui la loro passione è in fondo ammirevole. E questo proprio mentre si moltiplicano studi seri sul declino repentino dell’intelligenza, e in Italia si rileva un 50% di analfabeti di ritorno, il che porta a chiedersi quale sia la differenza con il 50% di analfabeti d’andata, di moda fino a sessant’anni fa. La differenza c’è, è sostanziale e ha nome delirio. Difatti la vera novità nella situazione attuale si potrebbe definire la scomparsa degli ignoranti: tutti credono di sapere tutto su tutto, nessuno si avverte come ignorante che si vergogna o forse no, ma può sentirsi spinto a esserlo un po’ meno, magari in maniera sui generis. Con tutti i guasti che ciò comporta.

 

Alfa + più, quotidiano in rete di Alfabeta2, 31 dicembre 2012.

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Per leggere la recensione di Mariarosa Bricchi uscita su il Manifesto del 10 gennaio 2013 cliccate qui. Edoardo Camurri ha commentato questa recensione durante la trasmissione Pagina3 di RaiRadio3, programma radiofonico di approfondimento delle pagine culturali e dello spettacolo, su RadioRAI 3.

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Vittore Baroni
I MATTOIDI ITALIANI



Poeta visivo e performer sperimentale, Paolo Albani è anche autore di vari saggi e repertori su ogni tipo di "bizzarrie letterarie e non". Le ricerche (già praticate da personaggi quali Raymond Queneau e Umberto Eco) su scritti e teorie strampalate in ogni sfera dello scibile umano si concentrano in questo caso sui "mattoidi" del Bel Paese, ovvero autori che pur sostenendo tesi del tutto folli non hanno mai soggiornato in manicomio. Decine di informate schede di taglio enciclopedico prendono in esame, suddivise per argomento, casi relativi perlopiù al periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, in parte attinti dall'archivio storico dell'antropologo Giuseppe Amadei. Troviamo quindi linguisti utopici come il "brevista" Carlo Cetti, che s'ingegna nel ridurre al minimo l'uso del vocabolario (riscrivendo a mo' d'esempio in versione "smagrita" I promessi sposi), o come Gaj Magli, ideatore del linguaggio numerico internazionale Antibabele. Tra i poeti e scrittori ci sono autori di audaci imprese quali un remake della Divina Commedia, preservando le rime dantesche ma con la guerra per l'indipendenza italiana come soggetto (Bernardo Bellini), mentre tra i filosofi si distinguono il panteistico Tu-sei-me-ismo di Antonio Cosentino e la Psicografia di Marco Wahltuch, esposta per mezzo di bizzarre tavole verbo-visuali. Particolarmente inquietanti alcune proposte di scienziati e medici, impegnati nel dimostrare la quadratura del cerchio ma anche nel teorizzare mostruosi incroci uomo-animale o l'assorbimento di fluido vitale da "animali sani espressamente uccisi" (nonché da uova bevute con cannuccia direttamente dal sedere della gallina!...). Anziché lasciarsi andare a facili commenti derisori, Albani redige le voci mantenendo un distaccato e scientifico aplomb, rendendo così ancor più surreale e "patafisica" la sconcertante carrellata sul risaputo genio italico. E il pensiero va, inevitabilmente, al gran numero di visionari blogghisti, fanatici cospirazionisti, politici ed economisti estemporanei (anche, ahinoi, sui banchi del Parlamento) che ancor oggi popolano la nostra benamata Penisola.

Pulp libri, 101, gennaio/febbraio 2013, p. 54.

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Sul periodico on line TYSM, PHILOSOPHY AND
SOCIAL CRITICISM, una recensione di Francesco Paolella
postata il 20 gennaio 2013, per leggerla cliccate qui.

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Cristina Pucci

IDEE SENZA FONDAMENTO PRIVE DI TEORIE E DI ADEPTI



Cultura Commestibile, 14, 26 gennaio 2013, p. 15.

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Raffaele De Santis
Intervista a Emanuele Trevi
su la Repubblica del 12 marzo 2013, p. 52.
Di questa intervista ha parlato lo stesso giorno Nicola Lagioia a Pagina 3,
programma di RaiRadio3, per ascoltarlo cliccate qui.









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Umberto Eco
LIBRI CHE PARLANO DI LIBRI
L'Espresso, 16, 25 aprile 2013, p. 162.



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 Francesco Merlo cita I mattoidi italiani nel suo libro
Sillabario dei malintesi. Storia sentimentale d'Italia
in poche parole
, Marsilio, Venezia, 2017, p. 67.





Ancora Fancesco Merlo, in un editoriale su "la Repubblica"
di mercoledì 1 maggio 2019, intitolato C'era una volta Beppe Grillo,
cita I mattoidi italiani, e in particolare Francesco Becherucci
(su quest'ultimo si veda il bell'articolo di Mara Sorrentino cliccando qui).

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Postato il 23 settembre 2018 su doppiozero,
rivista culturale sul web, esce un articolo di Alberto Volpi,
Vite istantanee. Microracconti, teoria e pratica,
che accenna al mio libro.



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Postato l'11 giugno 2021 su
Cattedrale, un progetto interamente dedicato
al racconto, un articolo di Matteo Moca intitolato
Il racconto esploratore di probabilità
in cui è citato anche il libro I mattoidi italiani.
 


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Per tornare alla pagina del libro I mattoidi italiani cliccate qui.




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