RADETZKY? ALL'INFERNO!
Nel 1865 Bernardo Bellini pubblica un bizzarro
testo poetico costruito nel rispetto di una regola
ferrea, impresa che a buon titolo lo pone
nell’albo dei precursori delle ardite
sperimentazioni dell’Oulipo-Oplepo (Opificio di
Letteratura Potenziale). Ne L’inferno della
tirannide (1865), opera in cui depreca le
tristi condizioni dell’Italia assoggettata
all’Austria, dedicata «All’Italia redenta
dall’invitto e glorioso suo Re Vittorio Emanuele
II», scritta in occasione delle celebrazioni
a Firenze del sesto centenario della nascita di
Dante, Bellini compone XXXIV canti, uguali in
numero a quelli dell’Inferno dantesco, avvalendosi in
modo rigoroso delle rime impiegate da Dante.
Naturalmente, cambiando il soggetto delle
Cantiche, cambiano anche i personaggi: così
ad esempio Caronte diventa Radetzky, Paolo e
Francesca diventano una coppia torturata dagli
Austriaci, il conte Ugolino e l’arcivescovo
Ruggieri diventano un re di Francia e il Borbone
di Napoli, eccetera. Lo stesso procedimento
Bellini usa ne Il
Purgatorio d’Italia (1865) dove i canti,
al pari di quelli danteschi, sono XXXIII. A inizio
di ogni canto si trova un riassunto dell’Argomento
trattato.
Nella nota introduttiva a L’inferno della tirannide, indirizzata «Al lettore», Bellini precisa che questo suo lavoro poetico, scritto da ben oltre 16 anni, fu definito "uno sforzo mirabile d’ingegno, per le superate difficoltà e per la spontaneità delle rime che paiono essere del tutto originali" dall’illustre Frédéric Antoine Ozanam (1813-1853), professore di Eloquenza Italiana presso la Sorbona di Parigi (laureato nel 1838 in lettere con una tesi su Dante, autore di Dante et la philosophie catholique au XIIIeme siècle pubblicato a Parigi nel 1839, professore ordinario di letteratura straniera alla Sorbona dal 1844, fondatore della Società San Vincenzo De Paoli, beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1997). Questo giudizio dell’insigne letterato non fu dato da lui a caldo, al momento della prima lettura, ma dopo due mesi che aveva presso di sé il manoscritto consegnatogli da Bellini nel 1849, quando quest’ultimo soggiornava a Parigi. Detto ciò, aggiunge Bellini, non occorre spendere altre parole per mettere in amore agli Italiani un lavoro che segna la prima epoca luminosa della guerra per l’Indipendenza Italiana, valorosamente incominciata dal Re Carlo Alberto il Magnanimo, e valorosamente compiuta dall’augusto Suo figlio Vittorio Emanuele II Re d’Italia. Il primo canto de L’inferno della tirannide ha come argomento un lombardo che, sul cadere della notte, smarrito in un’oscura landa, viene precipitato dentro a un abisso dove c’è una mostruosa torma di Politici Misfatti, che crudelmente e scelleratamente manovrano contro chi aspira alla vera libertà; nel momento in cui, pauroso, sta per cadere in un maggiore precipizio, gli compare Dante Alighieri che lo conforta, e gli promette di ricondurlo ai suoi Lombardi, gli preannunzia la gloriosa impresa del Re Carlo Alberto che in compagnia degli augusti Suoi figli si fa campione per l’italico riscatto, eccetera. I versi con cui si apre questo primo canto sono: Non lungi al valicar di nostra vita Mi ritrovai per una landa oscura, Sì che ogni lena in cor m’era smarrita. Io dell’Italia mia piangea la dura Servil catena, e il duolo era sì forte, Che per lei m’inforsava alta paura. Cadean l’ombre ognor cupe, e tai di morte Immagini anzi al mio sguardo trovai Più che unquanco in Averno altri abbia scorte. Nera una man mi pinse, e i’ ratto entrai Nel gorgo d’un abisso, chè in quel punto A quell’urto fatal m’abbandonai. Indi mi vidi entro a un burrato giunto, A cui daccosto è una sanguigna valle, E assiderai tutto d’orror compunto. Per certe rime difficili, come Pape Satàn, pape Satàn aleppe, all’inizio del canto VII dell’Inferno, Bellini se la cava in questo modo: «Pape Satàn, pape Satàn aleppe», Urlò Radetzky con la voce chioccia, Né degli arcani accenti il senso ei seppe. Per Mario Praz l’operazione di Bellini, che a suo giudizio merita un posto d’onore nel museo del cattivo gusto letterario, è un esercizio proprio da improvvisatore e da prestigiatore; dall’anello dantesco, scrive Praz, Bellini ha tolto la gemma per incastonarvi un culo di bottiglia. Nonostante questi aspri giudizi, Praz, che per altro confessa di non aver visto Il Purgatorio d’Italia, afferma che questo rifacimento della Divina Commedia diventa con Bellini quasi elegante come un gioco di società e fa notare come ai tempi di Bellini l’impresa dantesca da lui compiuta doveva parere assai meno bizzarra di quanto non ci sembri oggi: Dante si leggeva allora in modo diverso da come si legge ora, e gli spiriti oppressi sovente si rifugiavano nell’allegoria. Nella voce «Risposta per le rime» dell’Enciclopedia dei giochi (1999), dove tratta della gravosa costrizione di usare le stesse rime che ha usato un altro poeta, Giampaolo Dossena definisce L’inferno della tirannide un esempio mostruoso di rime obbligate. Bellini nasce a Griante sul Lago di Como il 21 marzo 1792 da Carlo, maestro di lingue straniere, e da Maria Bonomi, «buona e santa donna», e muore a Torino il 17 marzo 1876. Traduttore di testi antichi (in questa veste fu schernito da Leopardi), tipografo, poeta e drammaturgo, è stato professore di letteratura latina e di filologia greca nel Liceo di Cremona; si sposò quattro volte. Nel 1846, avendo appoggiato nei suoi scritti la causa dei Savoia, è costretto a rifugiarsi in Piemonte; dopo la battaglia di Novara del 23 marzo 1849, che segna la fine della Prima guerra d’indipendenza italiana, si trasferisce a Parigi insieme alla famiglia. Trascorre gli ultimi anni della vita, ormai completamente sordo, collaborando, su incarico dell’editore Giuseppe Pomba di Torino, con Nicolò Tommaseo, ceco e pieno di acciacchi, alla stesura del Dizionario della lingua italiana, lavoro lessicografico che dunque, come testimonia la salute dei due, si sviluppò in condizioni non proprio ottimali. Bibliografia Bernardo Bellini, Il Purgatorio d’Italia, Stamperia dell’Unione Tipografico-Editrice, Torino, 1865; L’inferno della tirannide, Tipografia eredi Botta, Torino 1865. Mario Praz, «Bernardo Bellini e un curioso poema sul Risorgimento», in: Bellezza e bizzarria, Il Saggiatore, Milano 1960. Enciclopedia dei giochi, Unione Tipografica-Editrice Torinese, Torino, 1999. Pier Luigi Donini, Bernardo Bellini. Cenni biografici, Stamperia Reale di Torino, Torino 1876. ___________________________________________ Domenica - Il Sole
24 Ore, 242, 2 settembre 2012, p. 28.
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