PIGHETTI E LA FILOSOFIA PER SÉ
La
mia vita, scrive Pighetti nell’incipit di Saggio
filosofico (Tipi Nicola De Arcangelis, Casalbordino, 1907, un opuscolo di
14 pagine presente fra i libri di mattoidi raccolti verso
la fine del secolo XIX dal medico alienista Giuseppe Amadei e conservati presso
la Biblioteca Classense di Ravenna), si spiega in un solo modo: con
il conoscere, che a sua volta si risolve solo con il conoscere se stessi. «Se
io non conoscessi», afferma Pighetti, «né penserei, né direi, né farei, dato
che per pensare, per dire, per fare, occorre ch’io conosca me stesso, che per
conoscere me stesso occorre ch’io riconosca me stesso nell’altro, che per
riconoscere me stesso nell’altro, occorre ch’io conosca me stesso e l’altro». Nell’introduzione
a Saggio filosofico. Abbozzo di
introduzione alla Filosofia dello Spirito e Filosofia della Pratica (Tip.
C. Goldaniga, Soncino, 1910?), Pighetti ammette di aver letto e studiato poco
le opere filosofiche «un po’ per non esser mai stato in condizione di studio
tranquillo», un po’ per l’ingenuo timore di perdere, con le letture, la
freschezza e anche la selvatichezza del proprio pensiero. La
Filosofia dello Spirito pighettiana (anche in Considerazioni sul diritto e sul suo fondamento filosofico, 1929)
pone al centro della sua riflessione la realtà, ovvero ciò che esiste, non
eccettuati noi stessi che la investighiamo: questo è il problema filosofico
fondamentale, dato che la filosofia è nient’altro secondo il comune giudizio se
non la scienza della realtà. Noi siamo parte della realtà e siamo anche
condizione della conoscenza della realtà fuori di noi. Noi conosciamo la realtà
fuori di noi se conosciamo la realtà che è in noi, quella che possiamo
immediatamente intuire. Come avviene questa intuizione? Con l’io che si traduce necessariamente in una
affermazione di conoscenza e cioè: io conosco me stesso. La formula: Noi conosciamo noi stessi o lo spirito
conosce se stesso rappresenta il «caposaldo incrollabile» della filosofia
pighettiana. Lo spirito, argomenta Pighetti, dopo numerosi e illusori saggi di
creazione naturale (vegetale e animale), produce la sublime cosa che è il
sesso. Oltre che conoscere se stesso l’uomo è in grado di esaminare se stesso
nella sua attività conoscitrice; dunque lo spirito della forma umana conosce se stesso conoscente se stesso.
La vita dello spirito, tutt’uno con il corpo, tende a conquistare la sua
maggiore complessità e potenza nel cervello che è l’organo più importante del
corpo. Nella penombra dell’avvenire remoto, profetizza Pighetti, scorgiamo «una
razza umana di figura prevalentemente… cerebrale». Se con il sesso è avvenuta
la nascita dell’intelligenza umana, in quanto con il sesso si sono prodotte le
condizioni favorevoli alla contrapposizione formale dell’io e dell’altro,
probabilmente con il sesso si compirà il cammino della vita umana che è la più
alta vita spirituale. Nel futuro il riconoscimento dell’io nell’altro, originatosi
come si è visto nel contrasto sessuale di due individui, potrà indurre
un’attenuazione delle differenze tra individuo e individuo, tendenza già
riscontrabile, fa notare Pighetti, nello sforzo che la donna compie di
mascolinizzarsi e in quello dell’uomo di assumere forme e atteggiamenti
femminili. «Non mi illudo», confessa Pighetti, «d’aver scoperto l’America:
credo bensì d’aver dato esempio di un ottimo metodo di trattazione filosofica
che a parer mio dovrà trionfare».
Dopo l’avvento di Mussolini Pighetti
pubblica alcuni testi in cui esalta il regime fascista (valga per tutti Il Duce. Prima traccia di uno studio su
Benito Mussolini. Pagine antiche e recenti edite e inedite, 1939). Nel volume Colloqui e soliloqui (Stab. Tip. G.B.
Marsano, Genova, 1939), Pighetti tratteggia quella che definisce la sua
«concezione della vita in ordine al tempo mussoliniano». A proposito del
rapporto uomo-donna sostiene che le donne, «forme di vita per sé stanti e per
sé considerabili, nella composizione sociale», sono degli accessori rispetto
agli uomini; come tali possono benissimo essere avvicinate alle cravatte e a
tutto ciò che nella vita ci accompagna per costituire un motivo valido di
esistenza: «Con una bella cravatta indosso non è escluso che qualcuno provi la
stessa impressione che con una bella donna al fianco». Più avanti scrive che
compito dell’uomo è dare un minimo di senso di gerarchia alla donna,
irrazionale al massimo e istintiva per eccellenza, quindi antigerarchica.
L’uomo deve farla comparire decorosamente e insieme metterla in condizione di
non nuocere. Le scelte della donna sono in genere sessuali o di vanità, sta
all’uomo darle una sensibilità notevole, sia pure provvisoria, verso una verità
che a lei per natura non è accessibile. A differenza dell’uomo, che si logora
nelle vicende d’amore e per il quale esiste un passato sentimentale che gli
pesa, la donna si avvicina ogni volta al banchetto dell’amore con il cuore di una
quindicenne. Mentre un uomo tra due donne è sempre un po’ ridicolo, non è così
per una donna tra due uomini, dato che essa è perfettamente a posto quando è
desiderata. Riguardo alla procacità Pighetti osserva che l’abbondanza della
carne è nella donna molto spesso segno di sensibilità attutita e suscita in
quel «cerebrale sensuale che è l’uomo» gli appetiti più accesi; la donna
formosa, giudicabile frigida o quasi, è ragione di grande allegria per il
maschio che la desidera.
Sempre
in Colloqui e soliloqui Pighetti dipinge
lo iettatore come un essere borioso e infecondo che cerca di
trascinare gli altri nel suo gorgo, volendo annullare così il proprio male in
un male più vasto; infine se la prende con le persone che non sanno parlare
cinque minuti su un qualsiasi argomento senza abbandonarsi a una frenesia di
citazioni.
Domenica de Il Sole
24 Ore, 115, 28 aprile 2013, p. 36. Per vedere l'intera pagina della Domenica (in pdf) cliccate qui. _____________________________________
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